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FATTI, EVENTI, TREND & TENDENZE ENOICHE DELL’ANNO CHE FINISCE: DALLA “A” DI ACQUISIZIONI ALLA “Z” DI ZONAZIONE, ECCO L’“ALFABETO DELL’ITALIA DEL VINO” DI WINENEWS PER RICORDARE QUELLO CHE È ACCADUTO E CIÒ DI CUI HA DISCUSSO IL MONDO DI BACCO NEL 2011

Italia
L’Alfabeto dell’Italia del vino

A, come acquisizioni: quella della Russian Standard Corporation, società russa leader nella produzione di Vodka, che ha acquistato il 70% delle azioni di Gancia Spa, e quella del gigante americano Constellation Brand, che ha acquisito il 100% del pacchetto azionario della Ruffino. B, come biodinamico e/o biologico: i vini ottenuti con queste metodologie, prima di tutto agronomiche, restano fra i protagonisti delle “wish list” degli eno-appassionati, sempre più sensibili ai problemi dell’ambiente, anche per il 2011 e, contemporaneamente, alimentano discussioni fra addetti ai lavori e non, di là dall’essere risolte in modo da mettere d’accordo fautori e detrattori di queste tecniche. Dalla A di acquisizioni alla Z di zonazione, ecco l’“Alfabeto dell’Italia del vino”, una rapida carrellata dei fatti salienti, eventi, trend e tendenze enoiche del 2011 che si appresta a concludersi, per ricordare quanto successo e quali problematiche sono (o dovrebbero essere) sul tappeto della discussione su e nel mondo del vino tricolore, secondo WineNews.
E, allora, C sta per clima, o meglio cambiamento climatico; la vendemmia 2011 con le sue bizzarrie metereologiche ne è stata l’ennesimo epifenomeno. Una manifestazione, appunto, che è apparsa a molti una semplice eccezione che dovrebbe confermare una regola, quella climatica, che però sembra ormai definitivamente compromessa. È il problema più impegnativo che dovrà affrontare il mondo del vino in un futuro sempre più imminente. D, invece, sta per dealcolizzazione. Se ne sente parlare come uno dei possibili rimedi all’innalzamento del grado alcolico nei vini, causa troppo caldo in tempo di vendemmia. Ma è anche una precisa scelta (per ora minoritaria da parte di qualche azienda spagnola e australiana) per produrre vini ad alcol zero o quasi. E così la materia prima che storicamente è usata per fare vino, l’uva, potrebbe essere sostituita dallo stesso vino, mettendo un ulteriore tassello alla inesorabile quanto discutibile affermazione dell’industria enologica. E, come export. Il 2011 per le etichette del Bel Paese è stato ancora un anno di straordinaria vivacità commerciale fuori confine. Numeri importanti, vicinissimi a dei veri e propri record: 17,5 milioni di ettolitri (+12.6% sul 2010) e un valore di oltre 3 miliardi di euro (+13.5% sul 2010).
F, come Fine Wines: in tempo di crisi globalizzata l’investimento in questo particolare asset è stato da più parti salutato come una delle ultime ancore di salvezza. Ma sarà vero? G, come guide. Se ne segnala, anche nel 2011, il loro declino, ma poi le loro valutazioni finiscono per alimentare un dibattito non secondario, fra appassionati e addetti ai lavori. Continuano però a non trovarsi d’accordo. Risultato? Un solo vino premiato da tutte le principali guide: il pugliese Primitivo Es 2009 di Gianfranco Fino. H, come ha, ettaro. La “guerra” ai diritti di impianto, scatenata da una clausola Ocm che prevede per il 2015 la liberalizzazione della messa a dimora dei vigneti, ha compattato i più importanti Paesi produttori della Ue (Francia e Italia in testa) che sono decisamente contrari al provvedimento, prima di tutto per le possibili eccedenze di produzione. I, come Imu. Anche l’agricoltura è chiamata a fare dei sacrifici in un momento storico decisamente critico per l’intera nazione. E così arriva la famigerata Imu (Imposta Municipale Unica) anche per case rurali e fabbricati strumentali alla produzione come cantine e stalle. Una botta notevole per l’agricoltura italiana, soprattutto per quei territori in cui si concentrano colture a basso valore aggiunto. Ma dove si producono beni ad alto valore, come il vino, queste risorse potrebbero avere ricadute positive anche sulle stesse aziende agricole.
L sta per leggerezza, prima di tutto gustativa, nel senso che la tendenza ad appezzare vini più bevibili sembra (almeno nel mondo della critica e degli appassionati più esperti) davvero far da padrona. Ma leggerezza anche nell’approccio generale, auspicata più che praticata. In fin dei conti stiamo parlando di un bicchiere di vino! M, come mescita. Il consumo del vino al bicchiere è sempre più diffuso. Con la crisi che pesa, l’etilometro che incombe, il vino al calice permette anche di assaggiare vini altrimenti inarrivabili. Una soluzione anche al calo dei consumi, la cui fattibilità è merito, grazie allo sviluppo della tecnologia, di strumenti sempre più pratici ed accessibile, come “Winefit One”, il wine dispenser all-in-one tutto italiano, che grazie a speciali tappi da applicare alla bottiglia consente di conservare perfettamente tante etichette, anche in quei locali che fino ad oggi non hanno potuto darsi al bicchiere di qualità per ragioni di spazio. N, come notizie. Ormai è un pullulare di siti, blog, social network, riviste, guide e chi più ne ha più ne metta e la circolazione di notizie sul mondo del vino è decisamente ampia. Soprattutto per quanto riguarda l’universo del web, in cui WineNews opera da molto tempo e a cui anche le cantine hanno iniziato sempre di più a guardare.
O, come Ocm: discusso, discutibile, ma ancora uno strumento importante per il miglioramento del comparto e del suo indotto, capace di fornire opportunità tutte da sfruttare e, magari, anche di indicare la strada ad un settore che dovrà necessariamente rinnovarsi, a partire dall’abbandono di un certo “assistenzialismo” economico. P, come i “Preparatori d’uva”. Se la tecnologia ormai detta i ritmi anche della stessa coltivazione della vite, c’è qualcuno che ha pensato di non buttare via i saperi e le tecniche tradizionali: il duo di agronomi friulani Marco Simonit e Pier Paolo Sirch punta tutto sulle potature manuali, l’unica metodologia che asseconda la fisiologia della vite. Non solo, ma reinterpretano in chiave moderna alcune tecniche colturali ormai abbandonate, come certe antiche forme di allevamento dei vigneti, recuperando vecchi vigneti e antiche varietà. Un approccio che ha iniziato a fare scuola e che oggi è diventato una vera e propria “Scuola Italiana Permanente di Potatura della Vite”, unica nel suo genere, itinerante e che opera nelle principali regioni viticole italiane. Un’operazione di cultura viticola di cui sempre più cantine hanno compreso l’importanza, a partire da Caprai in Umbria, passando per San Leonardo in Trentino, Feudi di San Gregorio in Irpinia, nelle aziende di Angelo Gaja in Piemonte e di Vittorio Moretti in Franciacorta, e a cui anche nel terroir di Montalcino si inizia a pensare.
Q, come quotazioni. Crescono quelle dei vini italiani che sempre più diventano protagonisti delle aste internazionali (l’ultima in ordine di tempo, il 25 novembre, quella di Christie’s ad Hong Kong, dove Masseto di Ornellaia e Tignanello di Antinori hanno battuto perfino i francesi). E cresce l’interesse delle stesse case d’aste italiane verso quella parte di mondo che sembra più sensibile all’incanto. Così la casa d’aste romana, specializzata in vino, Gelardini & Romani è sbarcata ad Hong Kong, il 19 novembre, per battere vini 100% made in Italy, spuntando un incasso di oltre 300.000 euro. R, come riconoscimenti. Nono sono gli unici indicatori dello stato di salute del vino tricolore, ma sono importanti. Ecco allora un 2011 che conferma l’appeal del vino italiano nel mondo, secondo le riviste più influenti a livello internazionale: per Wine Spectator, nella sua celeberrima “Top 100”, 1 bottiglia su 5 è italiana (per un totale di 20 etichette) e due tra le prime dieci (il Brunello di Montalcino 2006 di Campogiovanni al n. 4, ed il Barolo Ciabot Mentin Ginestra 2006 di Domenico Clerico n. 8). Per Wine Enthusiast, che pubblica anch’essa una “Top 100” dei migliori al mondo, l’Italia del vino fa ancora meglio, piazzando al n. 1 il Chianti Rufina Nipozzano Riserva 2007di Frescobaldi, e al n. 7 l’Excelsus 2007 di Castello Banfi, con ben 17 vini su 100 in classifica.
S, sta per sfuso, non solo come segnale positivo proveniente dalle più importanti denominazioni del Bel Paese, dove l’asticella dei prezzi dello sfuso (negli scambi di filiera) sta riposizionandosi su livelli appena un anno fa impensabili, ma anche come vino che irrobustisce il nostro export: 8,5 milioni di ettolitri nel 2011, vicino al massimo storico. T, come terroir, per il vino certo, sempre al centro del dibattito enoico, ma anche e soprattutto “t” come terra nel suo senso più pregnante e cioè l’elemento basilare da cui nascono gli alimenti. Con la pressione demografica in tendenziale aumento e con le grandi nazioni che comprano pezzi di continente (Africa soprattutto, con l’ennesima tragedia umanitaria causata dallo sfruttamento dei più ricchi sui più poveri) per far fronte alla mancanza di terra da coltivare, il problema di un vero e proprio “spazio vitale”, è proprio il caso di dirlo, sta assumendo dimensioni fino a poco tempo fa impensabili.
U, come unione. Un auspicio, più che un vero e proprio fatto o discussione che ha caratterizzato il 2011. Perché l’“unione fa la forza”, specie in tempo di crisi, per rinfrescare un luogo comune che poi tanto comune non è. Unione classica nella cooperazione, sì certo, ma anche in forme nuove di incontro fra aziende che usano gli stessi servizi e abbattono i costi. Unione nelle denominazioni dove il più grande può “tirare” il più piccolo e questo può sostenere il più grande dal lato qualitativo. Unione nella promozione all’estero, che resta troppo frammentata e pertanto poco incisiva. V, come vitigno, meglio se di antica coltivazione. Continua, invece, anche nel 2011, la lenta ma inesorabile perdita di appeal di quelli internazionali, benché i mercati, specialmente quelli appena aperti, non sembrano così in cerca di varietà tradizionali, almeno per il momento. Z, infine, come zonazione, un tema in effetti che è rimasto, anche nel 2011, marginale, ma che potrebbe, se affrontato seriamente dare nuova linfa a molte delle denominazioni italiane, anche fra le più celebri e di successo. Un auspicio quest’ultimo, più che una constatazione di fatto, per l’anno che verrà.

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