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Fatturati, tendenze, vini bio, critica internazionale: il 2018 visto dai distributori del Belpaese

A WineNews il bilancio di Sagna, Gruppo Meregalli, Les Caves de Pyrene, Sarzi Amadè, Proposta Vini e Cuzziol

Il 2018 appena chiuso, visto con le lenti del mondo della distribuzione, per il vino, è stato senza grandi dubbi un anno importante, decisamente positivo, chissà del rilancio definitivo, specie quando si parla di produzioni di qualità, come quelle portate sugli scaffali da sei dei principali distributori del Belpaese, Sagna, Gruppo Meregalli, Les Caves de Pyrene, Sarzi Amadè, Proposta Vini e Cuzziol, insieme sotto “Club Excellence”, il club dei distributori ed importatori nazionali di vini e distillati d’eccellenza, sentiti da WineNews. Bilanci in territorio decisamente positivo, wine lover sempre più curiosi e consapevoli, vini biologici e biodinamici che continuano a crescere, ma a patto che siano buoni, ma anche la crescita delle denominazioni del Sud e, dall’estero, le performance di Borgogna e Champagne, con la grande critica internazionale che continua ad avere un peso tutt’altro che indifferente.
“Siamo ancora sotto ai fatturati pre crisi, ma continuiamo a crescere e ci avviciniamo piano piano a quei livelli, per cui il 2018 è stato un ottimo anno”, racconta a WineNews Massimo Sagna, a capo dell’azienda che, oltre a tanti marchi del Belpaese, importa e distribuisce in Italia il top della produzione di Francia, dal Bordeaux allo Champagne. “Gli italiani cercano sempre più vini facili da bere, meglio se da vitigni autoctoni, e preferibilmente a bassa gradazione, anche per rispondere alla stretta sui limiti consentiti alla guida, ma è una tendenza che accomuna tutto il mondo occidentale. Si beve sempre meno ma sempre meglio, e quella che una volta era una bottiglia oggi è un bicchiere, anche se a pagare il calo dei consumi sono più gli spirits che il vino”. Per quanto riguarda i vini francesi, core business di Sagna, “l’Italia non fa eccezione, per cui sulla cresta dell’onda c’è la Borgogna, ormai da qualche tempo, spinta dai prezzi sconsiderati di Bordeaux, mentre la Loira vive una certa difficoltà quantitativa, dopo qualche vendemmia sotto la media. In termini di tipologie, se tra i rossi il paragone con l’Italia è assai equilibrato, l’eccellenza dei bianchi francesi, dagli Chablis ai Sancerre, è ancora lontana da raggiungere. Lo Champagne, invece, fa storia a sé, e per quanto sia drammatico dirlo, il riscaldamento globale ha dato una mano, con tante grandi annate nell’ultimo decennio, a partire dall’eccezionale 2008”. Sul biologico, continua Sagna, “dopo un periodo di grande interesse ora il consumatore è tornato a cercare, più semplicemente, la bontà. E se la trova in un vino “naturale”, tanto meglio, ma sono in tanti, basti pensare a Romanée-Conti, a fare scelte sostenibili senza sentire l’esigenza di scriverlo in etichetta”. Continua ad avere un certo peso la critica internazionale, “più tra gli enotecari ed i ristoratori che tra i consumatori, ma di certo i 100/100 di Robert Parker continuano ad essere un fattore importante nelle vendite delle etichette di qualità, come abbiamo visto con l’ultima, acclamata, annata di Cristal”.
Bilancio più che positivo per il Gruppo Meregalli, storica azienda nata nel 1856 a Monza ed oggi leader nella distribuzione di wine & spirits in Italia, che chiude il 2018 “a livelli record, con un balzo dei fatturati tra il +9,8% ed il +10,2%, in crescita dal 2014. C’è stato un solo momento di stanca a settembre - racconta a WineNews Marcello Meregalli - mentre il periodo pre natalizio è andato bene. Le bollicine continuano ad andare fortissimo, così come gli spirits, mentre tra le sorprese c’è la ripresa delle piccole denominazioni, come Terrazze dell’Etna, ma anche regioni come Campania, Molise e, soprattutto, Sardegna, davvero esplosiva. Tra i distillati, che per noi sono un comparto importante, bene la grappa, continua a volare il gin, ma anche rum e whisky si fanno valere, specie quelli di Irlanda e Galles”. Sulle vendite, però, l’incidenza delle classifiche dei maggiori magazine internazionali, che hanno spinto sul mercato secondario una delle tante etichette commercializzate dal Gruppo Meregalli, il Sassicaia 2015, “si fa sentire ben poco, escono tutte a fine anno, ma per certi vini i giochi sono fatti già a febbraio, di certo per il cliente è importante, più delle tante guide italiane, in fin dei conti “Wine Spectator” è ancora una bibbia per gli appassionati”. Infine, uno sguardo alle produzioni biologiche e biodinamiche, “una tendenza importante, ma che riguarda più le nostre vendite all’estero, specie su mercati come Canada, Usa, Germania e Svizzera e soprattutto nella fascia media di prezzo. In Italia ha un peso inferiore, ma ritmi di crescita doppi rispetto agli altri segmenti”.
E che quella dei vini naturali sia una moda, è in un certo senso il timore di Christian Bucci, fondatore, nel 2009, di Les Caves de Pyrene, da sempre attento alle produzioni di territorio, artigianali, di piccoli produttori, “ma la nostra è una scelta essenzialmente gustativa, non ideologica - racconta a WineNews lo stesso Christian Bucci - che certo all’inizio è stata difficilissima da sostenere, ma oggi, proprio per come si stanno muovendo i consumatori, ci sta premiando. L’anno è andato molto bene, chiuderemo con una crescita del +9/10%, con un grande protagonista nel 2018, lo Chenin Blanc, sul quale abbiamo investito molto, ma bene hanno fatto anche Champagne e Nebbiolo”. Anche il 2019, nelle previsioni di Christian Bucci, riparte da questi punti fermi, “ma occhio anche al Jura, vera alternativa, seppure con numeri piccoli, alla Borgogna. E poi i bianchi francesi, ancora una spanna sopra agli italiani, che però dai territori vulcanici, come Etna e Soave, mostrano potenzialità eccezionali. Infine, è interessante ciò che sta succedendo nel Nord del Piemonte, con gli investimenti delle grandi griffe capaci di accendere i riflettori su territori e vini quasi dimenticati, da Boca a Carema”.
Anno importante anche per Alessandro Sarzi Amadè, a capo della distribuzione fondata nel 1966 dal padre Nicola, che in Italia distribuisce vini da tutto il mondo, specie da Bordeaux, oltre ad alcune delle etichette più prestigiose del Belpaese. “C’è stato un vero e proprio risveglio per i vini di fascia alta delle denominazioni top, ossia Bordeaux, Borgogna, Brunello e Barolo. Forte è l’interesse per i vini biologici e biodinamici, diventati ormai parte integrante della nostra offerta, ma il consumatore è sempre più attento e consapevole: conta la qualità più delle certificazioni, anche se in molti casi - spiega Alessandro Sarzi Amadè - per i produttori è una vera e propria scelta etica. La critica internazionale, invece, continua a contare molto, ma si tratta di un fenomeno legato solo ai vini più quotati e si esaurisce nella singola annata premiata: Château Canon-La Gaffelière 2015, che commercializziamo noi in Italia, arrivato in seconda posizione nella top 100 di Wine Spectator, l’abbiamo finito in due giorni. Guardando alle etichette italiane, invece, mi ha sorpreso molto il riscontro di Monteraponi, griffe del Chianti Classico, e e di Benanti, anche grazie al grande successo che sta riscuotendo l’Etna”.
Interessante l’analisi sul 2018 di Gianpaolo Girardi, alla guida di Proposta Vini, che al di là di un bilancio “decisamente positivo, in crescita probabilmente a due cifre”, si sofferma sulle tendenze che stanno cambiando, più o meno velocemente, l’approccio stesso al vino da parte del consumatore. “In questi ultimi anni il mercato è cambiato molto, è diverso da quello raccontato dai giornali, è estremamente diversificato - racconta Girardi - e vario, in maniera intelligente però, perché il wine lover è sempre più preparato, sa giudicare da solo ciò che beve, anche grazie ad una comunicazione sempre più orizzontale e, in un certo senso, democratica. Pensiamo alle opportunità offerte dal web e dai social, che hanno un peso sempre più grande e creano dinamiche ben diverse da quelle dei media tradizionali”. E se a livello di mode “quella degli orange wine è forse la più interessante”, biologico e biodinamico rappresentano qualcosa di più, “sottintendono, specie nel Nord Europa, una scelta filosofica prima ancora che gustativa, ma commercialmente sono vini molto interessanti”. Infine, una riflessione sulle Denominazioni d’Origine, che “per noi non sono un aspetto comunicativo così preponderante, come invece lo è la diversità, sempre all’interno di quella che potremmo definire la viticoltura storica del Mediterraneo, di cui l’Italia è il migliore esempio possibile”.
Per Luca Cuzziol, a capo della distribuzione di food & beverage di stanza a Conegliano Valdobbiadene, il 2018 è stato, in un certo senso, un anno di transizione, “non tanto sotto il punto di vista dei fatturati, che continuano a crescere, del 13%, portando i nostri fatturati sopra i 15 milioni di euro, quanto sotto il profilo dei segnali che giungono dal mercato. La crescita, infatti, è stata tutt’altro che omogenea, e se certi territori e certe aziende hanno dato riscontri egregi, altri hanno invece tirato il fiato. E poi, ci sono gli effetti reali dei cambiamenti climatici, che si traducono, ad esempio, in vendite che premiano i vini bianchi, che ormai rappresentano più del 50% degli acquisti, con la quota di vino rosso che continua a ridursi”. In termini di territori, invece, le performance migliori, racconta Luca Cuzziol a WineNews, “arrivano dalle Regioni del Sud, dalla Sicilia alla Puglia, dalla Calabria alla Campania, mentre il Centro Italia fa segnare qualche rallentamento, così come l’Alto Adige, specie dopo l’impennata dei prezzi dell’annata 2017. In ripresa anche Valle d’Aosta, Valtellina e Friuli, dove la produzione è limitata ma di grande qualità. Tengono le bollicine, specie di Franciacorta e Valdobbiadene, mentre lo Champagne, che in Francia vive qualche difficoltà, in Italia consolida la propria quota, con una crescita, per noi, a due cifre, guidata dall’exploit di Bruno Paillard, su cui abbiamo investito molto, venendo ripagati: le vendite nel 2018 sono cresciute del 30%”. Immancabile una considerazione sui vini biologici e biodinamici, “che hanno un certo appeal rispetto alla concorrenza, con le certificazioni che hanno un loro peso in termini commerciali,e questo è un fatto innegabile. L’importante, da un punto di vista più personale e meno professionale, è non avere un approccio ideologico, non arrivare a pensare che o si è organici e naturali o si lavora male, semplicemente perché non è così. Del resto, in certe annate, se si seguissero pedissequamente i dettami della viticoltura biodinamica, difficilmente avremmo vino a sufficienza sul mercato. Il rispetto per l’ambiente - sottolinea Cuzziol - non deve reggersi sullo scontro, è argomento serio a cui anche noi siamo molto sensibili”. Infine, il ruolo della critica, “con i 100 punti di Robert Parker che sono ancora qualcosa di estremamente potente per un vino, ma non servono solamente a spingere gli acquisti, diventano anzi un modo per catalizzare l’attenzione su un territorio o una denominazione, accendendo riflettori che, alla fine, sono utili ben al di là del singolo produttore o della singola etichetta”.

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