Grande distribuzione e vino, un rapporto complesso dove il made in Italy in bottiglia continua a “dividersi” pressoché a metà tra gli scaffali d’oltreconfine e il mercato interno, con esiti per certi versi opposti: occorre più visione internazionale fuori dai confini nazionali, meno promozioni e attenzione ai prezzi nel mercato interno. Se ne è parlato a Vinitaly nella tavola rotonda organizzata da Veronafiere e Iri, sul mercato del vino in gdo, da cui sono emerse le buone performance delle etichette tricolore nella grande distribuzione internazionale, dove in Usa ed Inghilterra il vino made in Italy detiene posizioni di leadership, anche se in Germania, mercato tradizionale per i prodotti del Bel Paese, cominciano a palesarsi alcuni segnali di stanchezza. E ancora margini di crescita aspettano le etichette italiane sui maggiori mercati internazionali, a patto che i produttori e tutto il comparto riescano ad allargare la loro visione internazionale e si lavori in modo più incisivo sull’aumento del valore.
Continuano a restare saldamente i mercati più importanti Germania, Inghilterra e Usa, dove il vino italiano nella grande distribuzione permane al primo posto (battendo costantemente la Francia) sia per volumi che per valore. In Germania il giro d’affari del vino nei super, iper-mercati e discount vale 5 miliardi di euro e per la metà è rappresentato da vino importato. La quota italiana è del 30%, una posizione di leadership storica che solo nel recente passato sta evidenziando qualche segnale di rallentamento, soprattutto per la maturità raggiunta dal mercato teutonico, ormai in odore di saturazione.
In Inghilterra il giro d’affari del vino nella grande distribuzione tocca i 6 miliardi di sterline e anche nel Paese della Regina la posizione delle etichette italiane è di leadership con oltre il 20% di quota (solo i prodotti australiani fanno meglio). Negli Usa, dove nei supermarket il giro d’affari del vino è di 10 miliardi di dollari, l’Italia possiede oltre il 60% della quota di mercato degli sparkling e il 30% degli still.
Proprio il dinamismo delle bollicine italiane ha consentito al vino italiano, anche nel 2014, di battere nei mercati mondiali concorrenti temibili come la Francia, che, tuttavia, resta ancora a debita distanza quando si parla di prezzo al litro di vino. Le distanze tra noi e i transalpini continuano ad essere non di poco conto sia negli Usa (3 dollari di differenziale), sia in Inghilterra (2 sterline), con l’eccezione della Germania, dove siamo quasi alla parità.
Eppure, qualche ulteriore miglioramento deve essere introdotto, anche in una situazione, tutto sommato, positiva. Intanto, il mondo del vino italiano deve riuscire a comprendere meglio la differenza tra i termini “esportare” e “vendere”. Il primo termine indica semplicemente l’atto di ricevere un ordine da qualcuno, ma è completamente assente il pieno governo del proprio prodotto. Altra cosa è il “vendere”. Qui è presupposto qualcuno dell’azienda che interloquisce direttamente con il proprio cliente più o meno finale. Insomma, riemerge, in forma in qualche modo diversificata, la criticità delle imprese vitivinicole italiane, che non possono in toto permettersi di avere un proprio personale addetto in Cina piuttosto che negli Usa.
Per eliminare questo tipo di criticità non resta altro che aggregarsi tra produttori, diventare più grandi, quindi, altrimenti la realtà produttiva viticola made in Italy rischia di restare soltanto artigianale con tutte le difficoltà del caso.
Ma la piccola dimensione, peraltro, non riguarda soltanto le imprese viticole. Il problema è il medesimo anche per la grande distribuzione tricolore che non ha saputo costruire una rete più complessa e dal respiro internazionale, restando, anche in questo caso, dimensionalmente insufficiente per concorrere nel mercato globale. Con anche le istituzioni, a vario grado, chiamate a dare il loro obbiettivo, per esempio, percorrendo esempi di successo come quello di Sopexa in Francia.
L’altra faccia della medaglia, il mercato interno, mostra una situazione più critica. Nel 2015, il segno positivo ha fatto la sua comparsa, ma, probabilmente, è difficile parlare di inversione di tendenza. Per riassumere il delicato rapporto vino-grande distribuzione in Italia, bastano cinque cifre (primi due mesi 2015): +1,8% del prezzo (ma l’80% del vino venduto è pagato sotto i 3 euro); +3% di aumento delle referenze-assortimento; 40% delle vendite frutto di promozione; +8% di volantini con vini protagonisti; 27% la percentuale dello sconto medio. Due le problematiche più evidenti: l’eccesso di promozioni e il numero di vini mediamente presenti sugli scaffali della grande distribuzione del Bel Paese. Nel 2002 i prezzi crescevano al ritmo del 17%, oggi siamo a -2,6% (sull’anno precedente). Sempre nel 2002 le referenze nella gdo erano 12.000, oggi sono 21.000 (1.000 etichette per ogni regione). Un iperfrazionamento enologico che se da un lato racconta la ricchezza enoica del Bel Paese, dall’altro evidenzia una incredibile prolificazione di etichette, spesso anche indotta dalla stessa gdo con il fenomeno delle “private label”.
Una dinamica molto critica che in parte è alimentata dal calo dei consumi, specialmente dei giovani, e dall’altro da una corsa al “vendere per vendere” che finisce solo per impoverire il prodotto vino. Urge una rifocalizzazione della leva della promozione per ricostruire un prezzo più articolato (e più alto), perché la promozione serve a far conoscere un prodotto, ma non deve diventare l’unico modo per venderlo.
Focus - Rapporto vino & gdo: la parola ai “protagonisti” (Ministero delle Politiche Agricole, Caprai, Gruppo Core, RetailWatch.it, Federdistribuzione, Federvini, Uiv, Duca di Salaparuta, Coop Italia e Conad)
Le vendite di vino nella grande distribuzione hanno fatto segnare una timida inversione di tendenza nel 2014 ed una più robusta ripresa nel primo bimestre del 2015. Ma per consolidare il trend si dovranno aumentare le vendite all’estero, ricorrendo alla gdo, e in Italia ridurre il margine troppo alto delle promozioni, rendere più leggibile lo scaffale vino, migliorare la comunicazione al consumatore con etichette parlanti, app, banner verticali, degustazioni con sommelier. È emerso oggi a Vinitaly dalla tavola rotonda organizzata da Veronafiere, in collaborazione con Iri, sul mercato del vino nella grande distribuzione, con la presentazione ricerca Iri, secondo la quale nel primo bimestre del 2015 sono stati venduti 78 milioni di litri di vino con un aumento dell’1,3% in volume sul 2014, un aumento che sale al 4,4% in volume nel caso del vino in confezione da 75 cl. Nel 2014 il vino confezionato fino a 75 cl segna un +0,2% a volume. Le bottiglie da 75 cl a denominazione d’origine fanno registrare -0,7% a volume (nel 2013 si era arrivati a -3,2%). Cresce ancora la spinta promozionale che sul totale del vino venduto si attesta sul 40,17%, ma che sulle bottiglie a denominazione d’origine arriva al 51,80%; in aumento dell’11,3% a volume le vendite dei vini biologici, in calo 13% le vendite a volume delle bottiglie a marchio del distributore.
Già oggi sia negli Usa e in Germania il vino italiano detiene la leadership, ma la percentuale di quota di mercato può crescere notevolmente sia per la maggiore disponibilità delle catene estere sia per un progetto che il Governo italiano sta mettendo a punto, come ha riferito Emilio Gatto, direttore generale per la promozione della qualità agroalimentare del Ministero delle Politiche Agricole: “il Ministero sta lavorando alla identificazione di Paesi bersaglio in cui avviare progetti di collaborazione che dovranno vedere direttamente interessata la gdo nazionale per la stipula di accordi con i grandi player internazionali per far crescere la commercializzazione dei nostri vini. Il progetto è in fase embrionale ma prenderà corpo con la collaborazione dei diversi portatori di interesse coinvolti”.
Un progetto che fa ben sperare le cantine, come ha detto Marco Caprai, della Arnaldo Caprai: “con il piano straordinario del Governo per la promozione del made in Italy si sono rese disponibili risorse economiche sei volte più impegnative rispetto a quelle dei precedenti anni. Per andare all’estero però il prodotto vino deve inevitabilmente portarsi dietro una storia, con eventi organizzati all’interno degli stores, filmati, e via dicendo”.
Sul come presentarsi sui mercati esteri è intervenuto Gianluigi Ferrari, general manager del Gruppo Core di Bruxelles, che associa le catene Conad, Rewe Group, Colruyt Belgio, Coop Suisse: “non basta essere degli ottimi artigiani per vendere nel mondo, è necessario essere degli ottimi commercianti. Questa è la fondamentale differenza con i francesi. Anche nel vino soffriamo di nanismo e provincialismo aziendale. Dobbiamo uscire dalla logica dell’export, inteso come il puro e semplice fatturare e spedire un pallet di prodotto, ad una logica di andare a Vendere. Per far questo le nostre aziende hanno bisogno di dimensioni che possano consentire di organizzarsi correttamente nei più importanti Paesi stranieri”.
La seconda parte della tavola rotonda è stata dedicata al mercato italiano del vino nella Grande Distribuzione. Luigi Rubinelli, direttore di RetailWatch.it, ha sottolineato che “il mercato nazionale è contraddittorio, ancorato al sistema delle promozioni di prezzo che aumentano i volumi di vendita ma influiscono sulla marginalità dell’intera filiera. È davvero questo che vuole il consumatore? Facciamo un augurio per il prossimo Vinitaly: uno stand di un retailer con i vini a marchio del distributore, che ormai sono diventati una realtà”.
Le opportunità e gli obiettivi per sostenere la crescita delle vendite di vino nei supermercati sono state illustrate dal rappresentante di Federdistribuzione Angelo Corona, direttore acquisti Private Label di Finiper, secondo il quale, “per crescere noi distributori dovremmo continuare la ricerca sul layout espositivo, per rendere più facile e immediata la scelta del consumatore; creare sinergie con i prodotti locali degli altri reparti per valorizzare abbinamenti; utilizzare in modo più innovativo le promozioni. E farlo attraverso una ancor migliore relazione con i produttori, che potrebbero condividere alcune iniziative che mirano al risultato finale del mercato. Va rafforzata anche la marca del distributore, sempre più di qualità e rappresentativa della varietà del territorio. In questo ambito Iper, La grande i, è la prima catena della gdo ad avere creato, già nel 2006, un’ampia linea di vini esclusivi a filiera controllata, a marchio Grandi Vigne”.
La revisione della leva promozionale è uno degli aspetti chiave per il 2015, secondo Enrico Viglierchio, vice presidente Gruppo Vini di Federvini e dg Castello Banfi, “riportiamo i brand gradualmente fuori dalla morsa promozionale che ha ormai ampiamente superato il suo livello fisiologico col risultato che il consumatore non comprerà più nel regolare e sarà sempre in attesa della promozione di turno e che il valore del brand e la sua percezione da parte del consumatore saranno gradualmente erosi in modo irreversibile. Serve quindi che il prezzo venga gestito in modo da tutelare il valore del prodotto”.
Una proposta condivisa da Sergio Dagnino, vice-presidente Unione Italiana Vini e dg Caviro: “per lo scaffale del vino osserviamo le stesse dinamiche promozionali tipiche dei prodotti largo consumo, ma aggravate da una inadeguatezza qualitativa dell’offerta, il che impone una strategia che rimetta al centro il consumatore”.
Un esempio di quanto sia possibile fare in questa direzione arriva dall’esperienza delle cantine Duca di Salaparuta, come ha riferito il suo direttore, Filippo Cesarini Sforza: “abbiamo deciso di puntare su una politica che mira a consolidare la fedeltà del consumatore al brand rispetto ad una politica di prezzo che non garantisce fidelizzazione, riposizionando il Corvo in termini di prezzo prevalentemente durante l’attività promozionale. Qui, se la profondità promozionale del mercato è stata di oltre il 30%, noi abbiamo ridotto la pressione promozionale assestandoci sotto il 20%, diminuendo negli ultimi 3 anni di oltre 5 punti percentuali (pari al 20%). Chiaramente questa politica ha comportato nell’immediato la perdita di una quota di mercato, ma già al secondo anno ha segnato un miglioramento del 2% e il trend è in continua crescita”.
Un discorso spesso condiviso dalle catene distributive, aperte alla collaborazione, ma che tuttavia lamentano resistenze provenienti talvolta dalle cantine stesse, come ha riferito Alessandro Masetti, responsabile Reparto Bevande di Coop Italia: “la promozionalità va guidata: una promozionalità sana guida al consumo consapevole e invita a provare nuovi prodotti; una promozionalità eccessiva crea fidelizzazione all’evento stesso dell’offerta e non al prodotto. Ma per poter gestire una promozionalità sana c’è bisogno di lavorare sul reale valore del prodotto, in una logica più vicina al prezzo netto. Al contrario molte aziende di produzione, nelle annate favorevoli, tendono a discostarsi dal reale valore del prodotto andando ad alimentare il polmone della promozionalità”.
Altro elemento di sviluppo, individuato dalle catene distributive è la crescita dei vini a marca del distributore e l’ampliamento dell’offerta dei vini a denominazione d’origine, come ha dichiarato Giuseppe Zuliani, direttore Customer Marketing e Comunicazione di Conad, per il quale, “nel 2014 si è consolidato il ruolo della nostra marca commerciale che, con le 57 etichette a marchio proprio affidate a circa 30 cantine di produzione, sta crescendo in modo significativo con una quota che si attesta ormai a circa il 20% nel segmento dei Vini di Qualità (Doc, Docg, Igt e Igp), più del 15% negli Spumanti e di circa il 45% nel vino comune. Buone le performance dei vini Doc/Docg (+5%) e degli Spumanti (+5,10%)”.
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