Come hanno raccontato a WineNews alcuni dei principali produttori del Belpaese, il mercato Usa è praticamente fermo per il vino italiano, dopo un primo trimestre che aveva visto l’Italia tornare di nuovo al primo posto come principale esportatore. Ma al di là dei dati e delle percezioni, c’è un Paese, la meta principale per le nostre esportazioni, non solo enoiche, che vive un momento decisamente più complesso ed articolato, e non per questo meno drammatico, di quanto non emerga dal racconto che ne fanno i media. Un Paese pieno di sfaccettature e diversità, anche in questo caso, con Stati se non Covid-free quasi, ed altri già in grado di organizzare una ripartenza. Certo, non sarà facile riprendere da dove eravamo rimasti, anche qui, proprio come in Italia, la ristorazione rischia di pagare il conto più salato, la comunicazione e la promozione sono destinate - e lo stanno già imparando a fare - a cambiare, persino lo stile di vita potrebbe non essere più lo stesso, e questo, in una visione ottimistica, potrebbe aprire nuovi spazi per il made in Italy. Anche perché, gli Usa storicamente vivono di grandi cadute ma anche di veloci recuperi. Andrà così anche questa volta? Impossibile dirlo, ma per avere in quadro il più vicino possibile alla realtà, abbiamo parlato con Antonino Laspina, direttore Ice New York.
Partendo dai dati, molto positivi, del vino. “I dati di import sono positivi. Nei primi 3 mesi 2020 l’Italia è ritornata al primo posto come il maggior esportatore di vino degli Usa: le importazioni hanno registrato un andamento positivo di +13,4 % in valore e + 2,6% in quantità. In crescita la quota di mercato che passa dal 31,5% dell’intero anno 2019 al 34,3%, mentre i prezzi medi dei vini italiani salgono più che proporzionalmente rispetto alla media (da 5,4 dollari/litro del 2019 a 5,98 dollari/litro, superando il prezzo medio di 5,9 dollari/litro che era stato registrato nel 2018). Se avessimo guardato la situazione a gennaio e febbraio 2020 - dice Laspina - saremmo stati molto positivi: l’economia americana era in grande forma, la bassa disoccupazione e i livelli di disponibilità di acquisto avevano spinto i consumi e il nostro Paese cominciava a beneficiare del vantaggio competitivo creato dai dazi sui vini francesi, le cui esportazioni di rossi per esempio nel primo trimestre 2020 sono diminuite del 48% sullo stesso periodo 2019”.
Sono dati che non tengono ovviamente conto del lockdown, ma comunque che restituiscono spunti interessanti, come “l’effetto dei dazi sul vino francese - riprende il direttore Ice New York -, che è stato pesante, favorendo quello italiano. E ancora, il buon posizionamento dell’Italia nella sua globalità, mentre crollano i rosé francesi, e chissà che non sia la fine della febbre. Alcune letture si possono dare: nei primi tre mesi l’Italia era tornata ad essere leader, con performance importanti. Dobbiamo aspettare i dati di fine maggio per capire l’effetto combinato di Coronavirus e dazi. Ovviamente da marzo in poi ci stiamo trovando in una situazione completamente diversa, il cui assetto finale è ancora incerto: la temporanea chiusura della ristorazione (on-premise) ha tolto uno dei canali più importanti di distribuzione per il nostro vino, specialmente quello a più alto valore unitario. Parlando con molti importatori sappiamo che per alcuni di loro le vendite si sono ridotte del 40-50%. Anche se il canale off premise (Gdo e wine stores) e l’on-line stanno aumentando, naturalmente non riescono a compensare: molte etichette italiane vengono consumate esclusivamente nei ristoranti, quindi a parte per alcune denominazioni conosciute, ci sono vini che non stanno uscendo dai magazzini dei distributori. Nei prossimi mesi - dice ancora Laspina - si vedrà probabilmente un rallentamento delle importazioni con gli operatori impegnati a vendere il vino che hanno ricevuto in questi mesi precedenti”.
Ci sono poi altri dati interessanti, che emergono dall’attività di Ice: “abbiamo fatto una survey su 200 operatori americani - racconta Laspina - con al centro la fiducia nel sistema economico, e secondo il 50% entro ottobre 2020 l’economia Usa avrà già recuperato quanto perso, il 20% entro gennaio 2021, il 20% entro marzo 2021. C’è fiducia, anche se New York, New Jersey e Connecticut sono Stati molto più esposti, così come la California. Invece, il business con l’Italia, per il 50%, tornerà ai livelli pre crisi o addirittura superiori, mentre il 40% si aspetta un calo delle importazioni, ma teniamo conto che è un sondaggio fatto nel momento più critico della pandemia”.
Certo è che, nel complesso, specie guardando proprio alla ristorazione, cartina tornasole di una situazione quantomai complicata, è ancora molto “difficile fare previsioni, anche se una nota positiva ci può essere dal fatto che gli Stati Uniti sono stati colpiti in maniera diversa nelle zone geografiche e che ci sono alcuni stati che stanno attualmente iniziando a riaprire. È ancora troppo presto - frena il direttore Ice di New York - per capire come la ristorazione riuscirà a riprendere l’operatività e a mantenere tutte le precauzioni necessarie per evitare una nuova ondata di contagi. Sappiamo che alcuni ristoranti non riapriranno, si stima almeno un 20-30%, e che alcuni stanno ritardando per scelta l’apertura, in considerazione degli alti costi fissi. Forse avremo un quadro più chiaro tra qualche mese. Sondando il terreno con operatori del settore, la maggior parte si mantiene su un atteggiamento positivo e spera che dopo l’estate si torni alla normalità, ma circa un quarto degli intervistati ritiene che sarà necessario un periodo più lungo, almeno fino a gennaio o addirittura marzo 2021. Si sta lavorando su modelli che possano assicurare la distanza sociale - continua Laspina - ma di pari passo con la chiusura della ristorazione il canale digitale ha visto una bella espansione, pure se su etichette di medio prezzo, anche tra nuovi consumatori. Con il consumo in casa, tra l’altro, non c’è il problema del drink & drive, che qui è molto restrittivo. Il recupero c’è stato, anche se nelle prime due settimane il canale dell’e-commerce, che comunque è decisamente più efficiente che in Italia, ha avuto diversi problemi. In ottica futura, quando torneremo alla normalità - ad una nuova normalità - la ristorazione potrebbe rivelarsi un veicolo ancora più potente per la vendita del made in Italy di qualità, e comunque, allargando l’orizzonte, le crisi economiche portano sempre grandi sconvolgimenti, per cui ci sono da aspettarsi semplificazioni ed aperture in termini commerciali”.
Sorprende, ma solo in parte, la crescita dei consumi enoici, rilevata da più parti: gli americani in lockdown bevono più vino, e questo potrebbe trasformarsi, perché no, in una nuove opportunità, che passano ovviamente per gli unici canali disponibili. A partire dalla Gdo con cui “il rapporto può essere stimolato con promozioni ma solo se si è già presenti nel canale, o per lo meno si deve essere presenti sul mercato americano con partner adeguati per soddisfare le richieste di queste grosse catene. Per chi è già distribuito negli Usa - spiega Laspina - sappiamo che esistono delle piattaforme su cui si può entrare in contatto e presentare i prodotti ai buyer in modalità virtuale: questo implica per l’azienda una importante preparazione strategica, di marketing e di pricing per attirare subito l’attenzione della controparte. La Gdo lavora su piani di sviluppo più articolati e quindi l’ingresso può avere delle tempistiche allungate”.
E poi c’è l’online, in tutte le sue declinazioni. “L’online negli Usa - riprende il direttore Ice New York - per i vini importati si può realizzare principalmente in 3 forme: l’acquisto dai grocery/Gdo, l’acquisto da un negozio fisico specializzato in bevande alcoliche e l’e-commerce puro, cioè senza negozio fisico. Nei primi 2 casi, molto spesso la vendita è aperta solo ai vini che sono già in assortimento nel business reale, quindi si può stimolare una maggiore vendita dei vini su questi canali, ma non è semplice far entrare nuove etichette perché i clienti cercano più o meno lo stesso assortimento che troverebbero nel negozio. L’e-commerce puro è relativamente più flessibile: essendo l’assortimento virtuale, il negozio ha meno limiti di ingresso per le aziende e meno rischi in quanto spesso “compera” dai distributori in funzione degli acquisti del cliente. Sappiamo che alcuni di questi negozi sono aperti - in linea di massima - a valutare nuove referenze. In linea generale - aggiunge Laspina - quello che il settore deve fare è digitalizzarsi sempre di più e comunicare con il consumatore: non solo con sito web della cantina in inglese più possibile semplice e professionale, non solo con la presenza sui social media ma anche magari fornendo a siti di settore materiale che stimoli la scrittura di articoli sull’azienda e sui vini, lavorando per ottenere punteggi e recensioni, facendo di tutto per avere una visibilità costante nel web”.
E-commerce e Gdo che si intrecciano, però, nelle attività future di Ice New York. “Nel lavoro che faremo con la Gdo, l’e-commerce sarà fondamentale: le nostre azioni premieranno la multicanalità - dice Laspina - non solo la presenza strategica dei punti vendita. La distribuzione online sarà quindi centrale nello stringere accordi commerciali per il vino. L’Italia, poi, ha sempre l’annoso problema della formazione ai soggetti del trade, in termini di comunicazione e promozione: utilizziamo l’online per fare formazione, con piattaforme info formative dove aggregare, su scala Regionale o Federale, anche 100 o 150 persone interessate a sviluppare competenze e conoscenze. Si può fare arrivare il prodotto ad un numero limitato, sulla base di valutazioni e selezioni, o arrivare ad ipotizzare l’invio di prodotti direttamente al soggetto interessato in una triangolazione tra Ice, società italiana e soggetto americano. Sono i meccanismi del new normal - continua il direttore Ice New York - in cui la realtà incontra ed accompagna la virtualità. Non si tratta più solo di video call, ma di comunicazione vera e propria. Già le aziende lo stanno facendo, l’interesse c’è. Dobbiamo capire come sviluppare queste iniziative per i new comers, ipotizzando un ruolo di terza entità di Ice, svolgendo una funzione di collegamento. Possiamo ipotizzare anche un incoming digitale, limitandolo ad un gruppo limitato che possa avere un canale privilegiato. È un laboratorio, ma molte di queste novità andranno implementate”.
Tutto questo, si riallaccia ad un altro grande tema, quello della promozione, con “gli eventi promozionali che sono stati quasi azzerati a livello fisico, ma il team Ice - assicura Laspina - sta lavorando e ha già ri-calendarizzato in modo virtuale alcuni eventi del settore Wine & Spirits. Non vogliamo assolutamente perdere quote di mercato e siamo a fianco delle aziende con un supporto costante. Riguardo agli spirits, abbiamo in corso una campagna di comunicazione con una agenzia di Pr, che abbiamo prolungato fino a settembre 2020. In parallelo, abbiamo numerosi eventi rivolti ai bartender, sia virtuali che fisici, per diffondere la conoscenza della liquoristica italiana e dell’impiego dei prodotti nei cocktail. Altre attività sono in fase avanzata di progettazione, come le promozioni del vino nella Gdo e on-line, mentre altre sono in fase di studio. Il contatto con gli operatori di settore è quotidiano per poter valutare con loro nuove attività che possono aiutare i nostri produttori sul mercato americano”.
E non finisce qui, al contrario, perché “come annunciato dal Governo ci sarà una grande campagna di comunicazione ad ombrello del brand Italia, e poi si procederà con una verticalizzazione verso i diversi comparti, tra cui il vino, che di certo non può mancare. Come altri settori, non è un prodotto di prima necessità, ma di alto livello, che mira a realizzare sentimenti e passioni, e come tale ha bisogno di essere sostenuto da comunicazioni forti. Su modi e tempi, e quindi canali, molto dipende dalla tempistica. Abbiamo lavorato molto sull’aperitivo, assurto a simbolo di capacità di bilanciare lavoro e tempo libero, in maniera intelligente e raffinata, ponendo enfasi e generando curiosità da parte degli americani, che scoprono solo ora il piacere di quei venti minuti di pausa. Raccontiamo da sempre la bella vita italiana - ricorda il direttore Ice di New York - ad un popolo che nella fase del new normal dovrà modificare i propri comportamenti, rallentando, lavorando da casa, e questo consegnerà modelli di vita diversi: il lifestyle italiano, tra tavola, cibo e qualità, ma anche vino, è di sicuro un esempio ed un modello di consumo per le nuove generazioni. Tanti aspetti della vita italiana fanno già parte di molti americani, ma dobbiamo essere più sensibili alle particolarità delle metropoli dell’interno, troppo spesso snobbate. Si parla di milioni di persone, ad alto reddito e ben istruita, sensibili agli stili di vita che possono essere dettati da altri Paesi. Non è un caso che nella prima fase della riapertura andremo proprio da queste”.
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