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I “fine wine” nel 2015 hanno fatto meglio (o meno peggio) di oro, rame e di indici di borsa come il FTSE 100 (Londra) e l’S&P 500 (New York): a dirlo il benchmark del mercato secondario Liv-Ex, la “borsa” dei grandi vini da investimento

I “fine wine” nel 2015 hanno fatto meglio (o meno peggio) di oro, rame e dei più importanti indici di borsa internazionali come il FTSE 100 (Londra) e l’S&P 500 (New York): a dirlo il benchmark del mercato secondario Liv-ex (www.liv-ex.com), la “borsa” dei grandi vini da investimento, che ha paragonato i risultati dei suoi indici principali con quelli dei più importanti indicatori di borsa e non solo. E così, emerge che nell’anno appena chiuso, il Fine Wine 100, il più importante degli indici del Liv-ex (che prende in considerazione i prezzi dei 100 vini più ricercati sul mercato secondario, soprattutto Bordeaux, ma di cui fanno parte anche griffe italiane come Masseto 2010, Sassicaia 2009 e 2010, Ornellaia 2009 e 2010 e Solaia 2010), ha limitato le perdite allo 0,1%. Risultato negativo, ma decisamente migliore da quanto fatto dal FTSE 100, l’indice delle 100 società più capitalizzate quotate al London Stock Exchange, che ha chiuso con un sonoro -4,9%, o dell’S&P 500, che mette insieme le prime 500 realtà Usa quotate alla Borsa di New York, che ha chiuso il 2015 a -0,73%. Ancora più ampia la forbice con il bene rifugio per eccellenza, l’oro, che ha perso il 5,4% in un anno, per non parlare del rame, crollato del 27,9%.
E meglio ancora del Fine Wine 100 ha fatto l’Italy 100, dedicato all’Italia, e formato dalle ultime 10 annate “fisiche” dei cinque grandi “Supertuscan” (Masseto, Ornellaia, Sassicaia, Solaia e Tignanello) e dal Barbaresco e dal Langhe Sorì Tildin di Gaja, dal Barolo Vigne di Luciano Sandrone, dal Messorio de Le Macchiole e dal Redigaffi di Tua Rita, che, nel 2015, ha visto una crescita dello 0,76&.

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