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IL VINO NEL 2040

I quattro scenari possibili del futuro prossimo del vino francese immaginati da FranceAgriMer

Il domani frutto di 102 ipotesi: tra crisi economica, globalizzazione della produzione, climate change e crollo dei consumi
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Il futuro del vino (ph: Pexels)

Impossibile prevedere il futuro, un po’ meno farsi un’idea, almeno a grandi linee, di cosa attende il mondo del vino nei prossimi anni. Partendo dal contesto conosciuto, e da una serie di 104 ipotesi, capaci di abbracciare praticamente qualsiasi aspetto economico, sociale, climatico, nel 2003 uno studio eccezionale, condotto in Francia dell’Inra - Institut National de la Recherche Agronomique, produsse un lavoro diventato un vero e proprio punto di riferimento per molti analisti: “Prospective vignes et vins - Scénarios et défis pour la recherche et les acteurs”, che individuava 11 scenari possibili con cui si sarebbe dovuta confrontare la viticoltura del 2020, declinati rispetto ai diversi attori del mondo enoico francese (Vignerons Coopérateurs, France VinBio etc).

Molto di quanto scritto allora si è realizzato, qualcos’altro no, anche a causa del mutamento di scenario in certi casi molto rilevante (pensiamo al Climate Change), ma arrivati al 2023 il lavoro di 20 anni fa diventa obsoleto, e c’è la necessità di guardare ancora oltre, all’orizzonte 2040-2045, al centro del lavoro di FranceAgriMer e Institut Agro Montpellier, che hanno ripreso i principi dell’Inra, attualizzandoli. Le ipotesi diventano 102, e sono il risultato di un lungo lavoro di selezione che partiva da una lista, costruita da un gruppo di esperti, di ben 348 ipotesi complessive, da cui si possono costruire quattro scenari possibili che, ci tengono a precisare i relatori, non sono previsioni del futuro, ma uno strumento di dibattito per anticipare e capire i cambiamenti.

Questi quattro relativi al settore vitivinicolo francese, hanno in comune il fatto di affrontare una serie di domande che si possono strutturare e dividere in tre grandi aree tematiche: quella relativa al contesto generale, ossia il contesto macroeconomico, le aspettative della società in termini di salute e ambiente, l’accettabilità delle tecnologie dell’informazione e delle biotecnologie, e le questioni relative al cambiamento climatico; quella relativa al settore vino e ai suoi attori, dalle pratiche enologiche ai circuiti di distribuzione del vino, dalla competitività alla gestione della filiera, dalle linee di imbottigliamento agli investimenti nel settore; infine, le questioni relative ai prodotti e ai mercati, con la domanda mondiale e le esportazioni di vino francese, ma anche l’immagine del vino, l’evoluzione del consumo in Francia, i marchi di qualità, il ruolo degli influencer.

Ognuno dei quattro scenari nasce da una combinazione unica di risposte a questi set di domande. Il primo, lo “Scenario A”, è stato definito “Filière Nomade Pilotée par l’Aval”, ed è guidato da quattro tendenze: delocalizzazione del vigneto, liberalizzazione della filiera, nuovi prodotti e consumo e esperienziale. Per prima cosa, si apriranno nuove opportunità di “migrazione” del vigneto, al di fuori dei territori storici della viticoltura. Dopo momenti difficili, tra crisi sanitarie e finanziarie, il ritorno alla relativa normalità incoraggia i Paesi che dominano il settore a rifiutare misure protezionistiche, mantenendo un mercato relativamente aperto, e per facilitare gli scambi il settore modifica i propri regolamenti a livello internazionale, grazie a procedure concertate tra Ue e Oiv, allentando le regole che normano origine, provenienza, dealcolazione dei vini.

Non si allenta la corsa del cambiamento climatico, che causa un aumento degli impatti negativi nelle aree viticole tradizionali - pressione dei patogeni, difficoltà di gestione degli equilibri idrici, maggiore frequenza di eventi climatici estremi, maggiore variabilità delle temperature e delle precipitazioni - che generano aumenti dei costi di produzione che presto saranno proibitivi, per cui l’individuazione di nuovi territori divenuti vocati alla coltivazione della vite diventa una necessità. Agevolata da quando sono state abolite le autorizzazioni all’impianto, con nuove opportunità e nuovi investimenti da altri settori, che puntano alla produzione di uve destinate a blend internazionali e a nuovi sbocchi dalla bioeconomia. La redistribuzione geografica dei vigneti e dei luoghi produzione dei vini è accompagnata da una ricollocazione delle filiere di confezionamento, in prossimità dei luoghi di consumo, per meglio adattare l’offerta alla domanda al momento giusto.

I viticoltori, però, non saranno in grado di adeguarsi al cambiamento, pur tentando, invano, di adattarvisi nei loro territori. L’Ue, che ha destinato i suoi bilanci alla ripresa economica dell’industria e al rimborso dei costi sociali della crisi sanitaria del 2020, a scapito della Politica Agricola Comune (Pac), non sostiene più i viticoltori verso una viticoltura più rispettosa dell’ambiente e adatta al nuovo contesto climatico. Analogamente, di fronte ad altri imperativi legati alla sovranità alimentare ed energetica, la ricerca varietale in viticoltura non è stata una priorità negli ultimi 20 anni, e i risultati ottenuti nella ricerca di varietà resistenti agli attacchi biotici e abiotici sono rimasti molto insoddisfacenti.

Da parte loro, i produttori di fitofarmaci hanno progressivamente smesso di investire nello sviluppo di prodotti specifici per il mercato del vino, ormai in contrazione e incapace di garantire un adeguato ritorno dell’investimento. Si genera così un impasse tecnologica che blocca lo sviluppo del vino biologico. I legami tra le diverse organizzazioni e i produttori vitivinicoli e i distretti si rivelano inefficaci per costituire un grande cluster mondiale: l’offerta formativa rimane poco strutturata e poco innovativa, incapace di migliorare la competitività del settore in un contesto di aumento dei costi di produzione. Il livello di formazione e competenze (tecniche, commerciali) è insufficiente per affrontare le sfide economiche (competenze tecniche, gestione, comprensione dell’organizzazione del mercato, marketing, comunicazione) in un ambiente complesso, e i viticoltori, invece, lottano per trarre vantaggio dalle innovazioni “high-tech”.
Le difficoltà incontrate dai viticoltori non suscitano però l’empatia dei loro vicini, sempre più intolleranti verso il settore vino, con i viticoltori in età da pensione che non trovano più successori, mentre le aree urbane sono ormai circondate da orticoltura e cinture verdi forestali.
Il modello distributivo un tempo dominante, con al centro l’emblematico ipermercato, ha lasciato il posto ad altri format di prossimità: enoteche, vendita diretta, filiera corta e consegna a domicilio (non uscire di casa è ormai visto come una forma di spesa locale). Questi nuovi canali, però, possono rivelarsi gratificanti solo se se supportati dalla comunicazione e dalla formazione. Per i vini che avevano beneficiato di un’ampia esposizione negli ipermercati, questo sviluppo rende più difficile incontrare in maniera massiccia i potenziali consumatori. Influencer, stampa e social network diventano fondamentali per guidare i consumatori e metterli in contatto con il prodotto: nuovi luoghi di vendita e consumo fuori casa, nuove occasioni, nuovi accessori stanno cambiando sensibilmente i modelli di consumo del vino. I grandi attori della produzione e del commercio del vino si affidano a loro (e spesso li pagano) per promuovere i propri marchi e rinnovare un prodotto la cui immagine è stata notevolmente scalfita dalle campagne anti-alcol.
Scomparso il consumo regolare con gli ultimi baby boomer, il commercio del vino ha cercato la sua salvezza negli scambi internazionali con Paesi tradizionalmente non consumatori. In Francia, economicamente sfiniti dalle crisi che si sono succedute, i consumatori restano preoccupati per la precarietà del loro potere d’acquisto, e ritengono che gli standard nazionali ed europei garantiscano la sicurezza alimentare e del vino, perciò l’esibizione di marchi che vanno oltre questi standard non costituisce più un fattore di differenziazione. Indifferenti alle tecniche utilizzate per adattare la vite e il vino ai cambiamenti climatici, i consumatori non vogliono nemmeno un’etichettatura particolarmente dettagliata delle pratiche enologiche, degli additivi, dei residui o delle biotecnologie utilizzate per la selezione dei lieviti o dei vitigni. I brand semplificano le loro scelte fornendo garanzie di tracciabilità dei prodotti e attenzione al rispetto degli standard sociali, e le indicazioni geografiche vengono usate solo per le vendite a corto raggio e solo se il nome del “produttore” non è sufficiente. Liberato dalle catene del tradizionale modello occidentale codificato nel XX secolo, il consumo di vino e dei suoi derivati è diventato, sotto la guida degli influencer, un’esperienza multiculturale in costante rinnovamento.

Lo “Scenario B”, nominato “Production Innovante et Vertueuse pour des Vins d’Exportation”, definito da quattro parole chiave: gestione tecnologica dei vigneti, pratiche enologiche specifiche, e-commerce e filiera corta, mercato interno in calo, opportunità di esportazione. Con il persistere degli squilibri economici e finanziari negli anni 2020, e gli eccessi della globalizzazione, il libero mercato viene messo in discussione. Gli accordi doganali non consentono ai Paesi, produttori o consumatori, di commercializzare vini prodotti da mosti importati e/o miscelati con vini importati come Do e, più in generale, le pratiche enologiche rimangono molto restrittive all’interno dell’UE e nel mondo, escludendo qualsiasi attività di assemblaggio con vini di origini diverse.

Nonostante la crisi economica e finanziaria, la pressione della società sulla qualità della vita in senso lato - con al centro il concetto di “One Health” che collega salute umana, salute animale e salute dell’ecosistema - promuove modalità sostenibili di produzione agricola e vinicola (riduzione dei pesticidi, macchinari silenziosi) nelle immediate vicinanze delle città, e per soddisfare il bisogno di vini realizzati nel rispetto dell’ambiente e sani per il consumatore. Le moderne biotecnologie sono accettate, a condizione che soddisfino queste aspettative. La domanda di una maggiore sostenibilità spinge la ricerca a fornire nuove molecole e tecniche alternative alla chimica, e i sistemi di tracciabilità “dal campo al piatto” consentono un controllo maggiore e una nuova regolamentazione dell’obbligo di etichettatura delle pratiche e dei prodotti utilizzati nelle lavorazioni. Gli standard europei di etichettatura richiedono l’indicazione di pratiche enologiche, additivi, residui, allergeni e Ogm, il che porta i gruppi agrochimici a offrire soluzioni innovative in termini di precisione dei percorsi tecnici e dei trattamenti, soddisfacendo la domanda di una riduzione degli input nel settore.

Schiacciata dal deterioramento della situazione finanziaria, l’Ue limita il sostegno all’agricoltura e favorisce lo sviluppo dell’economia digitale e delle bio e nanotecnologie per sostenere il settore. Se l’innovazione nella creazione di varietà resistenti non risolve in modo soddisfacente i problemi fitosanitari, le nuove tecniche di comunicazione elettronica che si stanno diffondendo, una gestione di precisione, facilitando il controllo dei costi di produzione (microtrattamenti in vigna con Gps, pilotaggio delle fermentazioni tramite intelligenza artificiale in cantina 24 ore su 24), oltre al monitoraggio in tempo reale dei punti vendita e delle giacenze dei clienti. I programmi di contrasto ai nuovi bio aggressori e alle “malattie complesse” della vite vengono realizzati con tecnologie fornite sotto forma di pacchetti di interventi coordinati dai gruppi agrochimici. Questi piani di intervento possono anche essere esternalizzati ed eseguiti da questi fornitori, e indipendentemente dalle loro dimensioni, i viticoltori approfittano di queste innovazioni.

Con il localismo che prevale sul globalismo, le attività di imbottigliamento rimangono vicine alle zone di produzione, ma spesso molto distanti dai principali luoghi di consumo. Questa situazione avvantaggia gli attori che possono contare su una logistica più operativa, in particolare gli operatori specializzati nell’e-commerce, che sottraggono quote di mercato ai circuiti fisici (Gdo, enoteche) che non hanno le competenze e gli asset specifici per questa specifica attività. Tuttavia, con la quasi scomparsa dei bevitori abituali, e il declino della Gdo nella distribuzione del vino, il settore sta sviluppando altri canali - indipendenti dall’e-commerce puro - di maggiore prossimità (vendite dirette, enoteche) dedicate ai consumatori che desiderano limitare il proprio impatto ambientale e promuovere filiere eque.

Distinguendosi dal biologico, in particolare rifiutando le moderne biotecnologie, la nozione di “vino naturale” viene esplicitamente definita e regolamentata. I commercianti di vino aumentano la loro offerta, dando la priorità ai vini biologici e naturali, rivolgendosi ai consumatori di vino che prestano sempre maggiore attenzione alle interazioni ambiente-salute. Avvicinandoci alla fine degli anni Trenta, il Climate Change non ha effetti significativi sul valore dei vigneti, sulla gerarchia dei terroir o sulla concorrenza tra le regioni vinicole. Sulla base delle rispettive posizioni, concordano su un coordinamento nazionale che limiti la concorrenza interna per resistere alla pressione delle istanze sociali come il rispetto per l’ambiente o la responsabilità sociale delle imprese. Tuttavia, gli operatori non hanno i mezzi o il know-how per effettuare gli investimenti necessari a rivitalizzare la domanda, mentre la dismissione della Gdo riduce le opportunità di esposizione del vino ai consumatori, e anche i nuovi canali locali e gli e-commerce hanno mezzi limitati.

A prendere il controllo della comunicazione sono gli opinion influencer, che indirizzano i consumatori verso i vini esistenti, ma faticano a promuovere lo sviluppo di innovazioni capaci di rilanciare i consumi nazionali. Il consumatore globale percepisce il vino come fattore positivo di salute con un’immagine culturale di prodotto territorializzato e veicolo di apprendimento del gusto e della qualità della vita, che corrisponde proprio all’immagine dei vini francesi. Sebbene vaghi, tipicità e Do sono segni di differenziazione apprezzati dai consumatori di tutto il mondo, in alternativa o in aggiunta ai brand. Eppure, in Francia, l’immagine del vino non viene rafforzata da un marketing e un merchandising efficaci, e il consumo di vino continua a diminuire, sia a casa che nella ristorazione. L’esportazione è quindi un must per lo sviluppo economico del settore, e a causa di questa contrazione del mercato nazionale, per gli operatori che lavorano con prodotti non sufficientemente differenziati e/o che presentano un rapporto qualità/prezzo troppo basso, alcune attività non vinicole diventano più redditizie della vitivinicoltura stessa, e il recupero dei sottoprodotti (distillazione di vinacce e fecce, estrazione di antociani) gioca un ruolo significativo nell’equilibrio economico di queste aziende. In Francia, inoltre, la viticoltura offre poche opportunità ai capitale esterni, e il passaggio di proprietà delle aziende viene effettuato, se necessario, utilizzando intermediari bancari.

Ed eccoci allo “Scenario C”, ossia “Filière Performante et Vin Plaisir”, anch’essa riassumibile in quattro parole: accettazione della genetica, competizione interregionale, assemblaggio di mosto/vino prodotto in Ue e merchandising in soccorso del vino, droga leggera legale e culturalmente accettabile. In Francia, l’attenzione dei cittadini e dei consumatori si focalizza sulla pessima situazione economica, a scapito dell’ambiente e del cambiamento climatico, che è comunque reale. Il cambiamento climatico favorisce ad esempio lo sviluppo di malattie della vite e di nuovi bio-aggressori, contro i quali non esistono fitofarmaci efficaci, finendo per rivoluzionare le aree di produzione del vino, e quindi il valore e la gerarchia dei vigneti.
La maggioranza della società rifiuta la globalizzazione e il libero scambio, anche nel settore vinicolo, i cui mercati sono diventati altamente internazionalizzati. Valorizza, invece, l’autenticità culturale dei vini, garantita da pratiche enologiche precise e restrittive, e dall’imbottigliamento in prossimità delle zone di produzione, e chiede controlli sulla tracciabilità, in gran parte assicurati dalle autorità pubbliche. In assenza di una soluzione fitofarmaceutica, i consumatori accettano varietà resistenti ottenute con le biotecnologie, che puntano al “residuo zero”. I disciplinari delle Indicazioni Geografiche integrano progressivamente queste nuove varietà, che richiedono meno interventi tecnici per il monitoraggio (compresa la digitalizzazione) e i trattamenti, moderando così i costi di produzione.

Poiché le nuove varietà sono ottenute con tecniche escluse dai disciplinari biologici, non apportano benefici a questo settore, ma restano compatibili con la produzione di vini “naturali” orientati al “residuo zero”. La gerarchia dei marchi di qualità non è stata modificata: il segmento “naturale”, ancora giovane, e quello “biologico”, indebolito dal rifiuto della genetica, restano mercati di nicchia.

La forte concorrenza e la ricerca di prezzi contenuti inducono alcuni viticoltori a produrre con un’elevata produttività, e per ottenere una performance ancora migliore, l’attività vitivinicola è spesso accompagnata dalla valorizzazione dei “sottoprodotti” e dei “co-prodotti” (succhi) e di altri sottoprodotti dei succhi (vinacce e fecce, molecole come il resveratrolo), attraverso varie applicazioni della bio-economia, che finiscono per giocare un ruolo significativo nell’equilibrio economico delle aziende. Il livello di formazione nel settore è eterogeneo, ma è in crescita in viticoltura perché le competenze sono essenziali per padroneggiare la gestione di nuove varietà e tecniche agro-ecologiche.

Le nuove varietà sono piantate da aziende agricole di tutte le dimensioni, ma solo quelle grandi - concentrate e specializzate - riescono ad adattare la vinificazione e la commercializzazione alle nuove esigenze. È proprio grazie all’innovazione e alla creazione di nuove varietà che la viticoltura francese si organizza per diventare un “cluster vinicolo” di livello mondiale e di grande attrattiva, che riunisce poli di competitività, ricerca e formazione. Questa evoluzione va a vantaggio delle aziende e delle organizzazioni vinicole, ma l’immagine specifica del vino e la complessità del settore limitano l’ingresso di capitali esterni.

Nel frattempo, i viticoltori sono aiutati da una Pac “di compromesso”, che appare piuttosto ambivalente. Di ispirazione liberale, prevede la soppressione delle autorizzazioni all’impianto, l’autorizzazione al taglio nella Ue di vini e mosti provenienti da Paesi Terzi e, in assenza di un organismo di regolamentazione nazionale e in linea con gli organismi internazionali, rinuncia ad imporre in etichetta l’indicazione delle pratiche enologiche, degli additivi, dei coadiuvanti, dei residui, degli allergeni e degli Ogm. Questa Pac mantiene inoltre pratiche enologiche specifiche e restrittive e l’eco-condizionalità degli aiuti. Di conseguenza, i produttori esitano, tra l’ambizione di un adattamento a lungo termine riducendo l’uso sella chimica, con il rischio di un calo della resa, e l’esigenza di performance immediate. Nonostante l’adozione di nuove varietà che consentono un minore utilizzo di fitofarmaci, persistono gli attriti con chi vive nei territori del vino, con l’attrito tra differenti esigenze economiche, ma anche alimentari, che porta ad una vera e propria competizione per acqua e terreni agricoli, da strappare proprio alla viticoltura.

La migliore collaborazione tra scienziati e settore del vino avviene inizialmente in un clima difficile, con l’immagine generale del vino compromessa, in particolare a causa dell’alcool che contiene, e dove la il consumo di vino nel mondo sta diminuendo. Il vino è percepito come un prodotto alimentare potenzialmente pericoloso, persino una droga. I consumatori “globalizzati” si stanno allontanando dalla nozione di terroir e Do a favore dei vini del brand senza indicazioni geografiche. Più occasionali e diffidenti nei confronti dei vini entry level, i consumatori rimangono comunque molto attenti ai prezzi, e si scoprono restii ad impegnarsi sui top di gamma, rifugiandosi nell’offerta di prodotti di fascia media.
In Francia il consumo di vino ristagna, messo in difficoltà da questa immagine generale ormai rovinata, e trainato principalmente da consumatori occasionali curiosi di esplorare tutte le fasce di prezzo dei vini proposti. È un consumo volutamente liberato dai suoi attributi alimentari, per entrare su certi segmenti in una sfera vicina alle droghe leggere legali e culturali, pertanto i consumatori non cercano tanto informazioni sull’impatto sociale o ambientale dei vini. Lo sviluppo delle varietà resistenti ha ridotto sia la pressione sui prodotti agro chimici che le richieste di migliori pratiche ambientali e dei residui indicati in etichetta. Garanzie e controlli sono affidati agli enti pubblici, anche se la tracciabilità dei processi produttivi risulta essere di attendibilità approssimativa, ed i costi dei controlli troppo elevati.

Mentre i produttori francesi faticano ad attuare un marketing innovativo, la grande distribuzione, invece, aumenta le sue performance attraverso un nuovo merchandising efficace, con cui stimola anche il mercato interno. Aumenta così il valore aggiunto della filiera vino, e vengono vinte le resistenze sociali e psicologiche alla modernizzazione. I clienti sono meglio consigliati, specie nel punto vendita o sui siti di e-commerce del vino, mentre il potere degli influencer e dei media va diminuendo.
Di fronte alla lentezza dei mercati internazionali, e sfruttando l’efficienza dei distributori, i rivenditori francesi tornano a concentrarsi sul mercato interno, dove si intensifica la concorrenza, con ogni Regione che sviluppa una gamma completa di prodotti, dai rosati a bassa gradazione alcolica agli spumanti, ai rossi da lungo invecchiamento. Il valore aggiunto si sposta così verso il trading, e nuovi operatori del “wine blending europeo” approfittano del cambiamento climatico e delle liberalizzazioni per approvvigionarsi da altri Paesi della Ue. Questi sviluppi contribuiscono a migliorare l’immagine del vino, ma a costo di un riposizionamento - nella cornice delle droghe leggere legali - e di una revisione significativa della ripartizione del valore aggiunto lungo la filiera.

Infine, lo “Scenario D”, ribattezzato “Filières Régionales Coordonnées et Pluralité des Signes de Qualité”, definito da questi concetti chiave: tecnica viticola, coordinamento interregionale, vini non standardizzati e senza residui, Ig ed etichette ambientali, etichettatura alimentare. Ma procediamo con ordine. In questo scenario, il periodo di intensa crisi economica e finanziaria “post Covid-19” si è concluso a livello internazionale alla fine degli anni 2020, ma ha lasciato strascichi importanti, in particolare a livello sociale e politico, nelle economie sviluppate. Il protezionismo è stato alla fine respinto, e il mercato mondiale ha ripreso il suo cammino, ma la pressione sociale ha imposto il rispetto per l’ambiente in cima all’agenda politica. Più consapevoli e meglio informati sullo sviluppo sostenibile e sulla responsabilità sociale delle imprese, i cittadini consumano prestando attenzione al proprio impatto ambientale e sociale, compresa la “salute”, e l’Ue, quindi, continua a sostenere l’agricoltura subordinando gli aiuti alla sostenibilità delle imprese.

Vengono implementate soluzioni tecniche - varietà resistenti, forte riduzione delle dosi di pesticidi, macchinari silenziosi, creazione di spazi verdi boschivi tampone - per ridurre le potenziali tensioni scaturite dalla convivenza tra aree rurali ed urbane, e così l’agricoltura, e la viticoltura in particolare, smettono di venire sistematicamente percepite come attività contrarie agli equilibri ambientali, o in competizione per l’uso di risorse limitate come l’acqua. Il progresso tecnico ha permesso questo passo avanti, e in particolare l’innovazione varietale, con la possibile associazione di queste varietà con le pratiche agronomiche che comprendono innovazioni agrochimiche come stimolatori delle difese naturali, molecole “multisito” di nuova generazione contro i bioaggressori, alta persistenza, basso residuo. Tutto ciò ha permesso di perseguire l’obiettivo di una viticoltura che sia allo stesso tempo “pulita” e adattata ai cambiamenti climatici.

Per ottenere queste varietà è tollerato l’utilizzo di nuove tecniche di miglioramento genetico delle piante, in particolare per attutire gli effetti sulla variabilità delle rese agricole, ma le biotecnologie non sono socialmente accettate per migliorare i lieviti, percepiti come troppo vicini all’alimento. La viticoltura biologica accetta di accedervi per continuare a vietare efficacemente i fitofarmaci sistemici, superando il rischio di impasse tecnica (anche con il supporto di nuovi apporti agrochimici biocompatibili), ma i vini “naturali” si astengono dal farlo, acquisendo così una loro identità normativa. L’adozione di queste innovazioni tecniche garantisce che il cambiamento climatico non aumenti i costi di produzione e non abbia un impatto significativo sul valore dei vigneti e sulla gerarchia dei terroir.

Allo stesso tempo, per facilitare il commercio, le normative sul vino si stanno avvicinando agli standard agroalimentari, e gli accordi doganali internazionali consentono a tutti i Paesi di commercializzare con il loro “made in” vini prodotti sul loro territorio da mosti importati e/o miscelati con vini importati da qualsiasi regione, anche sul territorio Ue. Persino l’aggiunta di aromi e acqua, pratiche sicure per il consumatore, vengono liberalizzate all’interno della Ue e nel mondo,e questi sviluppi finiscono per attirare investitori da altri settori, che costituiscono una nuova categoria di attori, quasi esclusivamente “blender” che utilizzano vini di varia origine, contribuendo così a una sempre maggiore delocalizzazione dell’imbottigliamento, verso in luoghi di ri-esportazione e consumo.
La relativa stabilità della notorietà e delle condizioni di concorrenza tra le diverse aree viticole, e al loro interno tra le Indicazioni Geografiche, è potenzialmente compromessa dal rischio di un’accresciuta competizione in cui questi blender internazionali possono far precipitare il settore. La loro logica commerciale si basa infatti sul brand, alla base della piramide dell’offerta, e poi per fasce di prezzo crescenti, fino ai vini a Indicazione Geografica selezionati scegliendo il miglior offerente, e quindi sostituibili tra loro, garantendo al tempo stesso un controllo logistico che li rende interlocutori potenzialmente privilegiati per la distribuzione internazionale.

La contrattualizzazione consente al settore di continuare a lavorare con prodotti sufficientemente differenziati, associati a un rapporto qualità/prezzo accettabile dalla gran parte dei consumatori, che rimangono sensibili ai vini non “omologati”, anche se questa omologazione si sta sviluppando in tutto il mondo, sotto la crescente influenza dei “blender” internazionali. Si evolve anche la Grande Distribuzione, che sente minacciato il modello classico dell’ipermercato, e i principali marchi orientano il loro merchandising verso un nuovo e massiccio investimento nel reparto vini, per facilitare la scelta del consumatore. Di conseguenza, con una progettazione degli spazi dedicati al vino all’interno dei supermercati, beneficiando anche di app in grado di guidare i clienti, la grande distribuzione aumenta le proprie performance di vendita del vino, anche conquistando nuovi consumatori.

Con consigli migliori nel punto vendita, i clienti hanno meno bisogno dei consigli di opinion leader e altri influencer, così come di riviste specializzate o social network, che svolgono un ruolo limitato nella scelta dei consumatori, e contribuiscono meno di prima a mantenere alta l’immagine dei vini francesi sui mercati internazionali. I marketer francesi si concentrano quindi maggiormente sui mercati francesi più accessibili, supportati dagli sforzi dei distributori, e di conseguenza il peso delle esportazioni nel totale del commercio enoico è in diminuzione.

In questo scenario, infine, siccome la tracciabilità e l’accesso alle informazioni sono stati migliorati dalle nuove tecnologie, l’integrazione del vino nella regolamentazione comune dei prodotti alimentari si estende all’etichettatura delle pratiche e dei prodotti utilizzati nella produzione. Così, per il vino come in altri settori, le norme internazionali di etichettatura richiedono l’indicazione delle principali ingredienti e di tutti gli additivi, coadiuvanti, residui e allergeni e Ogm. Al posto dei marchi tradizionali di qualità (Ig, Biologico), l’etichettatura di altre qualità (senza Ogm, senza residui, senza lieviti esogeni) prende piede per soddisfare le aspettative “One Health” dei consumatori. Alcune Ig scelgono anche di includerne alcune nelle loro normative, ma mentre i marchi tendono a sovrapporsi, Dop e Igp perdono la capacità di rappresentare, sul mercato, un segno distintivo di qualità.

Di fronte alla complessità delle informazioni da sintetizzare, e in particolare alla molteplicità di certificazioni e quindi marchi ecologici, i consumatori e le autorità comunitarie danno il via libera ad app - tipo Yuka - che integrano tematiche “One Health” e promuovono una sintesi delle caratteristiche del vino in etichetta, compresi gli impegni per la sostenibilità assunti dei venditori finali. La componente “alcolica”, da un punto di vista salutistico, declassa automaticamente il vino, e il settore è portato a “lavorare” forte sugli altri aspetti della sostenibilità, ambientale e sociale in particolare. Sostenuto da aiuti eco-condizionali, il settore vitivinicolo risponde positivamente alla domanda che arriva dalla società di una riduzione degli input chimici.

Ad ogni scenario, corrispondono problematiche e conseguenze diverse per il settore del vino francese, ma nessuno di questi può essere considerato una previsione. Si tratta, più semplicemente, di futuri possibili e credibili, ma senza considerare le probabilità che si verifichino. Di fronte ai quali, però, si possono avere cinque atteggiamenti diversi: proattività positiva (agire sin da oggi per favorire il verificarsi di uno scenario); proattività negativa (agire oggi per scoraggiare il verificarsi dello scenario); reattività anticipata (prepararsi oggi al verificarsi dello scenario); monitoraggio (porre lo scenario sotto sorveglianza, per sapere se si possa effettivamente verificare, come e in che tempi); nessun atteggiamento (se lo scenario non è considerato di particolare interesse).

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