
Se esiste un Regno dell’enologia in Italia non può essere che Antinori. E il suo monarca indiscusso è Piero, classe 1938, un pioniere da sempre impegnato nella ricerca di un perfetto quanto difficile connubio tra integrazione e innovazione (un connubio che sta ispirando anche la costruzione di una supercantina avveniristica a San Casciano Val di Pesa, a Firenze per un investimento è di circa 50 milioni di Euro). I numeri di Antinori parlano da soli: un fatturato di 165 miliardi nel 2000, un’estensione di 1.416 ettari in Italia e 1.666 nel mondo, cifre che ne fanno la più grande azienda vitivinicola d’Europa. Il 50 % della produzione resta nel nostro Paese, l’altra metà va all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, in Germania e in Gran Bretagna. Gli Antinori costituiscono un’enorme potenza commerciale, e la loro immagine è uno dei simboli dell’italian style nel mondo. Ma come si costruisce un simile impero? La storia degli Antinori come “vinattieri” comincia nel lontano Medioevo, ma è degli ultimi 30 anni l’accelerazione decisiva che li innalza al gotha dei grandi nomi del pianeta. Nel 1966, dopo il ritiro del padre Niccolò, Piero Antinori diventa presidente dell’azienda: seppur conscio delle tradizioni secolari alle sue spalle, non ha mai smesso da quel momento di sperimentare, innovare, ricercare la qualità assoluta per i suoi vini. E forse si deve a questa sua capacità di mettersi costantemente in discussione il successo raggiunto ai nostri giorni. Negli anni Settanta, nel periodo buio del Chianti, quando la reputazione e l’immagine del vino simbolo della Toscana fu messa duramente alla prova, Piero Antinori si concentra sulla fermentazione malolattica, così da rendere possibile l’eliminazione del “governo” alla toscana, ovvero l’aggiunta di uve secche al mosto per indurre una seconda fermentazione allo scopo di ridurre l’acidità. Decide di togliere le uve bianche da uno dei suoi Chianti Classico, il Tignanello, correndo il rischio e facendolo declassare a vino da tavola. Si basa sull’uso dei vitigni tradizionali locali, in primis il Sangiovese, ma con un occhio attento alle altre varietà. Seguendo l’interesse del padre, comincia a impiantare vitigni internazionali: Chardonnay, Sauvignon Blanc, Gewurztraminer. Adotta le tecniche più innovative, iniziando un lavoro di sperimentazione in vigneto e in cantina: ricerca di nuove selezioni clonali, differenti densità di impianto, colture ridotte. E’ uno dei primi in Italia a utilizzare le barriques (piccole botti in rovere da 225 litri) importate dalla Francia, quando ancora i vini venivano affinati in enormi botti vecchie. Prende la difficile decisione di non imbottigliare i vini rossi nelle annate problematiche, per garantire un livello costante di eccellenza. Tutte cose che adesso fanno quasi sorridere, tanto sono entrate nella normale pratica delle più moderne aziende vitivinicole: ma allora erano esperimenti considerati addirittura bizzarri. E’ anche grazie a Piero Antinori che la cultura vinicola italiana ha fatto un salto in avanti verso la qualità. I migliori testimoni del lavoro compiuto sono i suoi vini: Tignanello e Solaia, prestigiosi Super Tuscan; Galestro Capsula Viola, un successo commerciale senza precedenti; Santa Cristina, uno dei migliori rossi italiani per rapporto qualità/prezzo. Sorge il dubbio che gli Antinori il vino ce l’abbiano nel Dna: il fratello minore, Ludovico, produce a Bolgheri l’Ornellaia, altro famoso Super Tuscan (piazzato al primo posto quest'anno nella classifica mondiale del "Wine Spectator"). Le figlie di Piero hanno deciso di continuare l’attività di famiglia: Albiera affianca il padre in tutte le decisioni strategiche, ed è presidente della casa vinicola Prunotto in Piemonte; Allegra è responsabile delle pubbliche relazioni; Alessia, enologo, si occupa della produzione.
Il cuore pulsante dell’azienda
Per avvertire in pieno il fascino della storia di Antinori (www.antinori.it) basta entrare nel loro quartier generale, quel palazzo rinascimentale nel centro di Firenze, costruito dal famoso architetto Giuliano da Maiano nella seconda metà del 1400, e acquistato da Niccolò Antinori agli inizi del secolo successivo. Da allora l’imponente edificio è la residenza ufficiale della famiglia. Appena varcato l’ingresso principale ci si lasciano alle spalle i rumori convulsi del traffico per immergersi in un’atmosfera d’altri tempi. All’interno del palazzo, come in un museo, sono conservati quadri, arazzi, sculture e mobili antichi dal valore inestimabile. Gli Antinori ci vivono, ma non solo: qui hanno sede gli uffici, si riuniscono i collaboratori, si prendono decisioni con lo staff tecnico. E’ facile incontrarvi il winemaker Renzo Cotarella, direttore della produzione, già a capo del Castello della Sala. Nel cortile del palazzo si trova la Cantinetta Antinori, un ristorante che riprende l’usanza delle nobili famiglie fiorentine che vendevano in città i prodotti delle loro tenute di campagna. Alla Cantinetta, oltre alla tipica cucina toscana, si possono assaggiare tutti i vini di Antinori, al bicchiere e alla bottiglia, anche quelli ormai difficili da trovare in commercio. Il successo della Cantinetta è tale che ne sono state aperte altre due, a Zurigo e a Vienna.
C’era una volta … una storia lunga 600 anni
Scorrendo la lunga storia dei marchesi Antinori si è colti da un attimo di smarrimento: il pensiero di tutti i secoli, gli antenati, gli stemmi e i blasoni può far girare la testa ad un comune mortale. Quella degli Antinori è una saga familiare con un alone di leggenda, che da 26 generazioni tramanda di padre in figlio l’amore e la cultura del vino. Tutto ha inizio nel 1180 quando un lontano antenato, Rinuccio, comincia a produrre vino al Castello di Cambiate, vicino a Calenzano: ma il vero capostipite è Giovanni di Piero Antinori, che nel 1385 entra a far parte della corporazione dell’Arte dei Vinattieri come apprendista. Ottiene un grande successo, e la produzione di vino diventa una parte importante negli affari di famiglia, insieme al commercio della seta e alle attività bancarie. Le vicende degli Antinori si legano fin da allora a quelle dei Medici, la stirpe dominante a Firenze. Nel 1543 Alessandro Antinori, all’epoca uno degli uomini più ricchi della città toscana, scrive a Cosimo dei Medici dichiarando che l’imperatore Carlo V d’Asburgo ha confiscato una nave di sua proprietà carica di vini Malvasia: la lettera è ancora nell’Archivio di Stato fiorentino. Un secolo dopo Francesco Redi, illustre poeta alla corte del granduca Cosimo III dei Medici, scrive il famoso “Bacco in Toscana” elogiando i vini Antinori: «La d’Antinoro… d’un Canajuol maturo, spreme un mosto sì puro che ne’ vetri zampilla, salta, spumeggia e brilla!». Dal 1700 gli Antinori cominciano a spedire i loro vini fuori dai confini nazionali, incontrando favori e riconoscimenti specialmente nel Regno Unito. Nel 1861, dopo l’Unificazione d’Italia sotto i Savoia, alle nobili famiglie che hanno dato il loro contributo vengono conferiti i titoli di marchese. Antinori è tra queste, e adotta come motto “Te Duce Proficuo”, ovvero “la ricerca dell’eccellenza”, aggiungendolo al proprio stemma originale disegnato dai Della Robbia. Alla fine dell’Ottocento viene fondata l’attuale Marchesi Antinori, chiamata in origine Marchesi L&P Antinori. Vengono modernizzate le quattro tenute in Toscana, mentre crescono le esportazioni verso New York, Londra e Buenos Aires. Dal 1905 gli Antinori iniziano a produrre a San Casciano uno spumante metodo classico: prima con la consulenza di Lucien Charlemagne, celebre creatore di Champagne, poi di Georges Grandvalet, enologo del famoso marchio francese Mumm. Giacomo Puccini scrive: «Caro Piero, mi dicono che avete prodotto lo Champagne di un grande aristocratico». L’amicizia tra Piero Antinori e il musicista è di vecchia data, tanto che è il marchese a suggerire a Puccini il libretto per l’opera “La fanciulla del West”. Per i primi quarant’anni del secolo Antinori è il fornitore ufficiale della Casa Reale d’Italia. Dal Marchese Niccolò Antinori e da Carlotta della Gherardesca nascono tre figli: Ilaria (1936), Piero (1938) e Ludovico (1942). La famiglia acquista nel 1940 il medioevale Castello della Sala a Ficulle, nei pressi di Orvieto, per iniziare una produzione di vini bianchi. La tenuta, di 550 ettari, comprende 25 fattorie con vigneti, uliveti e boschi. Nel 1961 Niccolò assume come enologo Giacomo Tachis. Inizia un periodo di grande trasformazione della viticoltura, e si introducono numerosi cambiamenti: vinificazione a temperatura controllata, misure diverse di botti, nuovi uvaggi. Nascono le figlie di Piero: Albiera (1966), Allegra (1971) e Alessia (1975). Niccolò si ritira e il figlio Piero diventa presidente. Con lui iniziano le sperimentazioni che apriranno la strada ad un nuovo modo di fare il vino in Italia: vendemmie anticipate delle uve bianche, serbatoi di acciaio, imbottigliamento sterile a freddo, utilizzo delle barrique. In questi ultimi trent’anni gli Antinori hanno prodotto vini apprezzati a livello internazionale, contribuendo alla rinascita dell’enologia nel nostro Paese. Con la nascita di Vittorio, figlio di Albiera, si fa avanti una nuova generazione di Antinori, la ventisettesima.
Antinori, per tutti i gusti e per tutte le tasche
La gamma dei vini prodotta da Antinori è talmente vasta da soddisfare ogni tipo di richiesta degli amanti del buon bere: si va dai vini con un ottimo rapporto qualità/prezzo a quelli di livello eccellente, fino ai cult wine, che raggiungono quotazioni da capogiro.
Toscana e Umbria, le origini
Il cuore della produzione è naturalmente in Toscana: qui gli Antinori possiedono numerose tenute nelle zone più vocate: Chianti, Montalcino, Montepulciano, Maremma e Bolgheri. Nel Chianti Classico ci sono le storiche tenute Santa Cristina, Pèppoli e Badia a Passignano, da cui nascono il Solaia e il Tignanello, vini top dell’azienda, e i Chianti Classico Docg. Nella zona di Montepulciano hanno sede La Braccesca e Le Maestrelle, in cui si producono il Vino Nobile di Montepulciano Docg, il Rosso di Montepulciano Sabazio e il Merlot (Toscana Igt). Non poteva mancare Montalcino, in cui nella tenuta Pian delle Vigne si produce l’omonimo Brunello. A Bolgheri, nella tenuta Belvedere, nascono Guado al Tasso (Bolgheri Doc Superiore), Scalabrone (Bolgheri Rosato Doc) e Vermentino (Bolgheri Doc). In Maremma, zona emergente, si produce l’Aleatico (Toscana Igt) nella Fattoria Aldobrandesca di Sovana. Al Galestro (che prende il nome dal terreno duro e roccioso comune in tutta l’area del Chianti) va riservata una menzione speciale: ottenuto da uve Trebbiano e Malvasia raccolte precocemente per esaltarne la freschezza, nasce da una circostanza particolare. Quando alla Antinori fu deciso di eliminare le uve bianche dalla produzione del Chianti, ci si rese conto che quei vigneti di varietà autoctone restavano inutilizzati. Da qui la volontà di produrre un bianco innovativo, fresco e piacevole, che è finito per diventare uno dei più grandi successi commerciali dell’azienda. In Umbria c’è il “gioiello” di famiglia, quel Castello della Sala nella zona dell’Orvieto Classico Doc, in cui si producono i famosi Cervaro e Muffato. Il Cervaro della Sala, considerato uno dei migliori vini bianchi italiani, nasce dall’intuizione di un allora giovanissimo Renzo Cotarella, che nei primi anni Ottanta decide di produrre un bianco che possa competere con i grandi cru di Borgogna. Viene ricavato da un assemblaggio di uve Chardonnay (85 %) e Grechetto (15 %): una matrice internazionale a cui si aggiunge il tocco esclusivo di un vitigno locale. Il vino si affina in barrique nuove per circa 10 mesi, e per un ulteriore anno e mezzo in bottiglia. Il Muffato della Sala si ricava da uve Sauvignon, Grechetto, Traminer e Riesling attaccate dalla Botrytis Cinerea, la “muffa nobile” che dà origine in Francia ai profumati Sauternes.
Verso il futuro
Nell’ultimo decennio gli Antinori sono salpati dalla natia Toscana per nuove avventure: Piero Antinori, con il fiuto che lo contraddistingue, ha deciso di investire in altre zone in Italia e all’estero. In Piemonte ha acquistato la Casa Vinicola Prunotto (www.prunotto.it), affidata alla figlia Albiera. Qui, nel cuore delle Langhe, si producono il Barbaresco Montestefano, il Barolo Bussia di Manforte, il Barolo Connubi e alcune Barbera d’eccezione. Recentemente si sono aggiunte la Puglia, con due tenute, e la Franciacorta. Grazie ad un accordo con l’azienda della Contessa Camilla Maggi, Antinori produrrà un Franciacorta Docg Metodo Classico: dai 40 ettari di vigneto, coltivato principalmente a Chardonnay, usciranno circa 60.000 bottiglie, che saranno messe in vendita per la prima volta nel Natale del 2002. In California, affascinato da quei paesaggi collinari così simili ai dolci declivi toscani, Piero Antinori ha fatto una joint venture con l’azienda Atlas Peak in Napa Valley (www.atlaspeak.com), 486 ettari di vigneti in cui si producono Sangiovese, Cabernet e Chardonnay. Ha investito anche in Ungheria, puntando sulla tenuta di Bataapàti, a Szekszard, da cui escono bianchi e rossi di qualità. Ma non basta: gli ultimi acquisti riguardano lo stato di Washington e Malta.
I miti: Solaia e Tignanello
Prendete un genio dell’enologia come Giacomo Tachis, unite l’estro e la voglia di sperimentazione di un grande produttore come Antinori, aggiungete terreni vocati ai massimi livelli: il risultato non poteva essere che eccezionale. Il riconoscimento definitivo è arrivato negli ultimi mesi, e proprio da quella bibbia internazionale che detta legge in materia di vino: il Wine Spectator ha eletto il Solaia 1997 miglior vino dell’anno. E’ la prima volta nella storia che un vino italiano raggiunge il vertice della classifica, selezionato tra oltre 11mila etichette provenienti da tutto il mondo. Il Solaia nasce nel 1978: una cuvèe di Cabernet Sauvignon (75 %), Sangiovese (20 %) e Cabernet Franc (5%) che fa da apripista al modello dei Super Tuscan, ormai osannato da tutti ma che a quel tempo rappresentava una novità guardata con diffidenza. Il vino è invecchiato in botti da 225 litri per circa 14 mesi, poi riposa in bottiglia per un ulteriore anno di affinamento. Già negli anni precedenti Antinori diede il via ad una grande innovazione. Nel 1971 venne presentata la prima annata di Tignanello, suscitando un grande scalpore: per la prima volta infatti un Sangiovese si dimostrò all’altezza dei grandi cru francesi. Il Tignanello nacque dalla coraggiosa decisione di Piero Antinori di eliminare da uno dei suoi vini le uve bianche previste dal Disciplinare del Chianti. Allora l’immagine del Chianti era decisamente offuscata, a causa di un regolamento che consentiva grandi produzioni di livello mediocre, con l’effetto di allontanare i consumatori e renderli diffidenti. Così il Tignanello fu declassato da Chianti Classico a semplice vino da tavola, ma la sua finezza ed eleganza ne determinarono ben presto il grande successo. Proveniente dall’omonimo vigneto nella tenuta di Santa Cristina, il Tignanello è un assemblaggio di Sangiovese (80 %), Cabernet Sauvignon (15 %) e Cabernet Franc (5 %), affinato in piccole botti di rovere. E’ il primo vino rosso dell’era moderna prodotto nel Chianti senza uve bianche, il primo a contenere un vitigno non autoctono e sempre il primo ad essere affinato in barrique. Tre primati in un colpo solo: un record davvero difficile da eguagliare.
Eleonora Ciolfi
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