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Continua a crescere in ogni canale di vendita, l’agroalimentare italiano biologico, che ormai supera i 10 miliardi di euro in valore tra consumi interni ed export. E rivendica un ruolo da protagonista nel settore, e anche nella politica, italiana ed europea, affermando con forza, anche nei confronti della nuova legislazione Ue, che il “Green Deal” non è il nemico. Messaggi e numeri che arrivano da Sana Food e Slow Wine Fair 2025, per la prima volta in sinergia, a BolognaFiere (23-25 febbraio), dove è andata in scena anche la “Rivoluzione Bio” 2025, partita dai dati dell’Osservatorio Sana Food 2025 di Nomisma (illustrati da Silvia Zucconi ed Evita Gandini, che WineNews ha intervistato). Secondo cui, nel 2024 le vendite alimentari di prodotti bio sul mercato interno sono cresciute del +5,7% sul 2023. A trainare la crescita del mercato sono prevalentemente i consumi domestici che sfiorano i 5,2 miliardi di euro. Si ridimensiona, invece, la crescita del fuori casa osservata nella precedente rilevazione, per un valore complessivo di 1,3 miliardi di euro. Per un totale, dunque, di 6,5 miliardi di euro. La distribuzione moderna (3,3 miliardi di euro, +5,3% sul 2023) si riconferma il primo canale per gli acquisti bio degli italiani e pesa per il 64% del totale delle vendite legate ai consumi domestici.
Iper e supermercati sono i canali che, nella Distribuzione Moderna, veicolano la maggior parte delle vendite Bio superando 1,6 miliardi di euro nel 2024. Tra gli altri canali, in forte espansione spiccano i discount con vendite di prodotti biologici pari a quasi 350 milioni di euro, in crescita del +6% sul 2023. Da segnalare, la performance leggermente negativa dell’e-commerce che segna una flessione del -0,4% a fronte di vendite pari a 75 milioni di euro. Il canale specializzato bio supera il miliardo di euro nel 2024, segnando un significativo incremento (+9%) sulla crescita più contenuta degli anni precedenti.
Positiva anche la performance dell’export di prodotti agroalimentari italiani bio, che nel 2024 raggiunge 3,9 miliardi di euro, con un incremento del +7% sul 2023. La crescita segue l’andamento positivo dell’intero settore agroalimentare. Considerando i mercati esteri, dall’indagine Nomisma, su 336 imprese italiane, emerge come le principali destinazioni per i prodotti bio siano la Germania, la Francia, la Scandinavia, il Benelux e gli Stati Uniti. Le prospettive per il biologico italiano sui mercati esteri sono decisamente promettenti: circa un terzo delle aziende italiane del settore food & beverage che oggi non esporta bio, prevede di farlo nei prossimi 2-3 anni. Inoltre, il binomio bio-made in Italy si conferma un fattore di successo, con un’ottima reputazione e percezione sui mercati esteri: per il 49% delle aziende del settore food e il 64% delle aziende del settore wine, l’origine italiana e la notorietà del territorio di produzione rappresentano uno dei principali fattori di successo dell’export bio sui mercati internazionali. Peraltro, l’Italia è sul podio tra i Paesi produttori bio di maggiore qualità secondo il consumatore dei principali mercati esteri di riferimento (negli Usa il 45% cita proprio il nostro Paese quando pensa al bio di qualità) ed è elevata la quota di user bio stranieri interessati al bio italiano: si va dal 23% del Benelux all’85% registrato nei Nordics. Mentre tra gli italiani (8 su 10 dicono di prestare più attenzione a ciò che mangiano, per sentirsi bene, mantenersi in forma e prevenire malattie) chi acquista bio sceglie prevalentemente in base all’origine del prodotto: il 47% dei consumatori presta attenzione all’origine italiana o locale/km 0 (32%) delle materie prime, mentre il 34% cerca la presenza di certificazioni Dod/Igp. Inoltre, aumenta l’interesse per prodotti bio con confezioni sostenibili (20%) e 100% vegetali (20%). Se si considerano le categorie di prodotti healthy, il biologico si conferma un driver di scelta, guidando il 22% dei frequent user nell’acquisto di prodotti vegetali. Tra le motivazioni legate all’acquisto delle diverse categorie di prodotti healthy, il biologico conferma le maggiori garanzie in termini di salute (30%), rispetto per l’ambiente (24%) e qualità (12%).
Guardando al fuori case, invece, secondo l’indagine realizzata da Nomisma per l’Osservatorio Sana Food, prodotti tipici del territorio e a km 0 sono il “must have” dell’away from home per circa 9 consumatori su 10. Ma sul podio ci sono anche i prodotti biologici, la cui presenza risulta fondamentale per il 68% degli italiani. Nel complesso il consumatore bio è più esigente e attento rispetto alla scelta del locale e alle caratteristiche di servizio offerte. Oltre a familiarità e consigli di amici e parenti, il consumatore bio valuta in maniera più approfondita la reputazione del luogo scelto per mangiare fuori (tramite recensioni, punteggi online, guide) e l’accoglienza/ambiente del locale.
“L’andamento positivo del biologico riflette la crescente consapevolezza di fare scelte alimentari responsabili, sia per la propria salute che per l’ambiente - afferma Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio - il biologico unisce l’identità e l’eccellenza delle produzioni enogastronomiche italiane con l’attenzione alla sostenibilità garantita da pratiche agronomiche che aumentano la fertilità del suolo e non utilizzano chimica di sintesi. Negli anni, il biologico è uscito dalla dimensione di nicchia, ma c’è ancora ampio spazio di espansione considerato che molti Paesi europei hanno consumi interni superiori rispetto ai nostri. Per questo è importante continuare a dare impulso al settore, con attività di informazione, promozione ed educazione alimentare, a partire dalle scuole. Un sostegno concreto arriverà dal Marchio biologico italiano, che, oltre a favorire la presenza dei prodotti bio nei mercati internazionali, assicura un’immediata riconoscibilità, rafforzando il ruolo degli agricoltori e favorendo la collaborazione tra produzione, trasformazione e distribuzione. È proprio la capacità di fare sistema che dobbiamo spingere per favorire lo sviluppo di filiere di made in Italy bio al giusto prezzo, consolidando il legame tra cittadini e produttori biologici”. “I dati presentati oggi, con il biologico fuori casa che raggiunge 1,3 miliardi di euro, in aumento del 5% sul 2023, confermano la validità dell’intuizione di dedicare il nuovo format di Sana Food ai professionisti dell’horeca e del retail specializzato. L’evento si propone come hub di confronto e sviluppo per la business community, chiamata a ripensare il ruolo dell’alimentazione away from home in un’ottica sempre più orientata alla sana alimentazione e alla sostenibilità ambientale e sociale. Sana Food interpreta la crescente consapevolezza dei consumatori riguardo a salute e benessere, insieme alla loro preferenza per cibi e bevande salutari anche al bar, al ristorante, in mensa e in generale fuori casa”, ha commentato Claudia Castello, Exhibition Manager Sana.
Un settore, quello del bio, su cui puntano anche le organizzazioni agricole del Belpaese. “I dati dall’analisi sul biologico dall’Osservatorio Sana Food 2025 sono sicuramente positivi sia in termini di superfici bio che di operatori coinvolti, ma non dobbiamo sederci sugli allori. Il settore va sostenuto e tutelato sia nelle politiche che nelle risorse dedicate alla ricerca e all’innovazione per arrivare ad una Sau (superficie agricola utilizzata) del 25% in tutto il Paese. Penso soprattutto ad alcune filiere nelle quali dobbiamo implementare le quote produttive, riducendone l’import - ha detto il presidente di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini - le aziende biologiche sono più grandi e più giovani rispetto a quelle convenzionali. La superficie media nazionale delle aziende bio (29 ettari) è quasi il doppio di quella media delle aziende agricole italiane; anche rispetto al tema del ricambio generazionale, la percentuale di aziende bio condotte da giovani è molto più alta di quella che si registra nel panorama nazionale, anche se c’è ancora molto da fare nelle aree interne perché non c’è omogeneità su tutto il territorio. Ora servono risposte adeguate da un rinnovato quadro di sostegno finanziario da parte dell’Ue e con la contestuale piena attuazione di quanto previsto nel Piano di Azione Nazionale sul Biologico”.
Una parte importante, sul tema del biologico, la recitano anche le cooperative, che secondo i dati Ismea analizzati da Fedagripesca Confcooperative vedono crescere il loro fatturato bio del +3,8%. L’indagine ha interessato un campione di cooperative proprietarie dei marchi leader del comparto biologico presenti nella Gdo e nella distribuzione specializzata e che hanno fatturato nel 2023 un totale di 2,7 miliardi di euro. Il settore produttivo più rappresentato è il vitivinicolo, seguito dall’ortofrutticolo, il seminativo e il lattiero caseario. Una cooperativa su due commercializza i propri prodotti anche all’estero con quote di fatturato ancora non significative, ma con buoni margini di crescita. Inoltre, più dell’86% delle cooperative biologiche è in possesso di un’ulteriore certificazione: le più diffuse sono quelle connesse ai regimi di qualità Ue (quali Dop, Igp e Stg) e le certificazioni di processo. Molto alta l’attenzione delle cooperative biologiche verso la sostenibilità delle produzioni: più del 75% utilizza energie rinnovabili, di queste oltre il 92% è anche produttore di energia. Tra le cooperative che hanno partecipato all’indagine, le motivazioni che dovrebbero stimolare le aziende agricole biologiche a conferire in cooperativa le proprie produzioni sono riferibili a logiche di filiera come un’equa e tempestiva remunerazione ai soci (25%), accordi lungo la filiera, che danno la certezza del prezzo (24%), organizzazione della domanda e dell’offerta con conseguente facilità di conferimento del prodotto (28%), e fornitura di servizi continui di assistenza tecnica (15%). “La frammentazione del settore agricolo italiano - ha commentato Francesco Torriani, presidente Settore biologico Confcooperative, alla quale aderiscono la maggior parte delle cooperative analizzate - è una criticità che può essere affrontata attraverso l’aggregazione tra produttori, mettendo insieme l’intera filiera, dalla produzione fino alla commercializzazione del prodotto finito, migliorando di conseguenza l’efficienza e la distribuzione del valore lungo la filiera a vantaggio del produttore e del consumatore finale. L’aggregazione consente inoltre di realizzare investimenti in innovazione e di offrire servizi di valore come certificazione e digitalizzazione, permettendo di perseguire l’obiettivo della produttività e distintività, binomio strategico per il futuro dell’agricoltura biologica”.
Ma il bio è di successo anche tra i produttori più piccoli. “Crescono gli acquisti di prodotti biologici nei mercati contadini che si stanno gradatamente affermando come un nuovo canale di vendita, con i prodotti bio oggi presenti in un farmers market su due”, afferma Coldiretti, sui dati di un’indagine condotta da Ismea assieme a Coldiretti Bio e Campagna Amica divulgata al Sana Food. Tra chi frequenta i farmers market, l’acquisto diretto dal produttore è diventato, infatti, il principale canale di approvvigionamento dei prodotti bio, davanti a supermercati e negozi specializzati. Una tendenza spinta dal fatto che proprio la presenza “fisica” degli agricoltori rappresenta una garanzia di qualità e autenticità di quanto si va a mettere nella borsa della spesa. Non a caso se si chiede ai consumatori quali siano i principali criteri di scelta del banco del mercato dove acquistare biologico, emerge che il motivo più frequentemente indicato al primo posto è la fiducia riposta nel produttore e nell’azienda agricola in generale, secondo l’indagine Ismea. Quasi un terzo dei prodotti biologici acquistati è rappresentato da frutta e verdura, che guidano la top five delle specialità più gettonate, davanti a pasta fresca e uova, formaggi, olio e miele. Il valore della spesa in prodotti bio effettuata nei mercati contadini e in quelli rionali ammonta oggi a quasi 150 milioni di euro, secondo Ismea. La classifica delle regioni con la più alta percentuale di produttori biologici nei mercati contadini sul totale vede in testa il Trentino Alto Adige (38%), davanti a Calabria (29%) e Campania (27%). Seguono Friuli Venezia Giulia (26%), Emilia Romagna (25%) e Toscana (24%). “I risultati dell’indagine mostrano chiaramente che le politiche di sviluppo del biologico in Italia e in Europa devono avanzare in maniera coordinata con le politiche locali del cibo - spiega Maria Letizia Gardoni, presidente Coldiretti Bio - il biologico deve tornare a restituire piena centralità all’agricoltore e al suo ruolo di innovatore, sia nelle tecniche produttive che nelle dinamiche commerciali di filiera, rilanciando il rapporto diretto tra agricoltore e consumatore anche nel biologico, come elemento essenziale per uno sviluppo dei territori e delle comunità”. L’Italia, ricorda Coldiretti, ha oggi la leadership Ue per il bio grazie alle 84.000 aziende agricole attive sul territorio nazionale, più del doppio della Germania e un terzo in più della Francia. L’agricoltura biologica è arrivata a coprire 2,5 milioni di ettari (+4,5% nel 2023 sul 2022), rappresentando un ettaro su cinque di superficie agricola nazionale, ormai vicinissima al target del 25% da raggiungere entro il 2030 fissato dalla strategia europea nella Strategia Farm to Form, con 6 regioni che l’hanno addirittura superato: Toscana 37,5%, Calabria 36,5%, Sicilia 30,7%, Marche 28,2%, Basilicata 27,6% e Lazio 27%.
Eppure, se tutti concordano sull’importanza del biologico e della sostenibilità, molte delle stesse associazioni di categoria si sono sentite sollevate quando la nuova legislatura Ue, con una nuova Commissione Agricoltura, guidata dal lussemburghese Christophe Hansen, ritenuta meno ideologizzata sul fronte green di quella passata, ha di fatto compiuto una sorta di passo indietro sul discusso “Green Deal”. Che, però, “non è il nemico”, hanno detto ad una voce, da Slow Wine Fair e Sana Food, Legambiente, FederBio e Slow Food Italia. “Il vero pericolo è la crisi climatica, con le sue conseguenze sempre più drammatiche sui territori, sulle produzioni e sulla sicurezza alimentare. La risposta a questa emergenza non può essere un passo indietro rispetto alle politiche ambientali, ma un avanzamento deciso verso l’agroecologia” (qui spiegata, a WineNews, dal suo massimo “teorico”, Miguel Altieri, professore all’Università della California di Berkeley e coordinatore del Programma dell’agricoltura sostenibile dell’Onu), è il messaggio di sintesi del dibattito tra Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia, Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio, e Angelo Gentili, responsabile agricoltura Legambiente. Secondo i quali è fondamentale “sfatare la narrativa che vede il “Green Deal” come un ostacolo per il mondo agricolo e ribadire che la vera sfida è coniugare sostenibilità ambientale, sociale ed economica, garantendo agli agricoltori strumenti adeguati per affrontare la transizione ecologica”. Un dibattito che, come detto, si inserisce in un contesto di grande fermento per il futuro dell’agricoltura europea. “La Commissione europea ha recentemente presentato una nuova tabella di marcia per il settore - ricordano le tre organizzazioni - puntando su semplificazione, digitalizzazione e rinnovamento generazionale. Tuttavia, il nodo centrale resta il bilancio della Politica Agricola Comune (Pac). Se, da un lato, la Commissione riconosce il ruolo strategico dell’agricoltura nel contesto geopolitico attuale, dall’altro, persistono incertezze sulle risorse economiche disponibili per supportare il settore in chiave concretamente green. Un esempio di questa contraddizione emerge del fatto che l’Europa, pur confermando il valore strategico dell’agricoltura biologica come strumento per favorire la transizione ecologica dei sistemi agricoli e alimentari, dopo aver ritirato la proposta per dimezzare l’utilizzo di fitofarmaci entro il 2030, sta avviando percorsi che legittimano l’utilizzo di pesticidi in assenza di alternative concrete. Questo approccio, purtroppo, sembra andare contro le stesse strategie europee From farm to fork e Biodiversity 2030, che invece dovrebbero puntare su pratiche agricole sostenibili, come l’agricoltura biologica e l’adozione di soluzioni innovative, che riducano l’impatto ambientale e promuovano la transizione ecologica”.
“Vediamo segnali contrastanti - ha detto Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio - che arrivano dalla Commissione Europea. Da un lato la “Visione per l’agricoltura e l’alimentazione”, uscita in questi giorni, conferma che l’agricoltura biologica rappresenta una scelta strategica anche per il futuro, per la capacità di attrarre giovani agricoltori e favorire il ricambio generazionale, in grado di svolgere servizi ecosistemici nell’interesse della collettività e che vede una crescita del mercato dei prodotti bio. Su un altro fronte sembra invece frenare in termini di investimenti e di sostegno alle regole che dovrebbero supportare questo percorso: pur affermando l’obiettivo di accelerare verso i prodotti per il biocontrollo, non affronta in maniera adeguata la necessità di ridurre i pesticidi sintetici per prevenire le conseguenze ambientali e sociali derivanti dal loro utilizzo. Insieme a Legambiente e Slow Food siamo impegnati da tempo nel raccontare come il “Green Deal” e l’agricoltura biologica siano opportunità uniche per trasformare radicalmente il modello agroalimentare e renderlo sostenibile dal punto di vista ambientale, etico e produttivo per le filiere e resiliente nella capacità di contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici e la perdita della biodiversità. Ci auguriamo che il percorso virtuoso intrapreso riprenda senza indugi e che vengano disposti tutti gli strumenti finanziari, economici e culturali necessari. Non possiamo permetterci di perdere altro tempo. Dobbiamo garantire un futuro dell’agricoltura fondato su principi sani ed equi sotto il profilo ambientale, sociale ed economico”.
“Dobbiamo agire ora per contrastare la crisi climatica, ricostruire una relazione armonica con la natura, ripristinare la fertilità dei suoli, produrre tutelando la biodiversità, allevare rispettando gli animali. Queste sono le urgenze. Il nostro sistema alimentare non protegge le sue fondamenta cioè la terra e chi la lavora, annienta proprio gli agricoltori di piccola scala rispettosi dell’ambiente e delle tradizioni e genera sprechi intollerabili: quasi un terzo del cibo prodotto globalmente. Chi produce il nostro cibo seguendo pratiche agroecologiche deve essere sostenuto, e tutti gli altri devono essere aiutati a intraprendere percorsi virtuosi. Si parla degli ingenti sussidi europei all’agricoltura, ma si dimentica che i soldi delle Pac continuano ad andare a poche grandi aziende: l’80% dei finanziamenti va al 20% degli imprenditori agricoli e premia l’agricoltura industriale intensiva. Purtroppo il programma presentato dalla Commissione Europea “Visione per l’agricoltura e l’alimentazione” rimane ancorato a un modello obsoleto che privilegia l’aumento della produzione e non punta con decisione alla sostenibilità dei sistemi alimentari, al rispetto dell’ambiente e all’equità sociale. Serve un’urgente transizione ecologica e sociale, che consegni la nostra agricoltura al futuro”, ha sottolineato Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia.
Angelo Gentili, responsabile agricoltura Legambiente, ha posto l’accento sulla necessità di non cadere nell’errore di individuare il bersaglio sbagliato: “dipingere il “Green Deal” come un ostacolo per gli agricoltori è un’operazione pericolosa e fuorviante. La vera minaccia è la crisi climatica, che sta già mettendo a dura prova la produzione agricola, con eventi estremi sempre più frequenti e danni ingenti per le aziende. La risposta a questa crisi non può essere un ritorno alle pratiche intensive del passato, ma un deciso investimento nell’agroecologia. Dobbiamo supportare gli agricoltori nella transizione verso modelli produttivi sostenibili, offrendo incentivi economici adeguati e promuovendo pratiche che riducano l’impatto ambientale. L’agroecologia è la chiave per coniugare produttività e tutela del territorio. Non possiamo permetterci di fermare il cambiamento. Dobbiamo piuttosto fare in modo che sia equo, che garantisca il futuro dell’agricoltura e del nostro pianeta”.
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