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IL CHIANTI CLASSICO RADDA IN CHIANTI COME IL BOURGOGNE GEVREY-CHAMBERTIN ? IN MOLTI CI STANNO PENSANDO SERIAMENTE, PER UN ULTERIORE RIASSETTO ALL’INSEGNA DELLA QUALITÀ DELLA DENOMINAZIONE DEL GALLO NERO, UNO DEI SIMBOLI DEL BEL PAESE ENOICO

Italia
Ancora dibattitto sul riassetto del Chianti Classico

Chianti Classico Radda in Chianti, Chianti Classico Gaiole in Chianti, Chianti Classico Castellina in Chianti, come Bourgogne Gevrey-Chambertin, Bourgogne Chambolle-Musigny, Bourgogne Vosne-Romanée o, se preferite, Barolo La Morra, Castiglione Falletto, Serralunga, Barolo e Monforte. Sembrerebbe un accostamento fuori luogo, e per alcuni addirittura impossibile, e invece potrebbe rappresentare una soluzione semplice all’assetto della denominazione del Gallo Nero che, difficile non essere d’accordo, è uno dei terroir più vocati e dalla storia più lunga del Bel Paese enoico, ma non sempre tutto ciò gli viene riconosciuto come meriterebbe.
In altre parole, significherebbe semplicemente introdurre le “denominazioni comunali”, peraltro già sancite dalla storia del Gallo Nero, come immediate “zonazioni” ad un territorio vasto (sono oltre 7.000 gli ettari di vigneto iscritti alla Docg) e soprattutto significherebbe contribuire in maniera decisiva alla soluzione di uno dei problemi “atavici” che affliggono il Chianti Classico, ovvero la storica confusione con il semplice Chianti. Un territorio con ben altre caratteristiche e, soprattutto, con un potenziale qualitativo e un posizionamento di prezzo decisamente diverso da quello del Chianti Classico. Una differenza percettibile però solo dai più esperti, anche qui da noi, mentre all’estero, pensiamo ad esempio per i consumatori orientali e non solo, destinata a restare una vera e propria “tautologia”.
La volontà di affinare le differenze, specie dal lato qualitativo, con il Chianti è tuttavia già ben chiara al Consorzio del Chianti Classico che, ad inizio anno, si appresta a rendere operativa nel proprio disciplinare di produzione la tipologia “Gran Selezione”. Senza dubbio un passo in avanti per il vertice della piramide qualitativa della denominazione, ma che potrebbe perdere efficacia senza un robusto coinvolgimento territoriale, per il quale l’introduzione delle “sottozone” sembra poter rispondere in modo diretto e soprattutto chiaro e comprensibile.
“È questo un tema di cui si parla da un paio di anni - spiega Sergio Zingarelli, presidente del Consorzio del Chianti Classico - ma occorre muoversi per gradi. Intanto, a gennaio, arrivano le modifiche al disciplinare di produzione che introducono il Chianti Classico Gran Selezione. Di certo il tema è sul tappeto anche perché è stato rilanciato da alcuni membri del Consorzio e dello stesso consiglio di amministrazione. Non sono pregiudizialmente contrario a questa ulteriore modifica, ma vorrei approfondire la questione. Immediatamente, ci sarebbe più chiarezza per i consumatori e aiuterebbe concretamente la comprensione del territorio all’esterno, ma dal punto di vista produttivo bisogna considerare bene le conseguenze di questo eventuale cambiamento sugli equilibri attuali. È un tema che sarà sicuramente affrontato sia nella base sociale del Consorzio che nelle amministrazioni, ma bisogna tenere conto anche che ci sono già pareri assolutamente contrari. Tuttavia - conclude Zingarelli - lo ritengo un percorso fattibile e vantaggioso per il territorio”.
Che la questione sia sul tappeto non è un mistero. Ne dà conto ampiamente Roberto Stucchi Prinetti nella newsletter del Consorzio “Chianti Classico Magazine” del 2 settembre 2013; alcuni soci hanno avanzato una proposta di modifica del disciplinare a partire dai 9 comuni storici della denominazione, come quella avanzata da Vittorio Fiore, enologo di fama e proprietario dell’azienda chiantigiana Poggio Scalette, oppure, solo per citare una voce fuori dai nostri confini, Antonio Galloni, ex Wine Advocate, sul suo sito (http://vinousmedia.com/articles/in-a-tuscan-state-of-mind-aug-2013) e molti altri.
Certo, le difficoltà, vere e presunte, non mancano in questo percorso: dalla possibilità o meno di poter usare tutte e tre le tipologie (Chianti Classico, Riserva, Gran Selezione) in uno stesso comune, a come governare i flussi di uve e vino dai diversi comuni (ma anche in questo caso il modello francese dei négociant della stessa Borgogna potrebbe fare da riferimento: gli imbottigliatori possono vendere qualsiasi sottozona, purché le uve e/o il vino siano certificate come appartenenti a quei luoghi).
Tuttavia, una simile operazione potrebbe davvero significare quel salto di paradigma che scuoterebbe alla radice la denominazione del Gallo Nero, differenziando e valorizzando in modo esaustivo e non dogmatico le molteplici sfumature espressive di questo terroir e le sue performance qualitative più cristalline. Restando, evidentemente, la denominazione Chianti Classico per tutti, intesa anche come regione geografica nel suo complesso, ma aggiungendo i nomi dei diversi territori in primo piano, a partire dai comuni e da alcuni “villaggi”, pensiamo, per esempio, a Lamole. Insomma, un cambiamento indolore per tutti, in cui la particolarità di ognuno si rinforza e, al medesimo tempo, rinforza l’intera denominazione.

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