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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

Il Master of Wine Andrea Lonardi: “perché oggi parliamo di cambiamento in Valpolicella?”

La tesi su un fenomeno del vino italiano, cresciuto enormemente negli ultimi 30 anni per ettari, in quantità e reddito: l’Amarone e il suo territorio
AMARONE, ANDREA LONARDI, MASTER OF WINE, VALPOLICELLA, VINI ROSSI, Italia
Il Master of Wine Andrea Lonardi

“Perché oggi parliamo di cambiamento in Valpolicella? È stato il titolo della mia tesi di Master of Wine, incentrata su uno studio della Valpolicella: “Pergola & Vsp in Valpolicella: how labour demand and current challenges impact training system choices”. Uno studio che abbraccia l’analisi di quanto successo nell’ultimo trentennio dal punto di vista produttivo e di come i produttori si vedono oggi e nel prossimo decennio. Questo attraverso un approccio multidisciplinare (superfici, produzioni, aspetti socioeconomici), ma anche attraverso una survey che ha interessato il 66% della superfice vitata, rappresentando in maniera fedele il complesso sistema produttivo e commerciale di questo territorio (viticoltori, imprenditori, cantine sociali). Come tutto questo si lega alla contrazione del consumo di vini rossi nel mondo e come questa si inserisce nel contesto della Valpolicella ed in particolare dell’Amarone?”. Sono le domande alle quali risponde il Master of Wine Andrea Lonardi, Coo Bertani, una delle cantine storiche della Valpolicella, e vicepresidente del Consorzio dei Vini Valpolicella, in un intervento che riceviamo e volentieri pubblichiamo, e che analizza un fenomeno unico del vino italiano: quello dell’Amarone e del suo territorio, cresciuto enormemente negli ultimi 30 anni, secondo solo al Prosecco Doc, per superficie vitata, in quantità e reddito ad ettaro.
“L’Amarone è stato in passato un vino che ha soddisfatto una domanda di mercato - ricorda Lonardi - i produttori della Valpolicella sono stati tra i più bravi, soprattutto in alcuni mercati (mercati del Nord Europa e del Nord America), a capire che c’era la necessità di un vino morbido, caldo e piacevole, adatto per essere consumato lontano dai pasti. Si è riconcorso questo grande successo volumetrico, pensando meno alla segmentazione. Per farlo si è, però, ecceduto con l’appassimento e con la necessità di rincorrere uno stile che questo segmento del mercato richiedeva. Oggi quel segmento non cresce più e regala molte più ombre che sicurezze per il futuro. È un segmento che si è popolato di altri vini che competono solo in termini di prezzo. Subire un attacco di questo tipo significa avere la consapevolezza che quel vino era un modello facilmente imitabile: infatti il metodo era superiore al territorio”.
“Alcuni numeri di questa cavalcata della Valpolicella degli ultimi 30 anni, che - dice Lonardi - la pone tra le più interessanti case history del vino a livello mondiale. La superficie vitata è passata dal minimo di 4.900 ha del 1997 agli oltre 8.500 ettari del 2023. La quantità di uve messe a riposo per la produzione di Amarone è aumentata del +492%, nello stesso periodo. Ed infine bisogna riconoscere un altro importante aspetto, che la ricchezza generata da questo sistema è stata distribuita su tutta la filiera ed in particolare sui viticoltori (il reddito per ettaro è passato da circa 5.000 euro/ha del 1993 ad un valore stabilmente sopra i 20.000 euro/ha dal 2008, con punte in alcune annate oltre i 25.000 euro/ha)”.
“A questo si aggiungono tre grandi cambiamenti che stanno interessando lo scenario vitivinicolo, non solo della Valpolicella: 1) cambio dei consumi; 2) cambio climatico; 3) cambio di stile. Dobbiamo quindi cambiare ed evolverci reindirizzando i nostri vini verso un’evoluzione sia in termini di geografie di mercato, che di profilazione del consumatore - secondo Lonardi - per farlo occorre, anche ma non solo, un cambio stilistico. I vini commercialmente più solidi sono infatti i fine wines, quelli che hanno un profondo legame con il territorio di origine, vini che hanno valori e un wording comunicativo specifico tali da renderli identitari. Sono vini che sono in grado di creare continuamente valore sulla supply chain. Creano valore perché nel primo e nel secondo decennio dopo essere stati immessi sul mercato migliorano qualitativamente in bottiglia al punto da autoalimentare il concetto di scarsity (non imposta ma subita). Per accedere a questo segmento occorre pensare ad un Amarone che rimetta in equilibrio i suoi fattori produttivi: il metodo (la messa a riposo), il territorio (suolo, vitigni, clima), le persone (produttori, imprese) e la comunicazione (contenuti e wording). La sfida è chiaramente complessa, dal volume al valore, e richiede dei cambi: culturali, produttivi, legislativi e comunicativi”.
Ma, per Lonardi, “a questo cambio se ne aggiungono altri. Quello climatico è sicuramente quello che preoccupa tutti noi, non solo in Valpolicella. La Valpolicella fino ad oggi è stata favorita dal cambio climatico, ne sono la dimostrazione i favolosi vini da uve fresche che oggi si possono ottenere. Ma il territorio ha molti elementi di forza su cui si può far leva. Inanzitutto una forma di allevamento locale (pergola) che si presta a proteggere le uve e che mostra degli interessanti vantaggi sia dal punto di vista gestionale che produttivo. La survey del mio Rp di Mw ha mostrato come il 65% dei produttori torneranno nel prossimo decennio alla forma tradizionale, e come caleranno sensibilmente quelli legati alle forme in parete (-21%). La survey ha inoltre evidenziato come i produttori preferiranno la pergola nel caso della produzione di Amarone (80% degli intervistati) ed invece come le forme in parete rimarranno confinate alla produzione di Valpolicella. Questo apre il passo a dei cambiamenti che dovranno interessare quindi anche il disciplinare di produzione. Sempre la survey ha mostrato come molti produttori vorrebbero avere vigneti esclusivamente dedicati alla produzione di Amarone ed altri alla produzione di solo Valpolicella (cosa ad oggi non possibile). Altri cambiamenti a livello tecnico - prosegue Lonardi - saranno però necessari anche in termini di messa a riposo delle uve, in cui in modo sostenibile sarà necessario capire come appassire meno queste uve. Una ricerca condotta da Be mostra come al 20% della perdita in peso si raggiunge la migliore concentrazione aromatica, oltre si hanno invece processi di degradazione (oggi il disciplinare prevede una perdita del 40%). Dovremo poi ripensare ai luoghi in cui mettiamo a riposo le uve e quali dovranno essere le loro condizioni al loro interno. Questi luoghi potrebbero avere anche delle specifiche collocazioni geografiche. Stessa cosa vale per le tecniche di vinificazione delle uve. Penso al lavaggio delle uve e alla selezione con dispositivi ottici. A questo si aggiunge l’affinamento (qui dovranno essere riconsiderati tempi di affinamento, legni-tipologia di legno e taglia dei contenitori)”.
“Tutto questo - sostiene Lonardi - permette di affermare che dal punto di vista tecnico esiste ancora moltissimo da esplorare. Orizzonti che lasciano presagire un grande potenziale per produrre un vino che sia fresco, più sapido, più rispettoso dei vitigni e più valorizzante degli elementi del territorio (suolo e suolo). Per poter fare questo occorre però avere una vision chiara su quello che dovrà essere il nostro target del futuro (come mercati, posizionamento e consumatore). A partire da questo, poi la strategia sarà una conseguenza. A cambiare sarà anche la comunicazione. Sia in termini di contenuti, di gerarchia dei valori che verranno utilizzati. Passeremo da un vino con modello di leadership di comando (un vino muscoloso, strutturato, ricco concentrato che impone fortemente il suo stile sul consumatore) ad un vino con un modello di leadership di prestigio (un vino più intellettuale che non si impone con forza ma con un racconto molto più prestigioso e qualificato, un vino in sui emergono i caratteri identitari e distintivi) . Il concetto di cambio di stile di leadership di un vino sarà un tema importantissimo non solo per capire il prodotto in sé, ma anche la sua strategia e processo di comunicazione. Le nuove generazioni fuggono dal comando e dall’imposizione: ricercano la cosiddetta accountability = il coinvolgimento mentale e culturale. Questo lo dobbiamo immaginare anche comunicato ai giornalisti, gli opinon leader ed i consumatori”.
“La mia esperienza dell’ultimo decennio in questa denominazione (come vicepresidente del consorzio, come Coo di un brand iconico che negli ultimi 10 anni ha intrapreso un percorso di cambiamento, e come Mw attraverso la mia tesi) - spiega Lonardi - mi suggerisce di sottolineare come la Valpolicella sia un territorio interessantissimo. Non è solo il terzo più grande giacimento di calcare al mondo dopo Champagne e Borgogna, ma è anche un ricco e forte tessuto sociale ed imprenditoriale. La Valpolicella degli ultimi 20 anni ha regalato tra gli storyteller più forti del mondo. Imprenditori fortemente orientati alla crescita volumetrica. Un territorio tra i primi ad adottare il processo di controllo dei numeri. Il primo territorio ad adottare l’annual report (primo progetto che ho sviluppato per questa denominazione nel 2018). Ma i numeri fino ad oggi di interesse per il tessuto imprenditoriale del territorio sono sempre stati quelli quantitativi. Oggi il mercato ci impone un cambio culturale a livello gestionale ed interpretativo del dato. I numeri devono avere una visione molto più qualitativa. Dal numero totale di bottiglie occorre passare a valore del venduto e quindi prezzo medio del venduto. Da volume totale dell’export occorre passare al break down per singola area geografica e poi per paese. Occorrono poi dei deep dive per canale (On/Off trade) per capire e profilare il momento di consumo e le ragioni di consumo. Occorre trattare il proprio competitive set ed i propri targets. Infine: tracciare la propria vision”.
“Queste mie riflessioni - conclude Lonardi - evidenziano che la Valpolicella deve e può avere una nuova vision e quindi mission. La vision è la cosa più difficile, più profonda ed intima che un territorio, un brand ed un produttore deve avere. Lo stile del vino sarà solo una pura conseguenza di questo. Sentiamo un forte senso di responsabilità per questa missione, e siamo consapevoli che dobbiamo partire dal costruire un senso di coinvolgimento che non deve riguardare solo i produttori, ma anche le organizzazioni ed in primis la stampa e gli opinion leaders. Per queste ragioni viviamo la nostra missione con grande passione, certi che l’evoluzione sia alla base del miglioramento. Crediamo che i momenti di condivisione siano obbligatori per la nostra crescita culturale, quindi vi chiediamo di abbracciare la sfida di diventare amici critici per la prossima generazione. In conclusione, è evidente che stiamo vivendo un cambiamento che richiede una crescita culturale. Questa missione è guidata dal desiderio di avere un impatto e generare l’unico vero risultato a cui un produttore di vino in questo territorio deve aspirare: la legacy. Un’eredità che deve toccare: il territorio, la qualità del prodotto (vino) ed il percepito del brand. Questa è la nostra traiettoria, e lavoreremo duramente come sempre, chiedendo il vostro supporto per costruire una fiducia più solida”.

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