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“IL MONDO DEL VINO ITALIANO SOFFRE, SERVE SUBITO UN “PATTO SOCIALE” TRA PRODUTTORI, GOVERNO E CONSUMATORI: SOLO COSI’ CI SI SALVA DALLA CRISI E DALLA CONCORRENZA INTERNAZIONALE”: DICHIARAZIONE-CHOC DI GIANNI ZONIN

Gianni Zonin Vineyards
Gianni Zonin, uno dei più grandi e famosi imprenditori di vino italiano

“Il mondo del vino italiano è in pericolo. Se non usciamo in fretta da questa crisi vedo a rischio migliaia di posti di lavoro: in campagna, nelle cantine, nella distribuzione e anche nell’indotto, compreso quello mediatico. Occorre che fin da subito tutte le parti in causa - produttori, governo e consumatori - si mettano attorno a un tavolo per dare vita ad una concertazione, a un “patto sociale” che deve servire ad abbassare il peso fiscale, a contenere i prezzi finali, a sostenere i consumi, a rilanciare l’immagine del vino su basi nuove”.
La dichiarazione-choc di Gianni Zonin, uno dei più grandi imprenditori del vino d’Italia (11 tenute e 1.800 ettari di vigneto), arriva in un momento estremamente delicato per il settore, tra l’attesa della nuova vendemmia e la richiesta della distillazione di crisi all’Unione Europea da parte del nostro Ministero dell’Agricoltura, per smaltire tutte quelle eccedenze di vino rimaste in molte cantine italiane. “Si parla di un modesto rimbalzo dei consumi - continua Zonin - ma la realtà è che i prezzi dell’uva sono in forte caduta, che in quattro anni il consumo di vino si è contratto dell’11 per cento, che il 70% dei ristoranti denuncia un calo di fatturato, che nonostante la ripresa in Usa e in Gran Bretagna abbiamo perso in quantità e valore dell’export, che l’attenzione per il vino è scemata. Inoltre mi chiedo per quanto tempo ancora riusciremo a contenere la pressione dei grandi colossi stranieri sul mercato interno. La situazione è ancora recuperabile, anche se in extremis. Bisogna però agire in fretta: serve un patto di concertazione, sollecitato e coordinato dal Ministero delle Politiche Agricole, perché da soli i singoli attori del vino non riusciranno ad invertire la tendenza. Deve essere chiaro a tutti che il sistema vino non è marginale nell’economia. E’, e resta, il principale settore dell’agroalimentare, sinergico al sostegno di tutto il made in Italy sui mercati internazionali”.
Zonin si concentra poi sui consumatori: “Da tempo sostengo che dobbiamo tornare a parlare con i consumatori in termini di convenienza, di buona qualità, di approccio al vino come a un piacere possibile e a un aiuto alla salute. Se la proposta di un tavolo di concertazione verrà accolta rilancerò la mia antica idea di costituire un fondo tra tutti i produttori per finanziare campagne di comunicazione destinate a sostenere il consumo di vino. Il vino è un piacere e tale deve rimanere. Un piacere che deve essere alla portata di tutti e che deve far stare bene. Questo è il messaggio: positivo e di responsabilità. Che deve partire dal tavolo della concertazione. Perché la crisi del vino riguarda tutti e non è soltanto una questione economica. Difendere il vino significa difendere la nostra identità, rilanciarlo significa introdurre elementi di ottimismo per stemperare la cupezza che incombe sui nostri giorni”.
“Continuare a pensare che si possa rappresentare il vino - spiega ancora Zonin - con le degustazioni spettacolo, con notiziole che assomigliano più al gossip che a fatti economici, che le performance di una singola azienda - che pure saluto con ammirazione e soddisfazione - o di un singolo vino siano rappresentative di tutto il settore è non voler vedere la realtà. Purtroppo è ben diversa. Sono convinto che molte piccole cantine avranno difficoltà a sopravvivere, sono convinto che si arriverà a delle concentrazioni in tutti i settori: quello agricolo, quello della trasformazione, quello della distribuzione e della commercializzazione. Sono trasformazioni inevitabili e per certi versi positive perché non c’è dubbio che il nostro settore vitivinicolo soffre di parcellizzazione e di nanismo e deve battersi contro colossi mondiali non avendone spesso la forza, ma sono trasformazioni certamente non indolori. Esserne consapevoli, però, serve a cercare le contromosse. Mi sia consentito di osservare che da qui a pochi anni nel Nuovo mondo ci saranno pochissimi operatori del settore vitivinicolo che controlleranno i nuovi mercati. In Cina per esempio le grandi catene di distribuzione che si stanno organizzando compreranno da cinque, sei referenti; nei nuovi mercati asiatici si affidano ormai ad operatori capaci di portargli produzioni numericamente rilevanti con poche referenze. Sono mercati in cui o stai dentro subito o stai fuori per sempre. Se questi sono i nuovi scenari possiamo continuare ad ignorarli?”.

L\'intervista - Gianni Zonin a WineNews 
Il settore soffre, la filiera rischia di entrare in crisi,
incertezza per migliaia di posti di lavoro e in vista inevitabili concentrazioni.
“Serve un patto sociale tra produttori, distributori, Governo e consumatori
per rilanciare il mercato interno e evitare l’aggressione da parte dei competitors.
Le leve sono la fiscalità (ridurre l’Iva), la moderazione sui prezzi finali,
l’informazione e il sostegno d’immagine”

Stavolta il cavaliere del lavoro Gianni Zonin per parlare del vino indossa tutte e due, e contemporaneamente, le sue giacchette: quella di più importante produttore privato in Italia e quella di banchiere. Il perché è presto spiegato: il settore vitivinicolo non sta affatto bene e la crisi fa vedere adesso, anche se si parla di un modesto rimbalzo dei consumi, la sua faccia più triste e dura. Le due “divise” servono a Zonin per inquadrare la situazione che presenta aspetti peculiari di settore, ma ha necessità di cooptare dagli strumenti macroeconomici le risorse per uscire dal tunnel. Ed ecco, come di consueto quando Zonin decide di parlare, una proposta destinata a sollevare un forte dibattito.
“Serve un patto di concertazione - sostiene Gianni Zonin che scandisce le parole a sottolineare come questa sia una sorta di ultima spes - perché da soli i singoli attori del vino non riusciranno a invertire la tendenza. Deve essere chiaro che il sistema vino non è marginale nell’economia. E’, e resta, il principale settore dell’agroalimentare, è sinergico al sostegno di tutto il made in Italy sui mercati internazionali. La filiera è lunga, forse anche troppo, le connessioni con altri settori sono decisive e se non usciamo in fretta da questa crisi vedo a rischio migliaia di posti di lavoro: in campagna, nelle cantine, nella distribuzione e anche nell’indotto compreso quello mediatico. Continuare a pensare che si possa rappresentare il vino con le degustazioni spettacolo, con notiziole che assomigliano più al gossip che a fatti economici, che le performance di una singola azienda - che pure saluto con ammirazione e soddisfazione – o di un singolo vino siano rappresentative di tutto il settore è non voler vedere la realtà. Purtroppo è ben diversa. Sono convinto che molte piccole cantine avranno difficoltà a sopravvivere, sono convinto che si arriverà a delle concentrazioni in tutti i settori: quello agricolo, quello della trasformazione, quello della distribuzione e della commercializzazione. Sono trasformazioni inevitabili e per certi versi positive perché non c’è dubbio che il nostro settore vitivinicolo soffre di parcellizzazione e di nanismo e deve battersi contro colossi mondiali non avendone spesso la forza, ma sono trasformazioni certamente non indolori. Esserne consapevoli però serve a cercare le contromosse. Mi sia consentito di osservare che da qui a pochi anni nel Nuovo mondo ci saranno pochissimi operatori del settore vitivinicolo che controlleranno i nuovi mercati. In Cina per esempio le grandi catene di distribuzione che si stanno organizzando compreranno da cinque, sei referenti; nei nuovi mercati asiatici si affidano ormai ad operatori capaci di portargli produzioni numericamente rilevanti con poche referenze. Sono mercati in cui o stai dentro subito o stai fuori per sempre. Se questi sono i nuovi scenari possiamo continuare ad ignorali?”
Cavalier Zonin, ma davvero va così male?
“Non va bene. Stiamo vivendo un momento negativo, peraltro condiviso da molti altri settori e osservo cosa capita intorno. Anche per chi ha avuto buone performance non è affatto conveniente operare in un settore in crisi. Per questo mi preoccupo e chiedo un tavolo di concertazione tra tutti gli attori pubblici e privati del mondo del vino. Non voglio eludere la domanda e metto in fila dati che non sono miei, ma che sono di dominio pubblico e mi stupisce che finora nessuno li abbia presi troppo sul serio. Non lo dice Gianni Zonin che si è chiesta la distillazione di crisi, che quest’anno non sarà ritirata qualche partita di uva in alcune zone d’Italia, che i prezzi dell’uva saranno comunque in forte caduta, che in quattro anni il consumo di vino si è contratto dell’11 per cento, che il 70% dei ristoranti denuncia un calo di fatturato, che nonostante la ripresa in Usa e in Gran Bretagna abbiamo perso in quantità e valore quote di esportazione, che l’attenzione per il vino è scemata. Certo, non ci sono solo ombre: c’è un turn over nei consumatori, donne e giovani hanno ripreso a bere con equilibrio vino, ci stiamo aprendo con grande sforzo nuovi mercati, riusciamo ancora ad arginare, ma mi chiedo per quanto tempo, la pressione dei grandi colossi sul mercato interno. Tuttavia non mi pare proprio che si possa dire che il settore è in buona forma”.
Come antidoto basta il tavolo di concertazione che lei propone?
“Se basta non lo so, che sia indispensabile ne sono certo. E si badi bene: non penso affatto ad una sorta di accordo interprofessionale. Penso a qualcosa d’altro e di più alto. Quando l’Italia è entrata negli anni ’90 in una pesante congiuntura economica negativa il governo di allora ha chiamato le parti sociali, le ha messe a confronto e ha detto: questi sono i conti. Qui ognuno deve fare la parte sua non contro. ma insieme con gli altri. Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi a cui va grande merito di quel patto sociale, ha rilanciato la politica di concertazione come strumento anticiclico per l’attuale situazione generale del paese che, sia detto per inciso, si riflette pesantemente anche sul nostro settore. Bene, io penso che anche il cosiddetto mondo del vino si deve mettere attorno a un tavolo e dare vita ad una concertazione, a un patto sociale che deve servire ad abbassare il peso fiscale, a contenere i prezzi finali, a sostenere i consumi, a rilanciare l’immagine del vino su basi nuove e che le famiglie avvertano come più confidenti al loro stile di vita”.
In che senso più confidenti al loro stile di vita?
“Rifletto solo su un dato: l’Isae ha detto poche settimane fa che il 70% delle famiglie italiane si sente “psicologicamente povera” e ha stimato in 1250 euro mensili per i monocluei e in 3 mila euro per le famiglie più numerose la soglia di “povertà percepita”. L’Ismea ha aggiunto: i consumi alimentari si sono contratti in cinque anni del 10 per cento, il vino ha pagato dazio con una riduzione dell’11 per cento. Dobbiamo stare attenti ai prezzi, perché le risorse dei consumatori non sono inesauribili. Possiamo dire a chi vive in questa situazione che il vino italiano è fatto di bottiglie che costano al consumo dai 60 euro in su? Possiamo continuare ad avere sul vino un’ Iva del 20 per cento quando i nostri competitori più agguerriti, e penso alla Spagna, ne pagano la metà? Possiamo continuare a costringere i ristoratori e le enoteche a fare cantina e quindi a far loro pagare un “prezzo di magazzino” perché non c’è una logistica degna di questo nome capace di distribuire rapidamente a costi compatibili anche modeste quantità di prodotto? Potrei continuare all’infinito a elencare gli aggiustamenti, i correttivi, i miglioramenti che possono consentire di ridare ossigeno al settore. Ma se lo fa Gianni Zonin da solo, una volta che la situazione sia diventata irreversibile, il risultato è constatare di aver avuto ragione. Ed è davvero una magra consolazione poter affermare: io l’avevo detto”.
E chi dovrebbe attivarla questa politica di concertazione?
“Penso che il ministro dell’Agricoltura dovrebbe accogliere subito questa richiesta. Pensiamo davvero che bastino le azioni promozionali dell’Enoteca d’Italia o di BuonItalia a sostenere il vino? Ai coltivatori ai quali le cantine diranno quest’anno: scusa, ma la tua uva non ci serve tutta perché abbiamo scorte sufficienti in magazzino, che cosa risponderemo? Quando a chi ci chiede la pubblicità diremo: scusate, ma non abbiamo sufficienti margini per investire in comunicazione, chi darà una prospettiva? Ai ristoratori quando qualcuno dovrà dire o mi paghi o sono costretto a incassare i sospesi prima di darti altra merce, chi verrà in soccorso? E quando la grande distribuzione ci dirà: o a questo prezzo o mi rivolgo ad altri che hanno meno costi del lavoro, meno tasse, meno vincoli, che faremo? Senza contare che il ridisegno della Pac e che l’offensiva sull’alcool in sede europea hanno necessità di una risposta decisa e concertata. Infine sostengo che dobbiamo tornare a parlare con i consumatori in termini di convenienza, di buona qualità, di approccio al vino come a un piacere possibile e a un aiuto alla salute. Se questa proposta verrà accolta a quel tavolo rilancerò la mia antica idea di costituire un fondo tra tutti i produttori per finanziare campagne di comunicazione destinate a sostenere il consumo di vino. Sono convinto che i produttori sono pronti a fare la loro parte, è indispensabile che anche gli altri si attivino.
Lei cavalier Zonin pone l’accento spesso sul dialogo con i consumatori, ma come dovrebbe avvenire? Con quali argomenti rivolgersi ai consumatori?
“Penso che il rapporto fiduciario tra chi produce e chi acquista un bene sia indispensabile. La prima base dunque di dialogo con il consumatore è in questi termini: il vino è buono, il vino fa bene, e non lo dico io lo dice l’Oms (Organizzazione Mondiale Sanità) il vino italiano è migliore, il vino non è necessariamente solo sogno, è una sana abitudine quotidiana. Sappiamo tutti che oggi c’è una forte sofferenza psicologica all’origine del calo dei consumi: siamo tutti più timorosi per il futuro, siamo tutti portati a ripiegarci su noi stessi. E aggiungo: forse abbiamo assunto modelli comportamentali importati da altre culture che in un momento di crisi ci fanno sentire non più salde le nostre radici e quindi incrementano il senso di smarrimento. Vorrei poter dire ai consumatori: il vino nella nostra cultura è sempre stato il lubrificante dello spirito, ci è servito a rinsaldare i legami, a socializzare, a vivere con equilibrio la nostra esistenza, a incontrare quotidianamente un po’ della nostra tradizione. E’ così sbagliato dire che riprendere quelle abitudini potrebbe confortarci, potrebbe ridarci un po’ d’identità? Sia chiaro io penso ad un consumo corretto e moderato di vino, del buon vino quotidiano. Ma se non dialoghiamo con il consumatore come facciamo a fargli arrivare questo messaggio mentre lui è bombardato da un’immagine del vino che non corrisponde alla realtà e che lo allontana invece di avvicinarlo al nostro straordinario prodotto?”
Eppure cavalier Zonin, c’è anche chi ripete che la dipendenza da alcool è in crescita e che è una piaga sociale. Non teme di sentirsi obiettare questi argomenti?
“Temo l’approssimazione su questi argomenti. Sono assolutamente convinto che la dipendenza da alcool sia una delle piaghe sociali e uno dei danni all’integrità della persona. Ed è per questo che è indispensabile parlare con i consumatori. Per dire tre cose: il vino è uno degli alimenti più controllati e salubri in assoluto, il vino come sostiene l’Organizzazione mondiale della sanità - assunto in dosi moderate e quotidianamente – la soglia stabilita dall’Oms sono 3 bicchieri per gli uomini e un bicchiere mezzo per le donne – è un vantaggio per la salute, il vino può essere un tonico del nostro vivere quotidiano. Penso anche che i produttori di vino e i produttori di birra, che peraltro soffrono una crisi di consumo altrettanto acuta, dovrebbero allearsi per dialogare così con i consumatori e per chiedere in sede europea di essere scissi dai superalcolici. I paesi del Nord Europa, ma questo purtroppo riguarda anche l’Italia sia pure in misura assai minore, hanno un’emergenza alcool soprattutto tra i giovani e i più poveri. Questo può scatenare un’offensiva indiscriminata, e quindi sbagliata, anche contro prodotti che invece fanno bene se assunti con moderazione. Bisogna lavorare anche in questa direzione e lanciare un’offensiva culturale in difesa del nostro modo di consumare vino, del nostro stile di vita. Il vino è un piacere e tale deve rimanere. Un piacere che deve essere alla portata di tutti e che deve far stare bene. Questo è il messaggio: positivo e di responsabilità. Che deve partire dal tavolo della concertazione. Perché la crisi del vino riguarda tutti e non è soltanto una questione economica. Difendere il vino significa difendere la nostra identità, rilanciarlo significa introdurre elementi di ottimismo per stemperare la cupezza che incombe sui nostri giorni”.

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