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VINO E TERRITORIO

Il Soave vuole riscrivere la sua carta di identità, per raccontarsi in maniera più chiara al mondo

Le riflessioni sul grande bianco veneto ed il suo futuro, ad “Appuntamento Soave”. La necessità è semplificare, senza banalizzare

Il Soave, uno dei vini bianchi italiani più importanti, punta a comunicare le sue caratteristiche in modo chiaro e semplice, ma non semplificato, a buyer e consumatori. Un percorso non semplice, considerati anche i 7.000 ettari vitati divisi in 13 Comuni dell’Est Veronese ed i 40 milioni di bottiglie prodotte in media ogni anno, che finiscono in buona parte all’estero, Germania, Gran Bretagna e Nord Europa in testa, seguiti da Giappone e Stati Uniti e Canada. Ma un percorso fondamentale, anche per cavalcare l’onda positiva che ha portato i vini bianchi in una posizione di preminenza rispetto ai rossi nelle scelte dei consumatori. Tuttavia una comunicazione più mirata non può che passare per una maggiore definizione del profilo del Soave, che è andato sempre più differenziandosi a fronte dell’individuazione di ben 33 Uga (Unità Geografiche Aggiuntive) che si sono inserite in un “panorama organolettico” dei vini già molto variegato determinato da interpretazioni aziendali diverse. Paesaggio, freschezza e longevità, non necessariamente in questo ordine, saranno le parole chiave di questo percorso, a cui è stato dedicato un talk ad “Appuntamento Soave”, evento organizzato dal Consorzio di Tutela del Soave, in collaborazione con la Strada del Vino Soave, nei giorni scorsi, al Circolo Ufficiali di Verona.
Il percorso intrapreso Consorzio potrebbe apparire come una inversione di tendenza. “Non si tratta di questo - ha chiarito, a Winenews, Cristian Ridolfi, che ne è presidente, nel talk guidato dal vice direttore del “Corriere della Sera”, Luciano Ferraro - perché le Uga saranno, comunque, un modo di raccontare il territorio attraverso il paesaggio e le forti differenze tra i suoli, ma tutto questo passa attraverso l’interpretazione dei produttori che hanno un denominatore comune, il vitigno Garganega, che oggi rappresenta il 90% dei vigneti (per il Soave è consentito anche l’uso di Trebbiano di Soave e di Chardonnay). Oggi si trovano Soave che vanno da 10,5 a 14 gradi di alcol, che presentano un profilo floreale con una nota fruttata o che vanno oltre al fruttato con note mielate. Questo può essere un modo per approcciarsi a consumatori che hanno gusti diversi, proprio di un racconto aziendale, ma l’identità che vogliamo presentare ad un consumatore sempre più interessato ai bianchi è quella di un vino fragrante con un floreale fruttato in equilibrio, non eccessivamente ricco, ma non banale. Un vino bianco moderatamente alcolico di retrogusto sapido, piacevole, ma che non stanca al palato. Un profilo, questo, che dovrebbe interessare la maggior parte delle bottiglie. Oggi facciamo molta fatica a parlare con consumatori sempre più difficili, e quindi dobbiamo dare un messaggio più semplice e autentico del territorio, però facilmente comprensibile, riscrivendo la carta di identità del Soave”.
Per fare questo, disegnato al meglio un identikit sintetico e attualizzato del Soave, sarà necessario allineare la produzione con una comunicazione interna alla denominazione, tenendo conto di “ciò che viene dalla base sociale dei produttori” - come precisa il presidente del Consorzio - ma anche affidandosi ad analisi esterne di esperti come Andrea Lonardi, Master of Wine. “Il sistema Soave - ha sottolineato Lonardi - è diviso tra produzioni di grandi volumi, con un approccio stanco da vecchia commodity del vino italiano, e piccoli volumi di un gruppo di piccoli e virtuosi produttori di qualità in un territorio che ha degli elementi di grande distintività. In un mercato pronto a recepire certe novità molte sono nel contesto internazionale le opportunità per questa denominazione che mai come in questo momento ha la volontà di cercare una linea comune di sviluppo con una strategia condivisa tra le due anime, mondo cooperativistico e imprenditoria privata”. A questa notazione ottimistica si aggiungono numerosi punti di forza del Soave concreti e indipendenti dagli equilibri di filiera, in primis l’orientamento dei consumi verso i bianchi. “Questa denominazione è molto più adatta di altre ad affrontare i limiti che il cambiamento climatico sta imponendo a molte aree del nostro Paese e non solo - ha evidenziato Lonardi - grazie alla presenza di acqua, alla rusticità della Garganega, ma anche del Trebbiano di Soave, a una forma di allevamento contemporanea come la pergola e al moderato potenziale alcolico. Una parte della denominazione ha un grande potenziale qualitativo e di terroir”, ha continuato Lonardi, elencando i plus della denominazione. “I suoli vulcanici e calcarei - ha detto ancora - possono offrire uno spettro di vini con caratteristiche di mineralità e sapidità che oggi sono alla base dello stile contemporaneo che sancisce il successo di Chablis, Loire e Albarino Rias Baixas. Il potenziale qualitativo è migliorato rispetto al passato e lo dimostra una longevità che caratterizza solo i migliori territori al mondo, la presenza di un gruppo di piccoli-medi produttori virtuosi che da anni valorizza le parti più nobili della denominazione ricercando una comunicazione e una distribuzione improntate sulla qualità e sugli elementi del terroir, gli elementi esoterici del territorio, come il vulcano, e, infine, l’integrità paesaggistica di una buona parte della denominazione, che risulta incontaminata dall’abuso e disordine architettonico che invece caratterizza altri territori viticoli del veronese”.
Una integrità paesaggistica tale da guadagnarsi, nel 2002, il riconoscimento delle Colline Vitate del Soave tra i siti Giahs (Globally Importance Heritage System), Patrimonio Agricolo di importanza mondiale istituito dalla Fao, quale modello di sviluppo rurale che, come ha evidenziato Clelia Maria Puzzo, senior programme specialist alla Fao, “conservando caratteristiche uniche del paesaggio e delle pratiche tradizionali, grazie anche alla Pergola Veronese, elemento iconico del paesaggio della zona, è stato capace di innovare e di adattarsi ai tempi attuali, generando risorse per le comunità locali, 3.000 famiglie coinvolte nella filiera produttiva”.
Il Soave ha potenzialità viticole ed enologiche per esprimersi come vino non solo moderno e contemporaneo in grado di rispondere agli attuali trend di mercato, ma anche unico perché capace di esprimere una sorta di semplicità complessa. “I vini da uve Garganega - ha spiegato Maurizio Ugliano, professore dell’Università di Verona - pur con variazioni legate alle caratteristiche del territorio, si distinguono per un particolare equilibrio tra le principali componenti aromatiche, che fa sì che nessuna delle classi chimiche responsabili dell’aroma del vino abbia un ruolo dominante nell’aroma percepito. Emerge, quindi, un quadro complessivo in cui il Soave si distingue come uno dei vini orchestrali per eccellenza, in cui la melodia di insieme risulta più importante dell’espressione delle singole componenti. Tale melodia si modifica nel tempo, mantenendo tuttavia il suo carattere di insieme complesso, con eccellenti opportunità di sviluppare interpretazioni stilistiche legate al luogo di provenienza delle uve”. Se questa è una ulteriore freccia all’arco del Soave, esistono non pochi freni alla sua “rivalutazione”, che comunque nelle sue punte eccellenti si posiziona su fasce di prezzo mediamente elevate, ma non soddisfacenti né per i produttori, né in considerazione della sua la qualità.
Lungo è l’elenco di difficoltà da superare messo in fila da Lonardi: “una distribuzione principalmente legata al canale moderno e un prezzo medio sullo scaffale italiano di 2,70 euro a bottiglia (fonte Nielsen); un territorio con lo stesso nome, ma disomogeneo nel suo potenziale qualitativo, stilistico e con costi di produzione fortemente diversificati che rende sempre più difficile il ricambio generazionale nelle aree più impervie, ma di maggior interesse qualitativo; una superficie con un potenziale produttivo al di sopra dell’attuale domanda di mercato e che impone scelte e posizionamento da vecchia commodity oltre che a sistemi di controllo per i quali è giusto riconoscere che si stia facendo molto; una storia caratterizzata per un numero limitato di players e da un disequilibrio tra mondo cooperativistico e imprenditoria privata sia a livello di immagine che di vision della denominazione; un consumatore vecchio e con elementi di scelta del vino legati all’ottimo rapporto qualità prezzo, ma lontano da scelte legate allo stile del vino o al luogo di produzione; uno stile che anche tra produttori di maggiore importanza qualitativa rimane molto variabile e personale; cosa che rende complicata la riconoscibilità da parte del consumatore; una scarsa consapevolezza del proprio grande potenziale, che potrebbe migliorare con l’arrivo di un certo tipo di players esterni e con un lavoro educativo di confronto di lungo periodo”. Opportunità da cogliere e limiti da superare. Come? “Con una precisa e chiara rottura con il passato - ha concluso Lonardi - adottando una visione contemporanea di ciò che accade nel mondo del vino unitamente a una volontà di cambiamento, smarcandosi dal vino commodity e puntando su prodotto identitario, bene culturale, capace di dare un appagamento edonistico al consumatore. La denominazione Soave ha tutti gli elementi per produrre una nuova tipologia di Soave in grado di liberare questo potenziale nascosto e conquistare queste nuove opportunità di mercato”.
L’affermazione del vino come bene culturale - strumento per difenderlo dagli attacchi di coloro che lo omologano alle altre bevande alcoliche spesso protagoniste di abusi - ha trovato d’accordo Bruno Fasani, prefetto della Biblioteca Capitolare di Verona, la più antica del mondo con quelle del Vaticano e di Parigi. “Oggi la cultura del vino - ha osservato - se, da una parte, è diventata una sicura fonte di reddito e di lavoro per tante famiglie, specularmente è anche una fonte di cultura, non solo in ambito degustativo e culinario, ma prima ancora in quella trama complessa e affascinante che unisce la globalizzazione del gusto con la peculiarità delle diversità locali. Un incontro di popoli, uniti dallo stesso piacere”. A proposito di limiti, da Lorenzo Pasquini, Directeur d’Exploitation di Château d’Yquem, sono arrivate parole di ispirazione utili per il Recioto di Soave, passito che in alcuni casi raggiunge vette di eccellenza che nulla da invidiare al blasonatissimo Sauternes, ma che come tutta la tipologia soffre molto da anni. “Quello che crea un vino di eccellenza - ha sottolineato Pasquini - è certamente il frutto di un insieme di fattori che convergono in un’armonia perfetta, comprendendo anche le storie uniche e autentiche che ne determinano l’identità. A Château d’Yquem rispondiamo solo a questo criterio, anche facendo ricerca per adattarci ai cambiamenti come quello climatico. Ne siamo guardiani e non inseguiamo il mercato, ma abbiamo cambiato il nostro approccio ad esso. Vogliamo fare in modo che tutti nella vita assaggino almeno una volta Château d’Yquem creando sempre più opportunità a questo fine, per esempio promuovendo il servizio al bicchiere nei ristoranti e nelle enoteche e facilitando le visite in azienda”. Una lezione quella di Château d’Yquem, icona, simbolo di storia, di eleganza e di raffinatezza, valida in particolare per gli agonizzanti passiti, ma che per tutte le altre tipologie.

Focus - I migliori assaggi dello staff WineNews ad “Appuntamento Soave”
Balinda Soave Doc 2023 Benini Alessandro
Prototipo del Soave facile da bere e non per questo semplice è verticale, presenta un naso floreale con sfumature di frutta a polpa bianca. La verticalità dell’olfatto si conferma in bocca con un sorso di bella freschezza e sapidità.
Le Calle Soave Doc 2023 Ilatium Morini
L’appassimento della Garganega (100%) per qualche settimana non ne inficia la freschezza in bocca e regala maggior calore al naso con frutta matura e cotogna acidula. Al sorso è consistente, morbido e molto vivace.
Monte Stelle Soave Classico Doc 2022 La Cappuccina
Al naso floreale, fine e armonico. Al sorso fresco e sapido è un “finto semplice” che passa dagli oli essenziali di agrumi alle scorzette candite, dalla melissa allo zenzero.
Danieli Soave Doc 2022 Fattori
All’olfatto si annuncia fine con note floreali e fruttate dolci e tocchi agrumati. Il sorso è equilibrato in freschezza e acidità e chiude con note fumé.
Monte Carbonare Soave Classico 2021 Suavia
Al naso frutta bianca, agrumi ed erbe officinali sono velati da note di grafite. In bocca fresco, sapido e corposo. Elegante. Grande potenziale di invecchiamento.
Monte Fiorentine Soave Classico Doc 2021 Ca’ Rugate
Al naso si presenta pieno con note di carrubo e foglie secche addolcite da sentori di frutta tropicale. Dolcezza che permane in bocca, con richiami di fiori e mandorla, con la freschezza che fa da contraltare.
Monte Grande Soave Classico 2021 Graziano Prà
Cedro candito, propoli, note agrumate e di grafite caratterizzano il naso. Il sorso è cremoso, di una certa dolcezza che incoraggia la beva moderata da una elevata acidità.
Broia Soave Doc 2022 Roccolo Grassi
Al naso, complesso, colpiscono dapprima le note agrumate che si fondono con quelle vanigliate leggermente tostate e poi l’alloro. Il sorso è pieno, cremoso e succoso allo stesso tempo, di bella acidità.
I Palchi Foscarino Grand Cuvée Soave Doc 2021 Inama
Eleganza e pienezza ne descrivono il naso - dove i fiori bianchi sono dolci come le note di frutta esotica matura - e il sorso che è secco e fresco, con rimandi alle austere note di grafite dell’olfatto.
Soave Doc Vintage Edition 2018 Bertani
Traduce in eleganza le note di fiori e frutta bianca di un’annata fredda, che insieme a freschezza e sapidità del sorso sono la cifra di questo vino che negli anni ha acquisito una sfumatura di idrocarburo.
La Froscà Soave Classico 2014 Gini
A dieci anni dalla vendemmia è molto godibile, forse anche grazie alla piovosità dell’annata. Naso complesso dove le note floreali e fruttate hanno lasciato spazio alla pietra focaia, come al sorso prevalgono raffinate note tostate a completamento della sapidità.
Le Sponde Recioto di Soave Classico 2021 Coffele
Spiazzante e straordinario. Fiori di giglio, zenzero candito, rosmarino e sfumature di ragù bianco al naso, sconvolge le consuetudini olfattive. In bocca è cremoso con un’acidità che bilancia la dolcezza e fa tornare al sorso.

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