Agognato da anni, da tutti, il “Testo Unico del Vino Italiano”, ha iniziato il suo cammino in Parlamento, dopo la presentazione, ieri alle Commissioni Agricoltura di Camera e Senato. Uno strumento che, nella speranza dei produttori di vino e delle loro organizzazioni dovrebbe semplificare il lavoro ed eliminare tutte quelle storture e sovrapposizioni burocratiche che frenano una filiera che, nonostante tutto, continua a registrare risultati importanti soprattutto all’estero, con l’export che ormai ha superato la soglia dei 5 miliardi in valore.
Il presidente della Commissione Agricoltura alla Camera Luca Sani, che, a WineNews, aveva annunciato l’arrivo del Testo Unico, assicura che sarà pronto entro Expo 2015, mentre il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ha definito la bozza “un ottimo punto di partenza che può dare slancio ad un comparto che con i suoi numeri traina davvero il Made in Italy agroalimentare.
Da fonti WineNews, nella bozza presentata, su cui si discuterà, vanno messi ancora a posto dei tasselli, alcuni formali, altri sostanziali, come una maggiore chiarezza sul ruolo dei consorzi e sulle effettive possibilità di azione aperte dall’“erga omnes”, o sul tema dell’indicazione, per i vini Dop e Igp, delle sottozone in etichetta, di fatto, in linea generale, vietato, salvo qualche rara eccezione. Ma di fatto, quello che si respira, è un senso di accordo tra le diverse organizzazioni che hanno contribuito alla stesura del testo (Agrinsieme, Unione Italiana Vini, Federvini, Assoenologi, Federdoc, Fivi), e la volontà chiara di arrivare in fondo al percorso nell’interesse del settore.
“È un lavoro fondamentale, importante e non rinviabile - commenta, a WineNews, Ottavio Cagiano, dg Federvini - che nasce dall’esperienza di questi anni, che ha mostrato quali sono i punti di valore della nostra normativa che è una delle più avanzate e articolate del mondo e che però, in alcuni casi, ha un eccesso di dettaglio che complica le cose, mentre si punta, con il testo unico, ad coordinamento più semplificato, ad un’efficienza interpretativa più immediata. Si vuole superare quello che non funziona con norme che non aprano falle, che non creino difficoltà interpretative, e dall’altra parte si vuole arrivare ad un’autorità di riferimento unica dei sistemi di controllo. Perché i controlli, anche articolati, differenti e specializzati, sono parte del gioco, ma serve un coordinamento, serve che le autorità dialoghino di più tra loro, che esista, di fatto un’anagrafe ed un archivio dei controlli, per sapere chi viene controllato e quanto, e chi no, ed evitare eccessi in un senso e nell’altro. Ci auguriamo un percorso rapido, ma non frettoloso, con il tempo giusto per il dovuto confronto”.
“È un passo importante - aggiunge Domenico Zonin, alla guida di Unione Italiana Vini - e l’aspetto da sottolineare è che è il frutto di un lavoro condiviso delle organizzazioni di filiera, che fa ben sperare per l’iter parlamentare. L’obiettivo è quello di semplificare, sburocratizzare, e anche di arrivare ad un sistema di sanzioni più chiaro e anche più proporzionale agli errori o alle irregolarità che possono essere commesse. Ma il clima che si respira intorno a questo testo è positivo, e guardiamo alla sua concretizzazione con ottimismo”.
Per Fivi (Federazione dei Vignaioli Indipendenti), che a più riprese, anche in passato, ha consegnato a Ministri e autorità il suo “Dossier Burocrazia”, due gli obiettivi imprescindibili che dovrà centrare il Testo, sono “l’istituzione di un’anagrafe dei controlli per evitare che un’azienda, a distanza di pochi giorni, venga controllata più volte da organismi differenti, e una misura che preveda, per il vignaiolo, l’obbligo di sottoporre al Ministero i documenti relativi all’azienda una sola volta all’anno e che poi questi documenti vengano trasferiti ai vari uffici dell’amministrazione pubblica senza che vengano richiesti al vignaiolo una seconda volta o più”. In estrema sintesi, liberare le risorse economiche, umane e temporali per imprese ed organizzazioni di filiera che, così, potrebbero concentrarsi di più, per esempio, sulle nuove sfide per la tutela del vino italiano, “tra digitale e mercato”, come ha ricordato il presidente Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro.
“Attualmente l’unico sistema di tutela con qualche valenza operativa - ha detto - è il marchio registrato. Ma registrare un trademark costa 200.000 euro l’anno a cui va aggiunto un importo che si aggira su 1 milione di euro per la difesa legale. A tanto ammontano le risorse che ogni anno un imprenditore vitivinicolo deve togliere alle strategie di internazionalizzazione. Il successo del vino italiano nel mondo è accompagnato da truffe legate al nostro successo, con bottiglie di “Astix” e “Pol secco” negli scaffali di vendita all’estero, e kit per produzioni vinicole fai-da-te su reperibili tramite internet. Un fenomeno che comporta per il settore vitivinicolo nazionale due danni, uno economico per gli acquisti di falso made in Italy al posto del vero; l’altro è la banalizzazione, la perdita del valore di un simbolo di qualità costruito nel tempo”.
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