Il mercato dei vini sfusi, nonostante le problematiche, tiene, come già raccontato da WineNews, ma le scorte in cantina, inutile negarlo, sono una preoccupazione evidente un po’ in tutto il mondo. E, come spesso accade, dalle difficoltà possono nascere delle opportunità, che, in questo caso, sono rappresentate da nuove strategie con innovazioni ed idee, piuttosto che sulla tradizionale spinta a prezzi super competitivi per alleggerire le rimanenze. Intanto, il mondo degli sfusi, si prepara a due giorni da protagonista grazie alla vetrina della World Bulk Wine Exhibition (Wbwe) n. 17, il principale appuntamento mondiale per il comparto dei vini e distillati sfusi, in programma il 24 e il 25 novembre al Rai Amsterdam e che vede in prima linea nell’organizzazione Vinexposium, tra i leader globali per gli eventi dedicati a professionisti e operatori di vino e distillati (e che firma anche la fiera internazionale “Wine Paris”, ndr).
Un appuntamento che arriva in un momento in cui le esportazioni globali di vino sfuso, che rappresentano una parte certamente da non sottovalutare nel mercato del vino, soprattutto in volume, hanno totalizzato 16,5 milioni di ettolitri nella prima metà 2025, con un modesto calo del -2,3% sullo stesso periodo 2024. Nonostante la riduzione dei volumi, però, i valori sono rimasti stabili, a 1,2 miliardi di euro (-0,3%), sostenuti da un aumento del 2,1% dei prezzi medi, a 0,78 euro al litro, secondo il report della World Bulk Wine Exhibition, curato da Rafael del Rey per Analysts of Wine Markets (Awm). Un mercato, quello dei vini sfusi, che ha la Spagna come leader (6 milioni di ettolitri esportati nel primo semestre 2025, per 302 milioni di euro), ma in cui anche l’Italia gioca un ruolo importante (155 milioni di euro, di poco dietro alla Nuova Zelanda, con 158).
Paesi che saranno protagonisti, insieme a Cile, Nuova Zelanda, Australia, Sudafrica e Stati Uniti, e, per la prima volta, anche Mauritius, Libano e Panama, tra gli altri, della World Bulk Wine Exhibition, con oltre 240 produttori da 25 Paesi e buyer provenienti da più di 60 mercati, coprendo, così, il 70-80% del commercio globale di vini e distillati sfusi. Non mancheranno i vini a denominazione, biologici, distillati, no-low alcol e ready-to-drink, oltre alle più recenti soluzioni di packaging sostenibile studiate per ridurre l’impronta carbonica e ottimizzare i costi di logistica.
Una delle sfide, e dei problemi, più rilevanti per il mondo del vino è, come già accennato, la gestione delle rimanenze in cantina. E quindi le strategie da intraprendere per attuare un modello economico sostenibile. Ma come fare? Guardando a nuove strategie, la strada potrebbe essere quella giusta. Una nota della World Bulk Wine Exhibition sottolinea che “si è tentati di considerare l’attuale eccesso di offerta globale come una scorciatoia per riconquistare i consumatori attraverso prezzi più bassi. In realtà, il quadro è molto più complesso. Ciò che questo momento offre davvero è l’opportunità di ripensare il modo in cui il vino viene prodotto, confezionato e posizionato. Dalla creazione di marchi e private label ai vini analcolici e a bassa gradazione alcolica, dai Rtd (ready-to-drink, ndr) ai nuovi formati, la sfida non è semplicemente vendere le eccedenze, ma trasformare la necessità in innovazione e reinvenzione”.
Ma, mentre le cantine di tutto il mondo pullulano di scorte invendute, i prezzi del vino, in particolare nelle sedi on-premise, rimangono ostinatamente alti, alimentando potenzialmente la continua contrazione del mercato. L’eccesso di offerta potrebbe innescare una nuova ondata di creatività, ma non tutti gli osservatori del settore credono che ciò stia accadendo. Per l’esperto di marketing californiano, Paul Tincknell, “in passato, nella maggior parte delle recessioni, di solito assistevamo ad un ciclo di innovazione in cui i nuovi imprenditori vedevano tutto questo vino meraviglioso e costoso con cui potevano giocare e creare nuovi marchi”. Ma oggi “non accade, o almeno non ancora”.
Eppure questo non è il primo grande squilibrio tra domanda e offerta che l’industria ha conosciuto, negli anni. “L’eccesso di offerta dal 2000 al 2008 - ricorda l’enologo consulente californiano Nicholas M. Karavidas - ha spinto milioni di galloni di vino (un gallone è equivalente a poco meno di quattro litri, ndr) ad essere esportati a prezzi estremamente bassi, creando un’opportunità per sviluppare marchi a livello internazionale. Ricordo di aver spedito un milione di galloni di vino bianco secco Vincor in Canada per 1,10 dollari al gallone per buttare via il vino in eccesso”. Aggiungendo, tuttavia, che “le dinamiche, gli equilibri e i fattori trainanti sono tutti diversi rispetto ai precedenti alti e bassi”. L’inflazione, per esempio, ha spinto le spese generali così in alto che molti produttori in tutto il mondo avranno raccolto quest’anno sottocosto o preferito lasciare l’uva sulla vite, eliminando qualsiasi margine di manovra per gli investimenti di marketing. Ma, a parte i problemi di costo, ci sono ovvie implicazioni a lungo termine nel rilasciare grandi volumi di vino più economico sul mercato: erosione dei margini, svalutazione del marchio e messa a dura prova delle già fragili reti di coltivatori e distributori. Poi, ci sono anche implicazioni finanziarie a breve termine: “mi azzarderò a dire che fino al 30% e più dei 50 milioni di galloni di vino sfuso che sono sul mercato negli Stati Uniti non andranno mai da nessuna parte. Il vino sfuso è la base per le strutture di credito e le linee di credito delle cantine. Quindi non possono vendere un valore di 8 dollari o un valore di 12 dollari sui loro libri contabili, per quanto riguarda la loro banca, per 2 dollari che è l’offerta su quel vino”. Anche la premiumizzazione, che è stata in cima all’agenda del settore per molti anni, diventa vulnerabile. “Le grandi aziende, i marchi e i distributori - dice Tincknell, che ritiene anche che la “corporativizzazione” dell’industria stia soffocando l’innovazione - si rendono conto che se si presentano con uno Chardonnay da 20 dollari, questo potrebbe far crollare il mercato per il loro Chardonnay da 35 dollari. E il margine è molto migliore sullo Chardonnay da 35 dollari”.
Ci sono anche diversi esempi di blockbuster di marca nati dall’eccesso di offerta, probabilmente il più noto dei quali negli Stati Uniti è Charles Shaw dei Bronco o “Two Buck Chuck”, spiega la nota, senza dimenticare progetti di successo nati dalla grande disponibilità di vini sfusi sul mercato. Il broker di vino sfuso Adam Schulz della Incredible Bulk Wine Company nello Stato di Washington, indica le opportunità nell’attuale mercato, ma anche le potenziali insidie: “opportunisticamente, gli acquirenti possono trovare quello che vogliono e avviare un marchio del distributore. Ma se stai capitalizzando sulle incredibili offerte disponibili, c’è la necessità di mantenere un prodotto coerente se vuoi trovare il successo commerciale”. Il marchio del distributore viene descritto come una delle opportunità più promettenti per assorbire l’attuale eccesso di offerta di vino, soddisfacendo molte esigenze, tra cui la conservazione dell’integrità del marchio. “Tra il 50 e il 60% del vino al dettaglio dell’Unione Europea è a marchio del distributore delle principali catene, come Tesco - ha spiegato Karavidas - negli Stati Uniti siamo circa al 10-12%, ma ci muoveremo molto rapidamente”. Schulz ha aggiunto che “il marchio del distributore è un buon modo per eliminare l’eccesso di offerta e sviluppare relazioni di vendita al dettaglio più forti”. Le attuali dinamiche del mercato statunitense rendono i fornitori europei particolarmente ben posizionati per sfruttare il business del marchio del distributore. La quota delle importazioni dall’ultimo grande periodo di eccesso di offerta è aumentata da circa il 12-15% a ben il 40%, con l’accumulo di scorte pre-dazi che aggrava questa tendenza. “Ci sono da 70 a 100.000 acri di viti che sono stati espiantati in California. Si tratta, potenzialmente, di 700.000 tonnellate di uva che non esistono più, e che rappresentano circa il 25% del mercato dell’uva da vino”, dice Karadidas, e, quindi, “la chiave è che la maggior parte dei vigneti si trova nella Central Valley e nell’interno settentrionale: è da lì che proviene il prezzo da 6 a 15 dollari in California. Non possiamo sostituire quelle uve per quel prezzo fuori dalle regioni costiere, quindi quei vini proverranno dall’importazione, ancora principalmente da Francia e Italia, nonostante i dazi”.
Tutti, poi, sembrano concordare sul fatto che attualmente ci sono molteplici opportunità per capitalizzare la situazione di eccesso di offerta per categorie, ad esempio per varietà più di nicchia, vini bianchi, vini speciali, ready-to-drink, no-low e diversi formati di imballaggio, in particolare monodose, in un’epoca dove spiccano la moderazione e un crescente bisogno di responsabilità all’interno del settore, sottolinea sempre Karavidas. Ma ci sono degli avvertimenti. “C’è un abisso tra le richieste del mercato e l’offerta. Ciò che il mercato richiede e ciò che è effettivamente disponibile sono cose diverse”. Inoltre, sfruttare queste opportunità richiede capitale e, a parte i grandi operatori “che intervengono sempre dove c’è l’opportunità di rivedere l’inventario”, alcuni dei finanziamenti potrebbero dover provenire dall’esterno dell’industria del vino.
“I venti del cambiamento - ha aggiunto Karavidas - saranno diversi da come forse li stiamo guardando tutti. Pensate a nuovi capitali, nuovi player e nuove prospettive di nuovi grandi attori che storicamente non sono stati nell’industria del vino”. Karavidas, cita aziende come il gigante alimentare californiano Wonderful, che possiede la Justin Winery a Paso Robles. Schulz condivide un’opinione simile: “sembra che le aziende che stanno crescendo e hanno successo in questo mercato del vino capovolto tendano ad essere al di fuori dell’industria vinicola. Hanno un punto di vista unico su come dovrebbe essere la confezione o quale dovrebbe essere il messaggio. Non sono bloccati sul modello tradizionale e sono in grado di capitalizzare sullo sviluppo di private label o nuove etichette o nuovi concetti di packaging e stanno trovando un bel po’ di fornitori disposti ad aiutarli”.
Alla fine quello che può fare la differenza, come si legge nella conclusione della nota, è la capacità di rimanere dinamici, creativi e commercialmente resistenti di fronte al surplus. I prezzi scontati possono eliminare le scorte, ma coloro che avranno successo saranno quelli che vedranno l’eccesso di offerta non come un peso, ma come un catalizzatore per riconnettersi con i consumatori e ripristinare l’equilibrio.
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