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In attesa del pronunciamento di Bruxelles sul distinguo tra transgenesi (Ogm), cisgenesi e genome editing - che consentono trasferimenti di geni nell’ambito della stessa specie - il settore vitivinicolo italiano si prepara ad alleanza con la genetica

Tra gli Ogm e la “tradizione”, spesso contrapposte in maniera ideologica, esiste una terza via, quella aperta dalle nuove acquisizioni del miglioramento genetico, che è opportuno intraprendere per il futuro del Belpaese enoico. Insomma l’”alleanza tra genetica e vite” s’ha da fare: ecco, in estrema sintesi, il “verdetto”, uscito dall’incontro organizzato dal Crea - Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano, ieri (4 marzo), a Susegana (Treviso). Intorno al tavolo a discutere di questo tema cruciale, tutta la filiera vitivinicola, dalla ricerca al consumatore, passando per le aziende e la distribuzione.
“Per la prima volta oggi - ha detto in apertura Diego Tomasi, direttore del Crea-Vit di Conegliano - diverse professionalità ed esperienze sono riunite per confrontarsi senza contrapposizioni su un tema caldo. Non ci interessa avere viti più produttive, sappiamo e vogliamo continuare a valorizzare al meglio le nostre varietà negli ambienti di coltivazione, ma per ridurre l’impatto della difesa e dei cambiamenti climatici, ci servono cultivar praticamente uguali a quelle che coltiviamo già, ma resistenti. Una prospettiva oggi possibile”.
Una strada percorribile grazie alla cisgenesi, che consente di ottenere viti resistenti alle malattie e agli effetti del cambiamento climatico attingendo ai geni della stessa specie. Le piante che ne derivano sono quindi al 100% di Vitis vinifera, non equiparabili a quelle ottenibili per transgenesi - che dà luogo a Ogm-Organismi Geneticamente Modificati come sono definiti nella legge del 2001 - ricorrendo all’introduzione di geni da specie diverse e non sessualmente compatibili, come è il caso del mais BT in cui sono stati inseriti i geni di un batterio. L’altra tecnica di “ultima generazione” è il genome editing, che esegue modificazioni mirate e corregge le sequenze del genoma che rendono la pianta suscettibile rendendola resistente.
Il CREA coordinerà il Piano di ricerca straordinario sul “miglioramento genetico attraverso le biotecnologie sostenibili” per cui il Ministero delle Politiche Agricole ha stanziato, ad inizio anno, nella Legge di Stabilità 21 milioni di euro.
“Il nostro sistema agroalimentare - ha affermato Salvatore Parlato, Commissario straordinario del CREA - non potrà esimersi dall’implementare queste nuove tecnologie che possono dare impulso alle produzioni italiane nel paradigma della sostenibilità e concorrere anche ad aumentare il reddito degli agricoltori. Stiamo portando avanti una condivisione del Piano a partire dal settore vino che è una delle nostre eccellenze”.
Per valutare la potenzialità attuali del miglioramento genetico è necessario fare uno sforzo per comprenderle e tenere sempre ben presente che sui 3,5 milioni di ettari di vigneti europei, pari soltanto al 3,3% dei terreni agricoli, si utilizza il 65% dei fungicidi del totale di quelli irrorati in agricoltura per un totale di 60 mila tonnellate (Eurostat Report, 2007).
“Il maggior contributo al progresso dell’agricoltura nell’ultimo secolo - ha spiegato Mario Pezzotti, vice presidente della Società di Genetica Agraria e genetista dell’Università di Verona - si deve alla genetica che ha avuto un ruolo determinante sulla produttività che è cresciuta del 50%”.
Il miglioramento genetico da parte dell’uomo è iniziato dalla prima domesticazione delle piante attraverso l’incrocio con piante non coltivate per ‘inserire’ caratteristiche favorevoli in quelle domesticate per poi, con incroci successivi (reincrocio), ricostituirne il genoma. Tuttavia con questa tecnica nella pianta coltivata rimane sempre un 3,5% del corredo genico del selvatico e i tempi sono lunghissimi: per un ciclo di reincrocio sono necessarie decine di anni.
“In questo modo - ha proseguito Pezzotti - e alla luce delle conoscenze legate al sequenziamento del genoma, ottenuto nel 2000, è stato raggiunto un grande risultato: la selezione di dieci nuove varietà di vite da vino resistenti a peronospora e oidio ad opera dell’Iga - Università di Udine, che tuttavia contengono una quota di patrimonio genetico del selvatico. Oggi si può fare di più anche perché le conoscenze della ricerca italiana sulla genomica delle nostre specie agrarie sono molto vaste”.
Il miglioramento genetico tradizionale è efficace, ma lento e produce varietà completamente nuove che potrebbero soppiantare le varietà tradizionali a cui sono legate le nostre produzioni, viticoltura in primis. La cisgenesi, invece, consente di ottenere modificazioni mirate analoghe a quelle spontanee consentendo al contempo di preservare le varietà tradizionali in alcuni casi irrimediabilmente messe in pericolo da patogeni.
“Erano 20 anni che non veniva finanziato - ha ricordato Alessandra Gentile, Commissario delegato CREA e genetista dell’Università di Catania, che ha moderato la tavola rotonda - un progetto di ricerca sul miglioramento genetico. Nel frattempo per poter continuare il lavoro i ricercatori si sono arrangiati e ora c’è da capire come utilizzare le risorse disponibili al meglio perché ci sia un effettivo ritorno sul mondo operativo. Partiremo con una ricognizione su ciò che è stato fatto finora, ed è molto, per applicarci alla costituzione di varietà resistenti a malattie, ai cambiamenti climatici e con caratteristiche nutraceutiche interessanti. L’ottica sarà quella dei prodotti ottenibili e non del metodo”.
Insomma, come ha sottolineato Carlo Lorenzoni, genetista dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, gli strumenti attuali consentono di ottenere risultati precisi in tempi rapidi e con sicurezza, cioè senza i “sottoprodotti indesiderati” inevitabili con altri processi.
“Il consumatore di prodotti biologici - ha messo in evidenza Fabio Brescacin di EcorNaturasì - chiede non solo prodotti salubri, ma una qualità a 360 gradi, che interessa la sostenibilità a tutti livelli non solo ecologica, ma anche etica e sociale. Il consumo diviene un atto di sostegno e condivisione con l’azienda che produce. Circa il miglioramento genetico ritengo ci sia da porre l’attenzione al risultato finale. Abbiamo, per esempio,il dubbio che il contenuto elevato di glutine del frumento duro Creso, selezionato nel 1974, sia responsabile della diffusione di intolleranze alimentari. Stiamo lavorando con il CREA di Foggia, con l’Università di Palermo e con una società svizzera per sviluppare cultivar che non diano questo problema”.
“Sull’informazione ai consumatori - ha evidenziato Cinzia Scaffidi, vice presidente Slow Food - il caso delle etichette è emblematico. Quando si parla di origine degli ingredienti e di informazione molti si mettono di traverso. E anche in questo caso credo che i consumatori non potranno essere informati perché non ci sarà tracciabilità. Non sono convinta che si debba guardare al prodotto e non al metodo: ciò mi ricorda il detto “il fine giustifica i mezzi”. A noi interessa la connessione tra le cose e, quindi, il processo. Chi difendeva gli Ogm li proponeva come la soluzione ai problemi del mondo. Ora è il tempo della cisgenesi, ma c’è un baratro normativo: ritengo che trattandosi di tecniche genomiche debbano ricadere sotto la legge del 2001”.
La normativa, tuttavia, è ormai superata dall’innovazione che è intervenuta nel frattempo, che comunque non è per definizione “buona” e va vagliata.
“L’innovazione tecnologica - ha sostenuto Stefano Masini, responsabile Area Ambiente e Territorio Coldiretti - va valutata in un contesto più ampio. Abbiamo un patrimonio da salvaguardare, non ci fossilizziamo solo sul genoma”.
“Orientati al piacere, siamo passati dal consumo al consumismo - ha detto Oscar Farinetti, nella sua veste di fondatore dell’Associazione Vino Libero - e di colpo ci siamo accorti che la fine del mondo è vicina e per scongiurarla stiamo passando dal consumare al “durare”. Il centro della morale e dell’etica diventerà business. Tenendo ben presente che il vino è la bevanda più buona del mondo, ma che il suo giro d’affari vale la metà di quello della Coca-Cola, l’Europa deve interpretare il futuro oggi possibile grazie alle nuove tecnologie per mantenere la leadership nella viticoltura mondiale”.
“Il principio di precauzione che ci siamo dati come europei rispetto agli Ogm - ha commentato Vasco Boatto, economista dell’Università di Padova - è stato una scelta che alla lunga si sta dimostrando giusta. Il progresso scientifico corre più veloce dell’adeguamento della società civile. Ora siamo a uno snodo: o prendiamo questa occasione o non ne avremo altre per preservare il nostro patrimonio vitivinicolo e traghettarlo nel futuro”.
“Se vogliamo ridurre l’impatto della viticoltura - ha detto uno dei nomi più prestigiosi dell’Italia del vino, Angelo Gaja - dobbiamo perseguire tutte le strade possibili compreso l’impiego di biotecnologie, che non sono equiparabili agli Ogm transgenici. L’abbattimento dei costi conseguente alla riduzione dei trattamenti potrebbe aiutare quella viticoltura che produce quel 50% di vino sfuso italiano esportato a 0,40-0,50 centesimi al litro”.
“Considerando che le nostre produzioni a denominazione - ha commentato Arturo Stocchetti, presidente di Uvive - Unione Consorzi Vini Veneti - si basano sull’origine territoriale e sui nostri vitigni. La cisgenesi, non toccando l’identità del vitigno, ci permetterà di non modificare le caratteristiche del prodotto, ma di proteggere le piante dalle malattie. Non si può che essere favorevoli”.
“Non c’è altra via che la scienza e la conoscenza per stare sul mercato - ha sottolineato nel suo messaggio il presidente Assoenologi Riccardo Cotarella, impossibilitato a partecipare. Il Wine-Reserch-Team dà il massimo supporto all’utilizzo delle tecniche di miglioramento genetico più avanzate oggi disponibili”.
“Il mondo della produzione non può che trarre vantaggio da questa prospettiva - ha detto Domenico Zonin, presidente Unione Italiana Vini (Uiv). Un vantaggio su uno scenario competitivo che ormai è globale. È necessario spingere sulla collaborazione tra la ricerca, che a lungo è stata autoreferenziale, e le aziende. Creare poli di ricerca superando la frammentazione aiuterà anche a specializzarsi e coordinarsi”.
“L’ottenimento di varietà resistenti - ha sostenuto, come fa da tempo, il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano (http://goo.gl/b8QsDc) - senza ricorrere agli Ogm, ma semplicemente a tecniche che ricalcano ciò che avviene in natura velocizzandolo, è un’occasione che l’Italia non può lasciarsi scappare. In Europa gli altri Paesi si stanno focalizzando su altre produzioni: sul latte la Gran Bretagna e la Francia, sui suini la Germania in Baviera, gli spagnoli sull’ortofrutta. Noi abbiamo la responsabilità di occuparci della vite e del vino. Non dobbiamo perdere altro tempo. Inizialmente dovremo puntare su alcuni grandi autoctoni come il Nebbiolo, la Glera e l’Aglianico e su denominazioni portabandiera all’estero per avere opportunità commerciali. Per fare fronte al cambiamento climatico dovremo lavorare sui portinnesti più che sulle varietà perché hanno molte più potenzialità nel contrasto di situazioni come la tolleranza allo stress idrico e alla salinità”.
Ma quale è la posizione dell’Unione Europea al riguardo? “Stiamo lavorando - ha detto Paolo De Castro, Coordinatore S&D alla Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo - perché la Commissione ci aiuti a capire le basi giuridiche su cui muoverci. La legge del 2001 sugli Ogm, che li definisce come organismi in cui sono stati inseriti geni da altre specie, non comprende le varietà che si possono ottenere con la cisgenesi e il genoma editing”.
A fianco dell’Italia in questa iniziativa per chiarirne l’inquadramento giuridico c’è l’Olanda. La Commissione ha indicato nei primi mesi di quest’anno l’arrivo di una risposta e il semestre di presidenza olandese fa ben sperare.
“Rispetto alle traiettorie da seguire per preservare il patrimonio di biodiversità del Made in Italy - ha detto il Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina - il Ministero sta cercando di trovare la via da intraprendere. Se l’Europa deciderà, come spero, che la cisgenica e il genome editing sono distinguibili dalle “vecchie tecnologie” Ogm su basi scientifiche, dobbiamo prepararci ad affrontare questa nuova frontiera. Ci sono novità che cambiano le cose. Il Piano di ricerca straordinario sul miglioramento genetico attraverso le biotecnologie sostenibili che abbiamo inserito nella Legge di Stabilità non è un contentino, anche perché trovare 21 milioni non è stato facile, ma una partenza concreta su questo percorso. Senza discutere guardando indietro cominciamo a capire come, per esempio in viticoltura, possiamo fare un passo in avanti. Abbiamo nuove tecnologie nel miglioramento genetico, risorse, dobbiamo comprendere la sfida da affrontare e superare le discussioni e i contrasti del passato sugli Ogm, per tracciare una strada consona all’Italia”.
Clementina Palese

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