Nel 2014 l’export del vino italiano potrebbe toccare un nuovo record (da 5,04 a 5,1 miliardi di euro; fonte: stime Wine Monitor-Nomisma, ndr), risultato che arriva dopo anni di crescita continua, e con “indici” tutti positivi: dal 2008 al 2013 il valore è cresciuto del 45% ed i volumi del 23%, un incremento netto ma anche strutturale (+100% a valore e +36% a volumi nell’intervallo 2001-2013), e, soprattutto, qualitativo, con gli incrementi a valore che superano quelli a volume, segno di una crescita costante della qualità del prodotto esportato. “Un caso di successo imprenditoriale e amministrativo”, spiega Alberto Mattiacci, ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Sapienza Università di Roma, autore dello studio “Racconti dal futuro. Dieci anni di Made in Italy nel mondo per un domani di successi”, presentato oggi a Roma, con l’Istituto del Vino Grandi Marchi, l’associazione guidata da Piero Antinori che riunisce le 19 cantine simbolo dell’enologia tricolore nel mondo. Un successo, in grado di assorbire sia la crisi post 2008 che l’effetto Euro e perché i Paesi Terzi, nel periodo 2008-2013 sono cresciuti di più di quelli dell’area Ue, sia a volumi (+32%, a 6,8 milioni di ettolitri nel 2013) che a valori (+50%, a 2.4 miliardi di euro). In aggregato, inoltre, il valore medio del venduto sulle piazze extra-Ue è quasi doppio di quello Ue (358,85 euro/hl contro 188,96 euro/hl). Merito anche, emerge dallo studio, di una misura a sostegno delle esportazioni e della promozione, che le aziende hanno avuto a disposizione e che, prima ancora di portare sia a consolidare la presenza sui mercati extra-Ue più maturi che a penetrare quelli in crescita se ben utilizzata dalle imprese (nei Paesi consumatori, e non in “maniera random”), ha giocato un ruolo di stimolo industriale alla necessaria qualificazione dell’export italiano, e per una politica industriale capace di far dialogare le aziende (dal 2004 al 2014 i Grandi Marchi hanno investito complessivamente circa 60 milioni di euro, di cui circa 1/3 con il sostegno della promozione Ue). Con il felice connubio pubblico-privato che nell’Ocm ha finora dato buona prova di sé, e, fatto auspicare, forse, al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, al Vinitaly 2014, quel “+50% in 7 anni” di export, cui il mondo italiano del vino può realisticamente aspirare consolidando e accrescendo i risultati fin qui raggiunti.
Focus - Ocm vino, la case history dell’Istituto Grandi Marchi. Antinori: “abbiamo messo in cantiere, anche con i finanziamenti Ocm, progetti di penetrazione e presidio dei mercati, non semplicemente delle operazioni mordi e fuggi”
“Il Pil italiano avrebbe oggi 500miliardi di euro in più se fosse cresciuto quanto l’export di vino made in Italy dal 2007 al 2013”. A dirlo è Alberto Mattiacci, ordinario di Economia a la Sapienza di Roma, autore della ricerca sull’export del vino realizzata per l’Istituto italiano del vino di qualità Grandi Marchi presentata oggi a Roma, citando il dato dell’ufficio studi economici Bnl. Il focus sulle azioni di promozione realizzate dall’Istituto Grandi Marchisi (tremila anni di storia e cultura vitivinicola italiana e 12 regioni rappresentate, riunendo le 19 cantine icona dell’enologia italiana: Alois Lageder, Argiolas, Biondi Santi - Greppo, Ca’ del Bosco, Michele Chiarlo, Carpenè Malvolti, Donnafugata, Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Gaja, Jermann, Lungarotti, Masi, Marchesi Antinori, Mastroberardino, Pio Cesare, Rivera, Tasca D’Almerita, Tenuta San Guido, Umani Ronchi, con un fatturato di quasi 500 milioni di euro di cui il 60% realizzato all’estero, ed un’incidenza del 6,5% sul valore dell’export nazionale) si concentra sulle attività prodotte dal 2009 al 2013, da quando cioè l’Istituto è impegnato nei progetti dell’Ocm Vino Promozione. Dal 2004 al 2014 l’Istituto (che vale complessivamente il 6,7% delle esportazioni mondiali) ha investito complessivamente circa 60 milioni di euro nella promozione del vino di qualità (di cui circa 1/3 con il sostegno della promozione Ue)
I risultati, secondo lo studio, sono in certi casi netti e clamorosi, con impennate come il +562% registrato in Brasile e una crescita strutturale dell’export sui mercati globali pari al 41%. Successo anche sul fronte della penetrazione nei mercati, dove si è passati a triplicare il numero di Paesi Terzi coperti, che oggi rappresentano circa il 90% della domanda extra-Ue di vino.
Una politica manageriale che secondo quanto rilevato ha determinato da una parte un incremento dei fatturati in Paesi extra-Ue di grandi prospettive - dal +88% in Russia, al + 133% in Cina e il +562% in Brasile - dall’altra un consolidamento dei mercati di sbocco, con ottime performance negli USA (+19%), in Canada (+25%), in Svizzera (+59%) e in Giappone (+79%).
Per il presidente dell’Istituto Grandi Marchi, Piero Antinori, “da un punto di vista qualitativo ciò che ci contraddistingue è l’aver messo in cantiere, anche con i finanziamenti Ocm, dei progetti di penetrazione e presidio dei mercati, non semplicemente delle operazioni mordi e fuggi. Le nostre imprese - ha aggiunto - stanno investendo sui mercati più rilevanti e di maggiori prospettive future, esportando prodotto di qualità, generando valore di marca e Paese. La ricerca che abbiamo commissionato vuole essere uno strumento utile per aprire un tavolo di confronto sull’Ocm Vino Promozione - ha concluso Antinori - tra chi, come noi, ha dimostrato di aver lavorato per il bene comune e le istituzioni che rappresentano questo settore anche a livello politico nazionale e in sede Ue”.
La ricerca sottolinea come gli investimenti effettuati nel periodo di riferimento seguano un modello manageriale di azione, fatto di attività “consumer-oriented” per circa il 60% delle risorse utilizzate e di “market relation” con iniziative dirette agli stakeholder media, d’opinione e commerciali, per circa il 40%.
Per Mattiacci “l’Ocm è una variabile esogena al sistema delle imprese, che a nostro avviso ha funzionato egregiamente e riveste un’importanza futura fondamentale. Non si comprende la ragione di certe critiche recentemente mosse a questo che ci piace definire uno strumento di politica industriale europea”. Lo studio vede l’esperienza italiana nell’Ocm come una misura ancora perfettibile, se comparata con quella francese e spagnola. Tre le possibili aree d’intervento: la semplificazione delle procedure gestionali; l’introduzione di meccanismi di selezione dei player che accedono alla misura in ragione della loro capacità di usare i fondi su progetti solidi e di prospettiva; la costante verifica dell’impatto di medio termine della misura, a livello aggregato e di monitoraggio obbligatorio dei singoli progetti.
La ricerca individua infine il profilo di un export italiano di valore che combina alcuni caratteri, ben rappresentati dai player dell’Istituto Grandi Marchi: è imbottigliato, frutto di presenza commerciale stabile e di una vendita attiva di offerte glamour. Questo modello dovrà continuare a crescere per sostituire gradualmente un altro modello presente nell’export italiano, fatto di sfuso e basic, frutto di attività di vendita one shot e spesso passiva.
Nel prossimo aprile, l’Istituto Grandi Marchi sarà promotore di un convegno di approfondimento su questa ricerca, destinato a tutto il settore del vino italiano (www.istitutograndimarchi.it).
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025