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DA “FESTA A VICO”

La cucina italiana esiste, ed è già un patrimonio amato dall’umanità. In attesa dell’Unesco

Le riflessioni di Pierluigi Petrillo (Sapienza), Maddalena Fossati (La Cucina Italiana), e degli chef Gennaro Esposito, Davide Oldani e Narda Lepes

La cucina italiana esiste, è un patrimonio di valori, di passione, di gesti, di saperi e di creatività, e non di ricette specifiche o di materie prime, per sua natura mutevole, aperto alle contaminazioni e inclusivo, già amato e condiviso dall’umanità. Il riconoscimento a Patrimonio Immateriale Unesco, che potrebbe arrivare nel 2025, sarebbe importante, e sarebbe un’operazione culturale, di affermazione e di orgoglio della cucina italiana d’Italia e del mondo, ben prima e molto di più di un’operazione commerciale, con effetti positivi diretti ed indiretti potenzialmente enormi. Un obiettivo che è alla portata, a patto che enti culturali, istituzioni e chef facciano sistema davvero, e non a parole, guardando al riconoscimento Unesco non tanto come un traguardo, quanto come un nuovo punto di partenza, e come ad uno stimolo per scrollarsi di dosso quel “modus pensandi” tutto italiano, di paragonarsi alla Spagna nella cucina come alla Francia nel vino, quando invece il Belpaese è ricco di identità, unicità e qualità eccellenti amate nel mondo. Messaggio che arriva dall’apertura di “Festa a Vico”, la Festa di alta cucina ideata dallo chef Gennarino Esposito, del bistellato Michelin La Torre del Saracino, che da oggi al 12 giugno anima con colori, profumi e sapori, il borgo che si affaccia sulla Costiera Amalfitana e guarda al Vesuvio.
Concetti espressi nel convegno “La cucina italiana esiste (ed è un patrimonio di valori). Parliamo della candidatura all’Unesco”, guidato dalla direttrice della rivista “La Cucina Italiana” Maddalena Dondero Fossati, dalle cui colonne è partita l’idea della candidatura, con il professor Pierluigi Petrillo, direttore Cattedra Unesco Università Unitelma Sapienza, Narda Lepes, che del Comedor a Buenos Aires, mi è sfuggita “Miglior Chef Donna” dell’America Latina nel 2020 secondo la classifica internazionale “50 Best Restaurants”, Davide Oldani, chef due stelle Michelin del D’O di Cornaredo, e Gennaro Esposito. Il tutto parte da una riflessione dolce amara condivisa da Fossati e Petrillo: “se la candidatura, che per amor di cronaca il Governo precedente non ha preso in considerazione, a differenza di quello attuale, ha trovato molti sostenitori, anche dall’estero, in Italia ci sono anche molti detrattori, che dicono che non esiste una cucina italiana”.
Ma è semplicemente “ridicolo dire che non esiste la cucina italiana. Esiste eccome - ha detto Narda Lepes - ed è già patrimonio dell’umanità, anche se non lo è ufficialmente e formalmente. Il piatto favorito di tutti i bambini del mondo è la pasta italiana, per esempio. Il riconoscimento Unesco sarebbe un riconoscimento per tutti quelli che hanno portato la cucina italiana nel mondo. Passione e orgoglio, per la cucina italiana, sono un ingrediente peculiare, la discussione su una ricetta, su un piatto, fa parte della cultura italiana. È la componente umana che viaggia con il cibo, il segreto della cucina italiana. Il filtro italiano applicato alla cucina, che è un filtro culturale, è amato nel mondo.
Ed i primi custodi della qualità italiana sono gli italiani, che fin da bambini vivono la “costruzione del gusto”, che imparano da piccoli la differenza tra un prodotto ed uno migliore”.
“La cucina italiana è questione di passione - ha detto dal canto suo Gennarino Esposito - che non è uguale in tutte le persone. Dobbiamo valorizzare i nostri piatti. Anche quando si fa una spaghettata aglio, olio e peperoncino, richiamiamo a noi tutta la sua sapienza. Non dobbiamo perdere la complessità della cucina di casa e dei suoi gesti, dobbiamo codificare tutto quello che ci hanno lasciato mamme e nonne, per poi diffonderlo. Dobbiamo rendere la nostra cucina tradizionale comprensibile a tutto il mondo, trovare delle chiavi per cui i nostri piatti sono sempre più internazionali, ma sempre più unici ed identitari”.
“La candidatura Unesco è positiva dal punto di vista anche psicologico - ha detto Davide Oldani - ma userei una comunicazione più forte, non “cucina italiana” ma “cucina è italiana”, perché ci vuole un po’ di orgoglio in più. È il momento di fare davvero “sistema Italia”, come hanno già fatto gli spagnoli, che sono uniti sia dietro che davanti alle quinte, anche meglio dei francesi, e ormai sono un riferimento mondiale quando si parla di qualità e di tecnica della cucina. Ma la tecnica in cucina ha una fine, c’è un confine oltre il quale non si potrà andare, e che forse abbiamo già raggiunto: la cosa che farà la differenza sarà la costanza nel tempo. Il cibo, poi, deve essere anche divertimento, lo affrontiamo in modo troppo violento, con troppe elucubrazioni mentali, con tante chiacchiere e parole, spesso anche sbagliate, soprattutto sui social. Con il riconoscimento Unesco, con una condivisione di idee, molte cose possono migliorare. Soprattutto se ricordiamo che la tavola moderna è condivisione, coinvolgimento, spensieratezza. Che poi è semplicemente un po’ un ritorno al passato”.
Eppure, ha voluto sottolineare Maddalena Fossati, tra le prime promotrici della candidatura della cucina italiana a patrimonio Unesco, “proprio i francesi, che amo molto, mi hanno insegnato come fare squadra, e se non ci fosse stata un’ispirazione francese non avrei pensato a questo progetto. Deciderà l’Unesco, che è lì dal 1945, mentre i Governi vanno e vengono. Ma siete voi cuochi i portabandiera di un valore culturale, e questa candidatura è la più grande carezza di autostima che possiamo fare all’Italia, che in questo senso ne riceve poche”.
A spiegare meglio il senso della candidatura, è stato poi Pierluigi Petrillo, direttore Cattedra Unesco Università Unitelma Sapienza: “partiamo dal fatto che i principali detrattori di questa candidatura sono alcuni italiani, mentre i francesi sono stati da subito grandi supporter, persino lo chef stellato francese Alain Ducasse. L’Unesco, contrariamente a quello che dice qualcuno, non ha mai riconosciuto nessuna cucina al mondo come patrimonio immateriale, ci sono semmai tecniche di preparazione molto specifiche, ma mai una cucina nel suo complesso, ed è stata questa la vera sfida del dossier di candidatura. Io ho già seguito la candidatura dell’“Arte del pizzaiuolo napoletano”, che è una cosa precisa, circostanziata, ma la cucina italiana è un’altra cosa. Tra gli italiani c’è una grande fetta, anche di colleghi giornalisti, che sono contrari perché, dicono, sarebbe una cosa troppo favorevole per il Governo di turno, ma io dico: chi se ne frega. L’Unesco è la “stella Michelin” della cultura: i flussi turistici mondiali selezionano i luoghi da vedere in base alla presenza di riconoscimenti Unesco. Quello che conta sono gli effetti indiretti, non solo quelli diretti economici. Il senso di questa candidatura è affermare il valore del cucinare, che non è solo la cucina dei grandi chef, ma anche della famiglia, del quotidiano, da cui gli chef si ispirano, per una cucina italiana che non è statica, che è dinamica e si arricchisce continuamente, è un mosaico di diversità. È stupido dire che la cucina italiana non esiste perché il pomodoro, che oggi ne è un grande protagonista, per esempio, non è nato in Italia. Non vogliamo affermare la sovranità italiana sul singolo ingrediente, ma la creatività, la capacità di far diventare tradizione, elementi culturali, dei piatti, anche con ingredienti stranieri, anche con contaminazioni”.
Ma oltre al valore culturale ed immateriale della cucina italiana, c’è anche un aspetto molto più concreto e pratico: i ristoranti sono imprese, i ristoratori imprenditori che devono far quadrare i conti, e che sono alle prese con il problema tutt’altro che risolto della difficoltà nel trovare personale, in un mondo diverso rispetto a quando questa generazione di grandi chef di oggi ha iniziato il suo percorso. “Ultimamente leggiamo sempre di più della mancanza di personale - ha detto Esposito - e di una serie di scelte conseguenti che comunicano il ridimensionamento del business di alcune aziende. Dobbiamo capire che il mondo è cambiato, alla fine siamo imprenditori oltre che cuochi, dobbiamo capire cosa è giusto fare per la gestione dell’azienda. Si deve ridisegnare tutto a partire dal rapporto con il personale. Io quando mi trovo davanti ad un ragazzo o a una ragazza mi preoccupo in primis di offrire un lavoro che dia dignità, insegnamento, disciplina, che esalti le capacità; poi cerco di coinvolgere i collaboratori in un progetto, in un percorso di cui deve fare parte. E poi ci sono i due aspetti più scottati: quello economico e, soprattutto, quello del tempo libero. Molti di noi hanno passato la vita in cucina, con grandi sacrifici, ma il modello di 15 ore al giorno ai fornelli non funziona più. La gente, giustamente, vuole vivere e lavorare in un certo modo che concili il lavoro con la vita privata”. In questo senso “ci serve un aiuto dall’alto, istituzionale, che dia delle regole. Quando ero in giro per il mondo - ha detto Oldani - se volevo fare più ore di quelle previste le facevo, pagato o no, perché volevo farlo io. In Francia 20 anni fa iniziarono ad imporre un massimo di 7 servizi alla settimana, vuol dire 40 ore di lavoro a settimana. Oggi con le leggi correnti non possiamo fare mezzogiorno e sera, a meno di non assumere il 20-30% di personale in più. Ma su un dato dobbiamo riflettere: in 3 anni, in Italia, si è passati da 72.000 a 32.000 iscritti alle scuole alberghiere, perché è passato il messaggio che se vuoi fare questo lavoro è quasi una “missione”, ma se lavoriamo sempre di più, nessuno vorrà più farlo, i giovani oggi pensano in modo diverso da quando eravamo giovani noi. Detassare il lavoro in un ristorante, in maniera regolata, obbligando l’impresa a reinvestire le tasse risparmiate in assunzioni di personali, potrebbe essere una strada”.
Che magari sarà percorsa quando la cucina italiana diventerà Patrimonio Unesco, in quella che, in fin dei conti, ha detto Fossati, è una grande operazione di “rebranding” di un patrimonio storico. Che dall’umanità è già amato e condiviso.

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