Tra i tre grandi territori del vino francese, la Borgogna è senza dubbio quello che sta vivendo il momento migliore, non solo a livello commerciale, ma anche a livello produttivo, sostenuta, strano a dirsi, proprio da quei cambiamenti climatici che spaventano tante altre regioni enoiche in tutto il mondo, e che qui, negli ultimi 15 anni, hanno permesso al Pinot Nero di raggiungere maturazioni perfette. La Francia, del resto, nonostante la competizione serrata, per l’Italia enologica è, comunque, una sorta di “sorella maggiore”, dalla storia vinicola antica e consolidata, da cui c’è molto da imparare, specie a livello commerciale, dove a farla da padrone sono, appunto, Champagne, Bordeaux e Borgogna. Tre nomi per centinaia di milioni di bottiglie, un bel punto di forza a livello comunicativo, ma anche tre realtà diversissime tra loro, come hanno raccontato i protagonisti di questo successo, gli enologi Thierry Gasco (direttore enologo di Pommery, Champagne), Nadine Gublin (consulente grandi marchi di Borgogna) e Nicolas Lebecq (enologo direttore tecnico a Bordeaux), nel convegno “La Francia: tre eccellenze raccontate dai loro enologi”, di scena al Congresso Nazionale Assoenologi n. 69, chiuso ieri a San Patrignano.
La più piccola delle tre, la Borgogna (27.600 ettari), è anche quella che vive il momento di maggior successo: “merito - spiega Nadine Gublin - anche di quei cambiamenti climatici che tanto spaventano, e non parlo di global warming, ma di un piccolo ciclo, che riguarda l’aumento delle temperature negli ultimi 10 anni, lieve ma sufficiente a regalarci maturazioni perfette ai nostri Pinot Nero, che rappresentano la quasi totalità della produzione rossisita di Borgogna. Un dato su tutti: dal 2000 ad oggi, si è vendemmiato 3 volte ad agosto (2007, 2011 e 2013), e, comunque, sempre un mese prima di quando si raccoglieva 30 anni fa, quando era difficile avere buona maturazioni persino ad ottobre”. Un miglioramento positivo, senza dubbio, ma in un terroir assolutamente unico, dove si produce vino sin dal tempo dei Romani, grazie a quella combinazione di clima, suolo, esposizione che, nei secoli, ha reso grande la Borgogna, dove oggi si producono 193 milioni di bottiglie, di cui la metà (mediamente, tra il 48% ed il 52%) finiscono all’estero, per un giro d’affari di 1,5 miliardi di euro, pari al 3%, in valore, degli scambi commerciali mondiali di vino.
Un dato, quello sull’export, che colpisce, perché se in Italia certe grandi denominazioni esportano quote ben superiori al 60% (nel caso del Brunello, ad esempio, ben il 67% della produzione prende la via dell’estero), in Francia, una buona metà della produzione, anche di Champagne e Bordeaux, resta dentro i confini nazionali. “Di tutto lo Champagne che produciamo ogni anno (più di 340 milioni di bottiglie) - racconta Thierry Gasco - il 55% viene venduto in Francia, e il resto finisce sui mercati stranieri: il 25% rimane in Europa, ed il restante 20% va nei Paesi terzi”.
Stesse dinamiche a Bordeaux, la Regione più importante, per distacco, con 121.000 ettari vitati e 5,5 milioni di ettolitri prodotti ogni anno: “il 55% della produzione - spiega Nicolas Lebecq - resta in Francia, mentre il restante 45% va all’estero: di questo, una quota del 57% finisce nei Paesi extra Ue, ed il resto i Europa, per un giro d’affari che supera i 2,5 miliardi di euro l’anno”. Ossia, la metà dell’export italiano, ma con una sola, grande, denominazione.
Copyright © 2000/2025
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025