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AMARONE OPERA PRIMA

La Valpolicella ed il suo Amarone guardano al cambiamento: di stile, climatico e dei consumi

A WineNews la “vision” di Cristian Marchesini, presidente del Consorzio Vini Valpolicella, e del Master of Wine Andrea Lonardi

Tra i territori del vino dalla bellezza ancora intatta con le sue colline vitate disegnate dalle marogne, dove la presenza della vite è antichissima, come ci ricorda il nome “Vallis-polis-cellae”, ovvero “valle dalle molte cantine”, e grazie a quel “saper fare” in agricoltura e nel commercio tipico del “triangolo veneto” che la unisce a Venezia e Verona, e che l’antica tecnica dell’appassimento (oggi candidata all’Unesco) e le ville venete sintetizzano alla perfezione, e in cui anche il Sommo Poeta Dante trovò conforto nell’esilio, la Valpolicella abbraccia 19 Comuni, per una superficie di 30.000 ettari, che salgono a 750 metri di altezza e scendono a 50 metri sul livello del mare, di cui 8.586 ettari vitati, e dei quali 3.500 “sostenibili” (e, quindi, o a biologico o biodinamico, o comunque nel Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata). È qui - da San Pietro in Cariano a Fumane, da Sant’Ambrogio di Valpolicella a Negrar, da Verona a Grezzana, da Mezzane ad Illasi, solo per citarne alcuni - che 2.400 tra viticoltori, vinificatori e imbottigliatori producono, stando ai dati 2023, 67 milioni di bottiglie nella Denominazione Valpolicella, di cui 14,2 milioni di Amarone, per il 61% destinati all’estero, Canada, Usa e Nord Europa in testa, per 600 milioni di euro di business, di cui più della metà grazie all’Amarone il cui prezzo-medio, franco-cantina, è di 35 euro. Amarone grazie al quale la Valpolicella è anche tra i territori del vino più “preziosi” d’Italia: il valore ad ettaro va dai 500.000 ai 600.000 euro, e c’è da considerare che chi ha questi terreni a vigna, li tiene e li gestisce e li mette a reddito, e sono poche le realtà che vi investono provenienti da altri Paesi e da altri territori del vino italiano, con ben oltre il 90% di “autoctoni”, segno di sensibilità ed attaccamento a questa terra veneta. Ma cosa racconta il presente e cosa c’è nel futuro dello stile dei vini della Valpolicella, sia per l’Amarone che per il Valpolicella, e con il cambiamento climatico che influenza sempre di più la beva degli appassionati, collezionisti e new wave del bere? Quali saranno i tag (parole chiave) per il futuro dei vini della Valpolicella, insomma? Ad “Amarone OperaPrima”, l’evento di lancio delle nuove annate, ma anche di riflessione sul futuro del territorio, firmato dal Consorzio Vini Valpolicella (a Verona, da oggi al 4 febbraio) lo abbiamo chiesto ad Andrea Lonardi, uno dei top manager in Bertani, cantina storica della Valpolicella, del gruppo Angelini Wines & Estates, e Master of Wine, titolo raggiunto anche attraverso una tesi dedicata proprio alla Valpolicella, oltre che vicepresidente del Consorzio. “L’Amarone è stato in passato un vino che ha soddisfatto una domanda di mercato. I produttori della Valpolicella sono stati tra i più bravi, soprattutto in alcuni mercati (mercati del Nord Europa e del Nord America), a capire che c’era la necessità di un vino morbido, caldo e piacevole, adatto per essere consumato lontano dai pasti. Questo ha consentito un grande successo volumetrico. Per farlo si è, però, ecceduto con l’appassimento e con la necessità di rincorrere uno stile che questo segmento del mercato richiedeva. Oggi quel segmento non cresce più - spiega Lonardi - e regala molte più ombre che sicurezze per il futuro. È un segmento che si è popolato di altri vini che competono solo in termini di prezzo. Subire un attacco di questo tipo significa avere consapevolezza che quel vino era un modello facilmente imitabile: infatti il metodo era superiore al territorio. A questo si aggiungono tre grandi cambiamenti che stanno interessando lo scenario vitivinicolo, non solo della Valpolicella: il cambio dei consumi, il cambiamento climatico, e quello dello stile. Dobbiamo quindi cambiare ed evolverci reindirizzando i nostri vini verso un’evoluzione sia in termini di geografie di mercato, che di profilazione del consumatore. Per farlo occorre, anche ma non solo, un cambio stilistico. I vini commercialmente più solidi sono infatti i fine wines, quelli che hanno un profondo legame con il territorio di origine, vini che hanno valori e un wording comunicativo specifico tali da renderli identitari. Sono vini che sono in grado di creare continuamente valore sulla supply chain. Creano valore perché nel primo e nel secondo decennio dopo essere stati immessi sul mercato migliorano qualitativamente in bottiglia al punto da autoalimentare il concetto di “scarsity” (non imposta ma subita). Per accedere a questo segmento - aggiunge ancor Lonardi - occorre pensare ad un Amarone che rimetta in equilibrio i suoi fattori produttivi: il metodo (la messa a riposo), il territorio (suolo, vitigni, clima), le persone (produttori, imprese) e la comunicazione. La sfida è chiaramente complessa, dal volume al valore, e richiede dei cambi: culturali, produttivi, legislativi e comunicativi”. C’è poi, come detto, il tema del climate change, che “sicuramente preoccupa tutti noi, non solo in Valpolicella. La Valpolicella fino ad oggi è stata favorita dal cambio climatico, ne sono la dimostrazione i favolosi vini da uve fresche che oggi si possono ottenere. Ma il territorio ha molti elementi di forza su cui si può far leva. Innanzitutto una forma di allevamento locale, la pergola, che si presta a proteggere le uve e che mostra degli interessanti vantaggi sia dal punto di vista gestionale che produttivo. La survey del mio lavoro di ricerca per i Master of Wine ha mostrato come il 65% dei produttori torneranno nel prossimo decennio alla forma tradizionale, e come caleranno sensibilmente quelli legati alle forme in parete (-21%). La survey ha, inoltre, evidenziato come i produttori preferiscano la pergola nel caso della produzione di Amarone ed invece come le forme in parete siano da preferire per il Valpolicella (80% dei viticoltori preferiscono la pergola per la produzione di uve Amarone). Questo - spiega ancora Lonardi - apre il passo a dei cambiamenti che dovranno interessare quindi anche il disciplinare di produzione. Sempre la survey ha mostrato come molti produttori vorrebbero avere vigneti esclusivamente dedicati alla produzione di Amarone ed altri alla produzione di solo Valpolicella, cosa ad oggi non possibile. Altri cambiamenti a livello tecnico saranno però necessari anche in termini di messa a riposo delle uve. In modo sostenibile, sarà necessario capire come appassire meno queste uve. Una ricerca mostra come al 20% della perdita in peso si raggiunge la migliore concentrazione aromatica, oltre si hanno invece processi di degradazione (oggi il disciplinare prevede una perdita del 40%). Dovremo poi ripensare ai luoghi in cui mettiamo a riposo le uve e quali dovranno essere le loro condizioni al loro interno. Questi luoghi potrebbero avere anche delle specifiche collocazioni geografiche. Stessa cosa vale per le tecniche di vinificazione delle uve. Penso al lavaggio delle uve e alla selezione con dispositivi ottici. A questo si aggiunge l’affinamento, sul quale dovremmo riconsiderare tempi, tipologia di legni e contenitori”. Cambiamenti profondi ed a loro modo epocali, quelli prefigurati da Lonardi, che che lasciano presagire un grande potenziale per produrre un vino che sia fresco, più sapido, più rispettoso dei vitigni e più valorizzante degli elementi del territorio. A patto che ci sia una visione chiara sul futuro e sui target di mercato, di posizionamento e a quali consumatori parlare. Perchè “a cambiare sarà anche la comunicazione. Sia in termini di contenuti, che di gerarchia dei valori che verranno utilizzati. Passeremo da un vino con un modello di leadership di comando, un vino muscoloso, strutturato, ricco concentrato che impone fortemente il suo stile sul consumatore, ad un vino con un modello di leadership di prestigio, un vino più intellettuale - spiega Lonardi - che non si impone con forza, ma con un racconto molto più prestigioso e qualificato, dove emergono i caratteri identitari e distintivi. Il concetto di cambio di stile di leadership di un vino sarà un tema importantissimo non solo per capire il prodotto in sé ma anche la sua strategia e processo di comunicazione. Le nuove generazioni fuggono dal comando e dall’imposizione: ricercano la cosiddetta “accountability”, il coinvolgimento mentale e culturale. Questo lo dobbiamo immaginare anche comunicato ai giornalisti, gli opinon leader ed i consumatori”. Ma serve anche un cambiamento di mentalità “interno al territorio”, aggiunge ancora Lonardi. “La mia esperienza dell’ultimo decennio in questa denominazione, come vice-presidente del consorzio, e come Coo di un brand iconico (Bertani, del gruppo Angelini Wines & Estates, ndr) che negli ultimi 10 anni ha intrapreso un percorso di cambiamento, e come Master of Wine attraverso la mia tesi mi suggerisce di sottolineare come la Valpolicella sia un territorio interessantissimo. Non è solo il terzo più grande giacimento di calcare al mondo dopo Champagne e Borgogna ma è anche un ricco e forte tessuto sociale ed imprenditoriale. La Valpolicella degli ultimi 20 anni ha regalato tra gli storyteller più forti del mondo. Imprenditori fortemente orientati alla crescita volumetrica. Un territorio tra i primi ad adottare il processo di controllo dei numeri. Il primo territorio ad adottare l’annual report (primo progetto che ho sviluppato per questa denominazione nel 2018). Ma i numeri fino ad oggi di interesse per il tessuto imprenditoriale del territorio - dice Lonardi - sono sempre stati quelli quantitativi. Oggi il mercato ci impone un cambio culturale a livello gestionale ed interpretativo del dato. I numeri devono avere una visione molto più qualitativa. Dal numero totale di bottiglie occorre passare a valore del venduto e quindi prezzo medio del venduto. Da volume totale dell’export occorre passare al break down per singola area geografica e poi per Paese. Occorrono poi dei deep dive per canale (On/Off trade) per capire e profilare il momento di consumo e le ragioni di consumo. Occorre trattare il proprio competitive set ed i propri targets. Infine: tracciare la propria vision”. Una visione, spiega Leonardi, che è la cosa più difficile da costruire, perchè è quella “più profonda ed intima che un territorio, un brand ed un produttore deve avere. Lo stile del vino sarà solo una pura conseguenza di questo”. E se determinanti saranno il senso di responsabilità dei produttori e dil coinvolgimento che deve toccare anche stampa e opinion leader, è fondamentale che tutti i player coinvolti diventino “amici critici per la prossima generazione. È evidente che stiamo vivendo un cambiamento che richiede una crescita culturale. Questa missione è guidata dal desiderio di avere un impatto e generare l’unico vero risultato a cui un produttore di vino in questo territorio deve aspirare: la legacy. Un’eredità che deve toccare, il territorio, la qualità del prodotto (vino) ed il percepito del brand. Questa è la nostra traiettoria, e lavoreremo duramente come sempre, chiedendo il vostro supporto per costruire una fiducia più solida”. Ma se questa, dunque, è la visione del futuro a medio e lungo termine del territorio della Valpolicella, secondo Lonardi, a fotografare l’oggi ed il domani prossimo è anche Christian Marchesini, presidente del Consorzio di tutela dei Vini della Valpolicella. Che, a WineNews, traccia lo stato di salute di uno dei più importanti territori del vino italiano, con i suoi vini top, a partire dall’Amarone, simbolo del made in Italy, dopo un 2023 difficile, dopo anni di crescita, tra caro prezzi e tensioni internazionali, con l’export stabile e i consumi interni in calo almeno in gdo. “In effetti il 2023, se da un lato è stata un’annata ottima in vigna, perchè settembre ci ha fatto mettere molta uva a riposo, record per la denominazione, sul mercato ha registrato un rallentamento per tutti i vini della denominazione. Dovuto ad una questione congiunturale, legata al quadro economico e all’incertezza generale, ma è un dato di fatto che dobbiamo anche ripensare un po’ lo stile dei vini della Valpolicella. Ci sono, però, dei dati positivi: se è calato il Valpolicella nel suo complesso, cresce, di contro l’incidenza del Valpolicella Superiore, dal 22 al 29%. Il Ripasso tutto sommato è stabile, mentre un altro dato difficile da gestire è il calo dell’Amarone, che è intorno al 17% della denominazione. Però, abbiamo raggiunto valori economici alti come non mai, con il prezzo dell’Amarone passato da 11 a 13 euro al litro, e le giacenze sono molto basse. L’export del sistema Valpolicella - spiega ancora Marchesini - è al 65% del totale, ed è molto concentrato tra Nord America e Nord Europa, anche se qualcosa, ma ancora agli inizi, si muove in Asia. La situazione, dunque, è complessa, e stiamo sull’attenti, ma il territorio è sano e non c’è troppa preoccupazione. E guardando al futuro più prossimo, nel 2024 lavoreremo su due progetti importanti: uno è la creazione delle “vallate”, le nostre sottozone, un percorso lungo ma importante per i produttori della Valpolicella. E poi continuiamo a lavorare alacremente sul discorso della sostenibilità. Nel 2023 sono cresciuti del 16% dei vigneti certificati biologici o sostenibili, ormai siamo intorno al 40% del totale della denominazione, che, mi piace ricordarlo, ammonta a 8.600 ettari”. Da cui nascono vini italiani di grandissimo successo nel mondo.

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