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La viticoltura del futuro? Sarà sempre più green, ma con l’aiuto della genetica. A Naturae ET Purae, prologo del Merano Wine Festival (al via oggi), il difficile incontro tra due mondi, quello del bio e quello della scienza, ancora troppo distanti

Italia
Il futuro della viticoltura e del vino al centro del dibattito al Merano Wine Festival

La vite è la coltura su cui si utilizzano le maggiori quantità di fitofarmaci. Un primato di vecchia data, che racconta l’urgenza di cambiare rotta. Rimettendo in discussione il futuro della viticoltura e del vino, partendo dalla lotta alle malattia crittogamiche sia nella viticoltura convenzionale che utilizza i fitofarmaci, sia in quella bio dove oggi si lavora soprattutto con rame e zolflo, ma tenendo conto anche delle possibilità aperte dalla cisgenetica, tecnica che permette, per esempio, di “traghettare” geni della resistenza rinvenuti in Vitis vinifera in Caucaso nelle varietà utilizzate attualmente, senza modificarne le caratteristiche.

Ne hanno discusso esperti ed interpreti del mondo del vino del calibro di Attilio Scienza, Luca D’Attoma, Franz Josef Loacker, Werner Morandell, Angiolino Maule e Carlo Nesler, protagonisti del convegno Naturae ET Purae, prologo del Merano Wine Festival, al via oggi, di scena nella cornice dei Giardini di Castel Trauttmansdorff di Merano, conosciuti anche come i Giardini di Sissi.


“Dal 2006 in seno al Merano Wine Festival - ha spiegato nella sua introduzione Helmuth Köcher, patron della manifestazione meranese - abbiamo lanciato “Bio&Dynamica” per dare spazio ai vini “diversi” dai tradizionali e oggi, a 11 anni di distanza, vogliamo rafforzare il messaggio con questa nuova sezione, “Naturae ET Purae”: sono la natura e la purezza infatti a ispirare tutto quel vino che va sotto le innumerevoli denominazioni di biologico, bioenergetico, organico, biodinamico, naturale, orange, ecologico, vino libero, vitigni PIWI (acronimo di pilzwiderstandfahig), cioè vitigni ottenuti da incroci di viti resistenti alle malattie fungine”. Dunque, saranno sempre più bio e naturali i vini del futuro. Ne è sicuro Carrillo, ideatore con Kocher di Naturae ET Purae. “Il mondo del bio certificato - ha osservato - è in fortissima ascesa come dimostrano i dati Nielsen sull’andamento delle vendite di vino biologico nella grande distribuzione organizzata con un incremento del 19,7% in un anno, dal 2015 al 2016. Un dato che fa prevedere un futuro, non lontanissimo, in cui i sistemi di coltivazione che limitano l’uso di prodotti di sintesi diventeranno la norma. È necessario avviare un dialogo tra le diverse anime del mondo dei nuovi vini, la stampa e la scienza”.

Un dialogo che, anche in questa cornice, si è dimostrato difficile. Perché la genetica è una scienza relativamente recente, non si studia a scuola, è poco conosciuta e, come ha ricordato Attilio Scienza, tra i massimi esperti di viticoltura ed enologia al mondo e docente all’Università di Milano, “ingenera paure ancestrali e divide le persone che sposano posizioni preconcette senza neppure cercare di comprendere di cosa si tratta”. L’opposizione al miglioramento genetico riguarda specificatamente la vite per i significati simbolici e la forza della tradizione espressa dal vino. Per altre specie frutticole e orticole il problema non esiste, infatti, attualmente la presenza sul mercato di frutti e verdure derivati da incroci supera l’80% del totale.

“La natura è provvida, l’uomo sconsiderato - ha constatato Giorgio Grai, uno dei veterani dell’enologia italiana - e la situazione in cui versa il Pianeta è tragica. Cambiamenti climatici, inquinamento delle città, mari e oceani con isole di plastica e terreni che ormai sono asfittici e morti, per il tipo di conduzione. Dobbiamo provare a migliorare le cose. Ci sono stati pionieri che hanno cominciato tempo fa e molti sono oggi quelli che tentano di porre rimedio a questo modo sconsiderato di coltivare, ma che non diventino talebani”.

Sulla stessa linea Luca D’Attoma, consulente enologo e produttore in prima persona con un’azienda biodinamica in Maremma, che sottolinea come “ci vuole coscienza verso la Terra, perché non ne siamo i padroni. Mi sono avvicinato prima al bio e poi al biodinamico in una sorta di evoluzione professionale naturale. Dal 2012, quando è stato approvato il regolamento CE 203 che disciplina la produzione del vino bio, e quindi la possibilità di mettere il logo in etichetta, se ne è parlato tanto. La domanda cresce a tre cifre, le vendite nella Gdo nel 2016 sul 2015 sono aumentate del 51%, ma l’incidenza del vino bio sul totale del comparto è pari solo allo 0,7%. È necessario sfatare ancora dei luoghi comuni sui vini bio circa la qualità. A mio parere, senza voler essere discriminante verso quelli convenzionali, i vini biologici e soprattutto i biodinamici risultano più originali e autentici e nel loro insieme più ricchi. Esistono alcuni “punti deboli” del bio - continua D’Attoma - come la scarsa conoscenza che porta alla messa in pratica di una sorta di “bio convenzionale”, limiti di anidride solforosa troppo poco diversi dal convenzionale, scarso impiego di tecniche migliori e tecnologie. Inoltre i controlli sono pochi e non uniformi nelle diverse aree del Paese. Molto spesso alla domanda “è biologico?” Chi fa il convenzionale risponde “praticamente sì, abbiamo avviato la richiesta di certificazione”. Ma il biologico è uno status e deve essere necessariamente certificato”.

Un tema, quello dei controlli, particolarmente caro a VinNatur che ci crede al punto da aver affidato dallo scorso agosto i controlli del rispetto del Disciplinare adottato dall’Associazione da parte dei propri associati al CCPB e a Valoritalia. “Abbiamo lavorato per fare un disciplinare sorretto da controlli - racconta Angiolino Maule, che guida Vinnatur, 180 produttori per 2.300 ettari vitati e 4 milioni di bottiglie prodotte - e lanciato l’idea gli Enti certificatori. Stiamo formando i controllori in modo che abbiano gli strumenti per capire dove e quando vale la pena approfondire i controlli. Indichiamo loro cosa chiedere e quali sono le risposte che devono metterli in guardia. Ma questa è solo l’ultima delle nostre attività. Come VinNatur abbiamo puntato a instaurare relazioni con la ricerca e avviato una serie di collaborazioni con diverse Università, convinti che possiamo misurare i miglioramenti. Un esempio eclatante è quello dei terreno in cui, grazie a un elevatissimo numero di analisi che ci hanno permesso di mettere a punto un modello previsionale, siamo giunti a fare una proiezione nel tempo di quale sarà l’incremento di biomassa adottando il nostro protocollo. Stiamo lavorando sulla sostituzione di rame e zolfo con accorgimenti agronomici e induttori di resistenza e sperimentando un sistema di irrorazione con ugelli che evita il passaggio di macchine sul terreno e conseguente compattazione. Insomma stiamo producendo conoscenza”.

Accanto alle tecniche di conduzione c’è anche il ruolo dei vitigni resistenti derivati da incroci, che, come ha spiegato Werner Morandell, produttore, esperto e vivaista di PIWI, sono frutto di un lungo processo di selezione, che dura anche oltre 25 anni. “Tra questi molti danno vini di qualità e si sono diffusi non solo nelle aree di montagna, ma anche in zone collinari o pianeggianti in aziende di grandi dimensioni. Questo ci ha indotti a distinguere le produzioni di montagna delle province di Bolzano, Trento e Belluno con il marchio “Green Mountain Wine”, visto che noi produciamo meno e a prezzi più elevati”. Vitigni interessanti, anche dal punto di vista qualitativo, che, in alcuni casi, come quello del Souvignier gris, possono aprire anche nuove possibilità enologiche. Questo vitigno mantiene un’acidità elevata anche a maturità fenolica perfetta e quindi è adatto a produrre vini frizzanti con metodo ancestrale o metodo classico”.

Tuttavia le nuove varietà provenienti da incrocio con specie diverse dalla vinifera trovano difficoltà a prendere piede non tanto per quel poco di “sangue” degli ibridi americani ancora presente (circa il 5%), quanto perché non ne è ammesso l’uso nei vini a denominazione, e solo in tre Regioni ne è autorizzata la coltivazione. Al contrario, nel momento in cui la cisgenetica fosse “sdoganata” dall’UE, i vitigni resistenti che ne deriverebbero, appartenendo alla stessa specie, non subirebbero queste limitazioni.

“L’ostacolo principale alla diffusione dei vitigni resistenti è di natura culturale - ha sottolineato Scienza. Non ci sono controindicazioni di natura salutistica o qualitativa. Le stesse varietà attuali sono il risultato di incroci spontanei che l’uomo ha selezionato in funzione degli ambienti di coltivazione e della sua cultura. I primi destinatari di questi vitigni dovrebbero essere i viticoltori bio e biodinamici, che invece rifiutano l’innovazione genetica e tecnologica in genere. Oggi abbiamo gli strumenti tecnici per arrivare a varietà identiche a quelle che coltiviamo tranne che per la resistenza alle malattie e possiamo farlo in tempi molto brevi, rispetto a quelli del miglioramento genetico “classico”. In molti Paesi, in Cile e Sudafrica, in Usa e Israele, stanno lavorando su queste varietà. Arriveranno qui da noi e non sono peraltro riconoscibili da quelle di partenza”. Ci sono poi ostacoli legislativi, ma sono sicuramente più superabili che l’opposizione di parte del mondo produttivo e dei consumatori.

“Il pubblico - ha proseguito Scienza - è ignorante di questioni scientifiche e genetiche in particolare. La responsabilità è del deficit di informazione e di formazione che facilitano la diffusione delle “bufale”. E così, per esempio, alcuni credono che mangiando ogm, come peraltro facciamo tutti anche se non lo sappiamo o non lo vogliamo sapere, potremmo subire modifiche del nostro DNA. Oppure che solo i pomodori ogm contengono geni. Ma non è facendo lezioni tecniche di genetica che si vinceranno le paure e le fandonie. La comunicazione scientifica deve utilizzare gli argomenti che sono più attrattivi per il consumatore, esorcizzando la paura della scienza. Un buon esempio è lo storytelling scientifico, il racconto veritiero in un romanzo di verità scientifiche”. Il riferimento è ad alcuni romanzi di Giovanni Negri (“Roma Caput Vini” e “Il vigneto Da Vinci) e all’ultimo “La vigna antica”, scritto da Leonardo Franchini con lo stesso Scienza.

Sulla “questione cisgenetica”, però, gli opinion leader presenti a Naturae ET Purae che hanno sposato una viticoltura “diversa” si sono detti contrari, non solo perché convinti che possa essere rischioso, ma anche perché interventi, fossero anche “solamente” di accelerazione dei tempi naturali di selezione di piante resistenti, non rientrano nella loro filosofia. Come dire che l’alternativa posta da Attilio Scienza in conclusione (“Chimica o miglioramento genetico”) è considerata dagli “schieramenti” del bio e delle altre conduzioni semplicemente irricevibile. “L’idea, per esempio, di un Sangiovese uguale a se stesso ma resistente mi piace - ha detto Hayo Loaker, figlio di Rainer, fondatore delle aziende di famiglia, che ha puntato sul biologico 40 anni fa, quando nel vino ancora non se ne parlava nemmeno - ma i dubbi riguardano le modalità con cui queste varietà resistenti da cisgenetica si possano ottenere e i rischi che correremmo di cui non sappiamo nulla”.

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