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RIFLESSIONI DI SISTEMA

Le Denominazioni del vino, un patrimonio culturale del Paese, alla prova del futuro

“Douja d’Or”: verso la riforma dei regolamenti #Ue, criticità e opportunità nel focus firmato Accademia Italiana della Vite e del Vino
DENOMINAZIONI, RIFORMA DOC, vino, Italia
La mappa delle Denominazioni del vino italiano (ph: Federdoc)

Troppe (330 Doc, 77 Docg e 118 Igt) e troppo piccole, con tanti e forse troppi vincoli. I Consorzi tra problemi di rappresentatività e di governo dell’offerta, non riescono a incidere sui prezzi di mercato, che presentano spesso forbici esagerate. Se questa è la fotografia delle nostre denominazioni di origine, in vista della riforma Ue delle Indicazioni Geografiche (Ig) non bisogna esimersi da un confronto con sistemi, esperienze e mercati che sono approdati a legare i propri vini al territorio solo recentemente, come gli Stati Uniti. Una opportunità di approfondimento e discussione è stata offerta dal focus di esperti ad Asti firmato dall’Accademia Italiana della Vite e del Vino (Aivv) (“La riforma delle denominazioni d’origine: opportunità e criticità”) per la “Douja d’Or”.
“Il successo delle denominazioni di origine nel sistema agro-alimentare europeo, in particolare per le produzioni vitivinicole, offre l’occasione per un dibattito sulla sua riforma urgente, attuale e intellettualmente stimolante - ha esordito Rosario Di Lorenzo, presidente Aivv e professore di viticoltura all’Università di Palermo. L’Accademia non poteva sottrarsi a questo appuntamento che ha messo insieme i principali attori della filiera, nel solco dello spirito che la anima: dare un contributo al settore in termini di ricerca. Le Do sono un patrimonio culturale, oltre che economico, che non può essere delocalizzato e la proposta del nuovo Regolamento è una opportunità per affrontarne le problematiche”.
Ad illustrare il contenuto della proposta, presentata nel marzo 2022, Oreste Gerini della Direzione Generale Qualità Agroalimentare del Ministero dell’Agricoltura, che ha sottolineato come l’intento della riforma sia quello di aumentare la tutela dei consumatori e dei produttori, in generale e in Rete, sul Web, anche con una protezione estesa ai domini, e la notorietà dei prodotti a indicazione geografica con la comunicazione. “A questi tre obiettivi si affiancano l’introduzione della sostenibilità ambientale, il rafforzamento dei Consorzi, la preservazione dei metodi di produzione. Dopo l’esame di 279 emendamenti, a giugno sono iniziati i triloghi tra Parlamento, Commissione e Consiglio si sono svolti i primi incontri e il prossimo sarà a ottobre. Ci sono alcune questioni ancora aperte. Il ruolo dei Consorzi che noi vorremmo senza una diretta influenza sulla gestione dei mercati; la regolamentazione dei prodotti Doc e Igp utilizzati come ingredienti per la quale siamo favorevoli a un sistema analogo a quello che c’è in Italia, quindi con autorizzazioni preventive da parte dei Consorzi. Sul vino, poi, la posizione del Ministero è quella di inserirlo nel pacchetto del nuovo Regolamento Unico assieme agli altri prodotti. Per i poteri di Euipo (ndr, l’Ufficio per la proprietà intellettuale incaricato di gestire marchi, disegni e modelli dell’Unione Europea) siamo contrari a una esternalizzazione dei compiti in materia di istruttoria dei riconoscimenti e delle modifiche dei disciplinari delle produzioni, preferiamo rimangano alla Direzione Generale Agricoltura della Commissione”.
Ha portato una visione “aliena” dal contesto italiano, parlando “un linguaggio squisitamente economico, che risulta straniero ai più”, invece, Julian Alston, dell’Università della California di Davis, nonché consigliere della Mondavi Foundation. “Se alla loro creazione andavano benissimo, oggi la proposta non affronta alcuni dei temi più critici per le Do come l’asimmetria informativa. Ossia, non tiene conto di quelli che noi chiamiamo “lemons” (limoni), cioè “bidoni”: il compratore non è consapevole dei falsi e quindi il vino cattivo porta fuori mercato quello buono. È sulla garanzia sulla produzione che sono nate le Ig, imponendo restrizioni che hanno determinato un miglioramento della qualità sancendone la superiorità qualitativa, che sia effettiva o meno. Il loro numero è così cresciuto, o meglio proliferato, proponendo vini differenziati orizzontalmente (Do diverse) o verticalmente con l’articolazione delle piramidi qualitative, con il conseguente problema dell’aumento dell’asimmetria di informazione”. Negli Usa e negli altri Paesi competitori dell’Unione Europea i sistemi Ig per il vino funzionano con successo senza limitare le scelte varietali dei produttori e senza imporre restrizioni sulla resa per limitare l’offerta” - ha sottolineato Alston. Le Ava (American Viticultural Areas), il sistema statunitense che garantisce che almeno l’85% delle uve provengano da una specifica area, sancito nel 1983 prendendo spunto da quello europeo delle denominazioni, non pone limitazioni. “L’obiettivo dei produttori - ha spiegato l’accademico americano - è ottimizzare i volumi per ottenere i valori massimi. Obiettivo che viene impedito in Unione Europea dalle restrizioni poste dai disciplinari. Un approccio meno pesante di quello attuale consentirebbe più spazio al meccanismo di mercato per far incontrare domanda e offerta spostando i prezzi. Tuttavia in Italia non ci sono Do, a parte il Prosecco, che hanno una dimensione adeguata a questo scopo. La riduzione delle rese determina un aumento dei costi che non è giustificato se non compensato dall’aumento del prezzo. Prendendo in esame i punteggi di “Wine Spectator” relativi agli Usa emerge che i più elevati sono attribuiti a vini che provengono da vigneti con basse rese e hanno prezzi molto alti. A dimostrazione che i produttori gestendo liberamente le quantità raggiungono buoni risultati economici e contribuiscono alla reputazione del territorio e del marchio collettivo”.
“Bruxelles è stata veloce, ma come al solito fa lo slalom tra i problemi e si appella alla sussidiarietà lasciando la soluzione dei problemi ai singoli Stati - ha commentato a proposito della proposta di riforma Davide Gaeta, consigliere Aivv e professore di Economia all’Università di Verona - ma il pacchetto vino insieme “a formaggio e prosciutto” potrà essere efficace ? Abbiamo troppe denominazioni ? L’Unione Europea ci imporrà di accorparle ? Le restrizioni imposte dalle Do producono benefici commisurati ? I Consorzi che gestiscono le Dop operano in modo economico, equo ed efficace ? Come è gestito il diritto di voto ? L’imminente riforma delle Dop per dare più autorità ai Consorzi per gestire equilibrio tra domanda e offerta aggiunge nuova urgenza a queste domande. Molte Do sono davvero piccole, probabilmente antieconomiche, per giustificare i costi generali di costituzione e gestione di un Consorzio. Inoltre la maggioranza non ha dimensioni tali da consentire un significativo potere di mercato, avendo una domanda altamente elastica. Dal punto di vista economico, quindi, non ha senso per la maggior parte dei Consorzi limitare l’area o la resa con l’obiettivo di aumentare proficuamente i prezzi. E l’ipotesi di accorpare più Do per dare soluzione al problema è smentita dal successo di realtà piccole, ma di grande valore”. E, a proposito di volumi e valori, dall’elaborazione dei dati Ismea, la produzione italiana di vino a denominazione si concentra per l’80% in 50 Do (30% in 5; 45% in 10; 90% in 100), il che sta a significare, come ha stigmatizzato Gaeta, “che 50 funzionano e le altre 450 no”. “Andando al confronto tra redditi medi per ettaro tra Do e vini comuni - ha continuato il professore di Economia all’Università di Verona, Davide Gaeta - non ci sono in alcuni casi distanze siderali e quindi quello delle restrizioni quantitative imposte dai disciplinari è effettivamente un tema di discussione. Ci sono stati, tuttavia, casi opposti, come quello dei Supertuscan. I valori medi per ettolitro sono molto al di sotto di quelli della California, dove i prezzi medi a bottiglia toccano i 50 dollari. C’è molto da riflettere su quanto vale
l’apporto della Do sul prezzo della bottiglia, che anche in questo caso risulta molto differenziato”. Referenti di importanti Do hanno partecipato alla tavola rotonda, seguita alle relazioni introduttive - animata con domande puntuali e differenziate a coprire tutte le criticità della riforma - da Giusi Mainardi, consigliere Aivv e storica della vite e del vino. Antonio Rallo, presidente Consorzio Sicilia Doc, ha sottolineato che “la riforma delle Ig deve essere vista come una grande opportunità per il sistema vino a denominazione”, mentre Marco Alessandro Bani, direttore Consorzio Chianti Docg, ha posto l’accento sul fatto che “il disciplinare di una doc deve essere al passo con in tempi, e il vino deve saper rispondere al mercato e ai gusti dei consumatori in tempi rapidi. Occorrono risposte rapide alle domande di modifica dei disciplinari che vanno congeniati in modo da essere sufficientemente elastici”. Claudio Biondi, presidente Consorzio dei Lambrusco, ha puntualizzato l’importanza in particolare di due elementi contenuti allo stato attuale nella proposta: la protezione online e il rafforzamento del “turismo Dop” attraverso i Consorzi. “La proposta di riforma - ha aggiunto Stefano Zanette, presidente Consorzio Prosecco Doc - tiene conto del pericolo che le menzioni tradizionali possono comportare per la tutela delle denominazioni, come ha dimostrato il caso Prošek”.
A chiudere i lavori uno specifico focus dedicato al Piemonte, moderato con un contributo di approfondimenti da Vincenzo Gerbi, vicepresidente Aivv e professore di enologia all’Università di Torino. Al tavolo compatti nella difesa della regolamentazione di “stampo” europeo tutti i Consorzi delle Do della Regione e Piemonte Land of Wine, voce unica dei vini a Do della regione. Matteo Ascheri, presidente Consorzio Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani, ha evidenziato come “il vero problema siano non le denominazioni d’origine e le loro restrizioni quanto la burocrazia e tutte le sovrastrutture esistenti”. Aspetto questo ripreso anche da Lorenzo Barbero, presidente Consorzio Asti Docg, che ha parlato di “tempi biblici per modificare un disciplinare che non consentono di stare al passo con il mercato”. Anche da parte di Filippo Mobrici, vicepresidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, strenua è stata la difesa dell’impianto regolamentato delle Do perché “non è obbligatorio produrre sotto il cappello di una denominazione. Si tratta di una scelta libera che spesso coincide anche con la cura del territorio e il mantenimento di alcune varietà. Facciamo cultura, non solo viticoltura”. “La riforma - ha concluso Francesco Monchiero, presidente del Consorzio Roero e di Piemonte Land of Wine - è una opportunità per ammodernate il sistema delle Do del Piemonte, che già oggi funziona, istituendo un tavolo per individuare leve e strumenti in grado di garantire uno sviluppo virtuoso, corretto e sostenibile di tutto il comparto nel rispetto delle Do, costruendo un percorso che veda il Piemonte protagonista come è stato con il Senatore Desana negli anni della loro istituzione”. Piemonte che, da sempre, ha puntato sulle denominazioni, che ne coprono l’intero territorio, e “ha ne ha avuto pienamente ragione riuscendo ad innalzare la qualità delle sue produzioni e la reputazione dei brand” come ha sottolineato Mario Protocapa, Assessore All’agricoltura della Regione Piemonte.

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