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LE STORIE DEL VINO VIAGGIANO SULLE BOTTIGLIE: ECCO I TRE MIGLIORI RACCONTI DEL CONCORSO LETTERARIO “LETTI IN UN SORSO” DI SANTA MARGHERITA E FELTRINELLI. SONO DI SILVIA ZACCHELLO, TIZIANA RUSSO, MASSIMO CASSANI

Viaggeranno ai quattro angoli del Paese i loro racconti, scritti sulle etichette di migliaia di bottiglie di vino: è questa forse la soddisfazione più grande per i vincitori dell’originale ed innovativo concorso “Letti in un sorso”, organizzato dal gruppo vinicolo Santa Margherita, in collaborazione con le Librerie Feltrinelli.
Al primo posto si è classificata Silvia Zacchello con il racconto “Mai più senza”; la seconda posizione è andata a Tiziana Russo con “Segui la Frasca”; terzo classificato Massimo Cassani con “Ombre Cinesi”. I nomi degli autori e le loro opere saranno pubblicati sulle retroetichette dei tre best sellers Santa Margherita: Pinot Grigio, Müller Thurgau e Chardonnay.
Il concorso ha avuto un successo incredibile: oltre 1.700 i racconti inviati frutto dell’entusiasmo dei tantissimi appassionati del mondo del vino che hanno risposto all’iniziativa mettendo alla prova la loro creatività in cinquemila battute, spazi compresi.

Qui sotto, i tre racconti più premiati …

Mai più senza di Silvia Zacchello
Il primo. Perché non si scorda mai. Capodanno 1991. Io, quindicenne acerba e curiosa. Lui, dolce ma deciso. Uno scontro di attese. Un piacevole stordimento. E fu la volta del secondo. Un signore. Francese del '61. Complice l'estate, il mare, il chiarore della luna. Non ricordo più tutte le volte che avvenne, ma ogni volta fu sensazionale. Almeno finché non incontrai il terzo. Toscano, elegante, raffinato. Ma forse troppo per me. Fu forse questo che mi spinse verso il quarto. Che sapeva di genuino, di serate in famiglia davanti al caminetto, di dolci fatti in casa, di calore, di felici mattine di Natale. Ma riuscii a tradirlo con il quinto. Fu un breve viaggio nel Salento che me lo fece incontrare. Il tempo di un aperitivo e caddero tutti i miei freni inibitori: un colpo di fulmine. Ma finì per il sesto. Che mi fu presentato a una cena di famiglia. Interessante, forte, incisivo. Ma forse piaceva più a mia madre che a me. E così con il settimo, giovane e leggero, fu tutto un susseguirsi di riflessioni e tirar di somme. Tante belle serate insieme. Ma provai per un periodo a farne a meno. E furono giorni tristi, bui, vuoti. Pesava l'assenza del piacere di un aperitivo insieme, di una cena ben accompagnata, di un brindisi speciale. Del piacevole annebbiamento che talvolta mi provocava, o dell'euforia che spesso esercitava su di me. Non potevo più farne a meno. Fu allora che decisi e puntai l'ottavo. Ne avevo una gran voglia. Le mie labbra febbrili per la protratta astinenza si appoggiarono ansiose su di lui e decisero per me: non sarei mai più stata senza un bicchiere di vino!

“Segui la frasca” di Tiziana Russo
Le tovaglie sono color crema, la divisa nera. Il nero fa eleganza. Salacucina sono 12 passi, porto 3 piatti per mano, se non sono bollenti. Si serve vino alla mescita e in bottiglia. 700 etichette. Per gli stranieri ogni vino è delicious e ti danno la mancia. Il padrone ha occhi di mastino. Mostro l’etichetta del vino, col coltellino incido la carta che avvolge la bocca della bottiglia, viene via a spirale: tappo di sughero, il più difficile. Cerco il centro, lo punto col cavatappi, affondo. Occhi di mastino aspetta che sbagli, mi fissa, col peso su una gamba, culo in fuori, ogni tanto tira su col naso. Faccio leva. Spoc. Faccio assaggiare. Il cliente prosegue il rito. Al tavolo accanto una contessa propone treni riservati ai nobili, dove non debba provare l’imbarazzo dell’ultima volta, quando nel vagone si ritrovò l’unica a essere non comune. Poco prima ha rifiutato un vino da 230 €, perché sapeva di tappo. Chef ha detto che il tappo ce l’ha nel cervello; Moshur, il chimico indiano che fa il lavapiatti, ha assaggiato e ha detto no tappo chef; occhi di mastino ha dato di matto, si è chinato a 90: si scusa e tira su col naso, si scusa e tira su col naso. Il primo giorno di lavoro disse che avrei servito gente superiore. Quando ho i piedi cotti, due coltelli mi s’infilano nelle scapole e accumulo un buon numero di tappi, la serata termina. Fare la lista dei vini venduti è interessante: enogeografia. Occhi di mastino conta l’incasso, io porto fuori l’immondizia, occhi di mastino dice muoviti, deficiente. Sul notturno che mi porta a casa, penso alla vendemmia, in paese. Il giorno della vendemmia si sceglieva per come erano l’uva e la luna. Si percorrevano i filari della vigna passandosi secchi da riempire e riversare in cassette, depositate alla fine di ogni filare. Zia Pasqua ogni mezz’ora lamentava un dolore; zio Santino raccomandava ogni grappolo a s. Francesco e seguiva le sorti di quei grappoli dalla vigna fino alla cantina e poi fin dentro il bicchiere da cui, bevendo, avrebbe riaccolto in sé quei figli e con essi la benedizione del santo. Nonna metteva un fazzoletto in testa ai nipoti, dopo aver messo il suo, nero di lutto: ci chiamava ricchizzeddre, le sue ricchezze. Era veloce coi secchi e mi sorrideva perché ero fatto grande e potevo usare il coltello. Borbottava a volte, ma era contenta di quella giornata di festa che univa famiglia terra e vino in un miscuglio di mani appiccicose, bambini che piangono, trattori con uva che traballa, pane e formaggio da distribuire. Al fidanzamento nonno le portò una rosa e le disse portami il tuo cuore. Sull’autobus, adesso, una in minigonna mi guarda, poi si volta facendo ondeggiare capelli come seta. Mia madre e le mie zie pestavano l’uva nel grande tino, con le gonne alzate, le cosce come colonne scure, le api che le flagellavano. Quando il mosto era pronto, nonno ne prendeva un sorso e brindava a chi ci vuole male! Era concesso assaggiarlo anche a noi: fa sangue, diceva zia Pasqua e ce lo imboccava. Tornavamo a casa col muso rossiccio e facevamo la fila per la vasca da bagno, zia Pina ci lavava due per volta: maschi con maschi, femmine con femmine. Alla TV c’era miss Italia, le mie cugine si addormentavano sognando lunghe cosce magre, senza un graffio, così diverse da quelle che pestavano nei tini; a noi maschi veniva duro, si vedeva dai pigiami. Mio fratello dormiva abbracciato a Candy Candy. L’autobus imbarca ora dei ragazzi brilli e rumorosi. Ricordo allora un’altra festa: l’apertura delle botti. Quelli che avevano la vigna, apprestavano tavoli davanti alla porta di casa e offrivano vino novello con pane, taralli, soppressata: l’happy hour che occhi di mastino sconta al 15%. Nei vicoli, frasche appese ai muri indicavano la via che conduceva a una botte. Si diceva segui la frasca. I vecchi giocavano a carte e ordinavano un quartino. Il bicchiere era unico. Se io sbaglio il bicchiere del vino che servo, occhi di mastino mi declassa da deficiente a coglione. Nonna faceva tanta pasta da sfamare mezzo paese. Il sugo coceva per ore con ossa di maiale. Or’ e stiddre, oro e stelle, il gatto di casa, si aggirava sotto i tavoli per rubare un pezzo di carne o formaggio. Nonno sedeva a un tavolo e bandiva l’acqua, che fa ruggine; poi si ubriacava e raccontava decine di volte gli stessi fatti. Zio Santino predicava di non lasciare bicchieri a metà, che porta male, e di non versare vino su vino, che ti nasce un figlio prete. Se invece per sbaglio cadeva del vino, portava bene: ci si bagnava le dita e dietro l’orecchio. Occhi di mastino mi licenzierebbe ora e per la mia prossima vita. Intanto sono sceso alla mia fermata. Dal parco viene odore di terra. Una sera di tanti anni fa, nonno mi portò alla vigna. Ci sedemmo, attraverso la tela dei pantaloni sentii l’umidità bagnarmi le natiche. Nonno tastò la terra con la mano, la prese tra le dita, l’assaggiò e rimase lì a masticare zolle per un poco. Poi disse ne verrà un buon vino.

Ombre cinesi. Noir in cinquemila battute di Massimo Cassani
Nella penombra di quel ristorante scavato nella roccia, l’investigatore non si sentiva a suo agio. Aveva la mente confusa, ma avvertiva di dover seguire un pensiero. La chiave per risolvere il caso. “Non si fa così, andiamo! - il sommelier, che per un soffio non era stato testimone dell’omicidio, aveva tranciato un giudizio netto, senz’appello - Non è uno di noi, mi creda. Mai avrebbe compiuto quell’errore. Una cosa inaccettabile. Inaccettabile!”, aveva ripetuto l’ultima parola, scandendola e punteggiando l’aria con indice e pollice saldati fra loro. Non un esperto di vini, quindi, ma allora chi? La vita dell’avvocato – pace all’anima sua - era stata rivoltata come un guanto. Dalla polizia. E poi da lui, ispettore privato più incline ai sussurri che ai do di petto. Aveva scavato ben più a fondo, senza i laccioli della legge. Risultato? Niente. Nessuna crepa, nessuna falla. Donne? Zero. Gioco? Zero. Affari sporchi? Zero, zero, zero! L’avvocato, in vita, era una statua di sale. Come adesso, che in vita non era più. E non per scelta sua. Gli unici amori? Flute, calici, Gran Cru. E poi bottiglie d’annata. Amen. Anzi, Prosit. Nemici? Macché. Anzi no, forse una, dal nome strisciante come un serpente a sonagli: filossera. Ma quella ammazza le viti, non i cristiani; quella attacca i filari, non affonda una lama dritta nel cuore della gente. O di un avvocato con la passione del vino, che era passato da un barrique a una bara nel breve volgere di un assaggio. L’ultima volta il sommelier l’aveva visto bere nell’enoteca del borgo medievale, dietro un tendaggio di cotone chiaro, in compagnia di una fanciulla dai capelli fluenti. Impossibile descrivere il loro colore. O il suo viso. Le ombre cinesi evocano, tratteggiano, non fotografano. Ma aveva colto quel gesto che ti marchia a fuoco, che divide i buoni dai cattivi. “E’ escluso che fosse un’esperta”, aveva sentenziato il sommelier. Ma era l’ultima che l’aveva visto. E che lo aveva accompagnato fuori del locale e che, probabilmente, gli aveva trafitto il cuore. Più facile dire del vino, le bottiglie comunicano a chi le sa guardare, seppure dietro una tenda. Un vino vivace, probabilmente un brut dal finissimo perlage. L’avvocato l’aveva osservato in controluce, l’aveva annusato con il flute immobile, poi aveva annuito e l’aveva assaporato lentamente. La donna l’aveva imitato. Però un gesto l’aveva tradita. Solo un gesto, una pista di una labilità fumosa, ma anche l’unica rimasta. E che tuttavia lo faceva vibrare come un’ancia. L’ultima statuina di quel teatrino era di fronte a lui. Una donna affascinante. Con i capelli corti. Neri come il nero di seppia. Che sussurrò in un soffio: “Non mi ha ancora detto a cosa devo l’onore…”. La donna sorseggiò lentamente il suo Luna dei Feldi. Socchiuse gli occhi quasi a rincorrere l’equilibrio di quel bouquet – uno e trino - che si diceva magico. Poi gli sorrise anche con gli occhi. Le sue pupille azzurrissime saettavano luce da due fessure indolenti. Il profumo di muschio del locale si miscelava con quelli inebrianti del vino. “Uno sguardo come il suo - disse - vale sempre il disagio di uscire di casa” e vuotò in un colpo il suo bicchiere, con un gesto da bevitore di whisky. La donna assaporò con la punta del cucchiaio la sua crema di crostacei, intrecciò le dita e lo fissò con sguardo obliquo, quasi con canzonatura. Le parole galleggiarono senza approdare a nulla, finché il cameriere non portò il dessert e stappò l’ultima bottiglia, che li avrebbe condotti nel limbo ovattato del dopocena. “Cioccolato, panna, meringhe e marron glacés” sussurrò assaporando un cucchiaino di dolce di castagne. Poi sollevò il suo flute appena riempito di un Pinot brut Blanc de Blancs. “Secco e vellutato – disse - proprio come la carezza di un uomo”, la sua voce tradì un riverbero di ruvidezza, appena stemperata da un movimento quasi impercettibile delle sopracciglia. L’investigatore fu pervaso dai brividi. Ma prima di capirne il motivo, si scoprì ipnotizzato dalla mano di lei che reggeva il flute di fronte a sé. C’era un vuoto che andava colmato. Un vuoto in quella storia, un vuoto di una manciata di secondi che andava saturato con un gesto, quello che avrebbe dato un volto all’ombra dietro quella tenda. La stessa ombra che aveva preso vita e aveva infilato una lama nel cuore del suo compagno di calice. Restarono appesi l’un l’altra come due trapezisti nel salto della morte. Poi il gesto arrivò puntuale. Prima di annusare il nettare frizzante che scalpitava nel flute, la donna roteò il vino nel bicchiere più e più volte, con una centrifuga decisa che all’investigatore fece scattare qualcosa dentro. Le parole del sommelier gli esplosero nelle orecchie come una mina. “Non si fa, con i vini frizzanti non si fa così, andiamo!”. La donna capì che era accaduto qualcosa e stentava a riacciuffare l’atmosfera che si era sgonfiata come un palloncino bucato. L’investigatore la fissò per qualche attimo senza parlare. Poi sillabò: “Perché si è tagliata i capelli, madame?”.


Concorso letterario Santa Margherita/Ferltrinelli: Letti in un sorso - Cosa dice la giuria ... 
Ecco i commenti di chi ha valutato i racconti del concorso letterario vino e scrittura, sinergia perfettamente riuscita.
Curzio Maltese, scrittore e giornalista: “il concorso Letti in un sorso ha funzionato bene, a leggere tutti i racconti ci siamo divertiti . Già scrivere una notizia in poche righe è difficile. Allo stesso modo scrivere un racconto con un numero di battute limitato è un'operazione impegnativa. Non ho dubbi nel pensare che questo tipo di iniziativa debba avere un seguito”.
“Un modo originale e divertente per promuovere il vino - ha detto Enzo Vizzari - che accosta due mondi per niente lontani. Ho riscontrato un buono livello qualitativo dei racconti inviati, brillanti, ben scritti, che non hanno niente da invidiare ad alcuni articoli di critica enogastronomica”.
Alessandro Alì, direttore marketing di Santa Margherita: “soprattutto perché il concorso è riuscito a far incontrare ed integrare il mondo del vino con quello della cultura. La ricchezza dei testi e la forte carica emotiva trasmessa dai moltissimi racconti ricevuti in un brevissimo arco di tempo testimoniamo il successo di questa coinvolgente iniziativa. Adesso la scommessa sarà quella di fare entrare i racconti in enoteca e le bottiglie in libreria”.
Paolo Soraci (Librerie Feltrinelli): “valutare i racconti è stato davvero imbarazzante. Perché il livello di scrittura dei singoli racconti è stato davvero alto. Erano tutti scritti bene e con un'idea di fondo interessante. Trovo poi che Letti in un sorso è una trovata geniale che potrà avvicinare gli amanti della lettura al vino e viceversa. Per la prima volta un concorso letterario sul vino vede la bottiglia che non è solo spunto ma addirittura si fa veicolo di scrittura e i racconti premiati finiranno invece sotto gli occhi di un pubblico vastissimo e inaspettato”.
La giuria, presieduta dall’editorialista di “La Repubblica” Curzio Maltese, era composta da Daniele Cernilli, condirettore del Gambero Rosso, Enzo Vizzari, curatore delle guide de L'Espresso, Allan Bay, autore di libri di cucina, Fabrizio Carrera e Giovanni Franco, giornalisti, Alessandro Alì, direttore marketing di Santa Margherita, Alberto Rollo, editor della Giangiacomo Feltrinelli editore e Paolo Soraci in rappresentanza delle Librerie Feltrinelli.

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