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Lo stato dell’arte dell’enoturismo in Italia nell’edizione n. 12 del “Rapporto sul Turismo del Vino in Italia” by Città del Vino. Focus: attrattività e competitività internazionale, analisi della concorrenza e delle possibilità che offrirà Expo 2015

Italia
Nel Rapporto sul turismo del vino by Citta del Vino lo stato dell’arte dell’enoturismo in Italia

Il turismo del vino, di per sé, costituisce un fenomeno complesso e piuttosto arduo da analizzare, anche in Italia, dove la ricchezza del panorama produttivo, e la bellezza dei territori vocati a Bacco di certo sono un volano importante, ma sono ancora ben lontani dal realizzare a pieno il proprio potenziale, a differenza di quanto succede, ad esempio, in California o più in generale nei Paesi del nuovo mondo enoico, dall’Australia al Cile. A fare ordine, fotografando lo stato dell’arte e tratteggiando il futuro dell’enoturismo, come ogni anno ci prova l’edizione n. 12 del “Rapporto sul Turismo del Vino in Italia” by Città del Vino (www.cittadelvino.it), incentrato in maniera particolare gli aspetti economici e manageriali del comparto.
Il trend che sta caratterizzando negli ultimi anni il turismo nazionale, come racconta il rapporto di Città del Vino, non aiuta di certo il turismo del vino: il nostro Paese, infatti, sta progressivamente perdendo posizioni rispetto ai concorrenti storici ed emergenti a livello mondiale. La nostra quota di mercato mondiale sul turismo si è ridotta dal 6,6% al 4,5% negli ultimi venti anni (fonte: Unwto, l’agenzia della Nazione Unite che si occupa di turismo) e, nonostante il grande potenziale di attrazione turistica del Belpaese, del quale il vino è naturale componente, non si evidenzia una capacità di invertire tale trend, anche a causa della mancanza di un approccio settoriale al mercato turistico.
Secondo i dati Wine Tourism Conference (www.winetourismconference.com) gli arrivi turistici mondiali nel comparto enoturistico ammontano a circa 20 milioni, di cui solo 3 milioni verso l’Italia. Questo dato è in linea con la quota di mercato generale, e mette in luce le notevoli lacune espressive del grande potenziale turistico italiano, che rimane largamente sottoutilizzato e che ci vede in difficoltà rispetto ai principali concorrenti (Stati Uniti, Francia e Spagna). In Italia, infatti, i turisti spinti da una motivazione “vitivinicola” in senso lato sono una quota limitata dei flussi totali (meno del 7,9%).
Le precedenti stime di Città del Vino (2007, 2012) ragionavano su cifre variabili tra 3 e 6 milioni di enoturisti, con un valore complessivo di comparto di almeno 2,5 miliardi di euro (2007), scontando tali dati, tuttavia, la mancanza di una rilevazione valida e affidabile sul comparto. Pertanto, il turismo del vino, all’interno del complessivo mercato turistico italiano, nonostante la fortissima caratterizzazione vitivinicola dell’Italia a livello mondiale, sia per quantità sia per qualità, rappresenta ancora oggi una quota ridotta. Tale situazione è dovuta a motivazioni sia sociali/storiche sia imprenditoriali/manageriali. Il modello di analisi del turismo del vino, infatti, sconta le caratteristiche della produzione vitivinicola, che, in Europa in generale e in Italia in particolare, specie a livello del bacino del Mediterraneo, vanta una lunghissima tradizione, fondata, salvo rari casi, su cantine di dimensioni medie e piccole. Invece, nei Paesi anglosassoni con importanza vitivinicola (Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, ma a onor del vero anche Paesi latinoamericani come Cile e Argentina), il modello è sostanzialmente diverso, con imprese giovani e di dimensioni rilevanti, con un approccio al business e soprattutto al marketing maggiormente consolidato.
Una prima fondamentale indicazione strategica per il turismo del vino, pertanto, è quella di puntare a un cambiamento epocale nella visione del mercato, dal momento che l’approccio attuale, nel migliore dei casi, è di mero adeguamento alle tendenze della domanda, mentre dovrebbe essere fondato, almeno nel caso dell’Italia, sulla continua e intensa programmazione di azioni e iniziative in linea con la vocazione territoriale, auspicando (finalmente) un’intesa strategica tra istituzioni e operatori. Un ulteriore aspetto richiede l’identificazione dei diversi segmenti del mercato turistico su cui puntare per lo sviluppo del territorio. Di conseguenza, è necessario un approccio alla segmentazione del mercato turistico, che possa portare a risposte progettate a livello di sistema locale, piuttosto che affidate all’iniziativa della singola impresa. Infine, l’individuazione di categorie specifiche di consumatori/turisti (target) permetterebbe d’indirizzare meglio l’offerta verso i destinatari, superando contestualmente le difficoltà di affermazione del settore turistico tramite la promozione del territorio. In tal senso, è importante sottolineare che soltanto un’adeguata segmentazione dell’enoturista può consentire di valorizzare anche a fini economici il turismo del vino in Italia. In assenza di tale segmentazione, infatti, le aree interne, non sempre interessate da altre forme di turismo o almeno sicuramente al di fuori dai circuiti “balneari”, ma caratteriz-zate da produzioni vitivinicole di qualità, non riescono a intercettare flussi sufficienti di domanda di turismo sostenibile. Tale domanda, inoltre, andrebbe orientata anche ai beni ambientali e culturali, oltre che alle altre produzioni di eccellenza (non solo agroalimentari), dei quali i territori italiani sono molto spesso abbondantemente dotati.

Focus - Attrattività e competitività internazionale dell’enoturismo made in Italy
Da una recentissima ricerca condotta dalla società di consulenza turistica Jfc (pubblicata nel febbraio 2015) sulla base di dati ufficiali Istat ed Eurostat emerge, in maniera abba-stanza drammatica, la debole crescita del settore turistico italiano. Lo studio, analizzando i dati sui tassi di crescita turistici regionali nel periodo 2003-2013, ha parlato di un’Italia turistica “ferma al palo” e incapace di reggere il passo dei concorrenti: nell’ultimo decennio, l’Italia ha visto incrementare i propri flussi turistici dell’8,6%, a fronte del +52,4% fatto registrare dalla Francia; +45,3% della Croazia; +40,7% della Grecia; +17,5% della Germania; +16,2% della Gran Bretagna; +11,8% della Spagna; +14% dell’Austria.
In un contesto come quello appena descritto, assume particolare importanza la crescita costante fatta registrare dall’enoturismo in Italia. Si tratta di un fenomeno che negli anni ha conosciuto un continuo sviluppo, finendo per imporsi come un “piccolo” motore economico del Paese generando, nell’anno 2013, un giro d’affari di 4-5 miliardi di Euro grazie ai 5 milioni di persone che hanno visitano i territori del vino (WineNews, 12 giugno 2014), con dati che rientrano, come sempre a maglie larghe, nella forbice di cui si è detto in precedenza. Si tratta sicuramente di cifre importanti, ma a ben vedere strettamente legate a molteplici fattori che rendono il nostro Paese “unico” non soltanto sotto il profilo enologico (elevata produzione, buona presenza di ettari vitati, patrimonio ampelografico unico al mondo per varietà, ecc.), ma anche gastronomico (elevata produzione di etichette Dop, Igp e Stg, variegata gastronomia regionale), geografico (alternanza di mare e montagna, benevolenza del clima) e storico-culturale (immenso patrimonio artistico, siti storici, città d’arte). Questa unicità, si diceva a ben vedere, contribuisce a rendere l’offerta enoturistica made in Italy, almeno in termini potenziali, notevolmente attrattiva sul panorama internazionale: infatti, l’enoturismo è parte di un “bundle of attractions” estremamente vario e variegato, che va al di là della semplice degustazione del vino, abbracciando altri aspetti come la visita della regione in cui si decide di recarsi, la visita delle attrazioni locali e altro ancora (Charters & Aliknight, 2002).
Sintetizzando, l’enoturista è alla ricerca di un’esperienza di viaggio completa, ossia, in altre parole, di un’offerta turistica integrata capace di abbinare al vino attrattività culturali, paesaggistiche, sportive, di benessere e relax (Taiti, 2010). Tuttavia, e non poteva essere altrimenti, il principale motore dell’offerta enoturistica resta il vino. Da questo punto di vista, il Belpaese mostra un enorme potenziale competitivo, grazie in primo luogo all’elevata produzione: le stime 2014 collocano l’Italia al secondo posto mondiale, nuovamente dietro la Francia, per milioni di ettolitri prodotti. Il dato sicuramente più interessante è però quello relativo alle superfici vitate: l’Italia, con 752.000 ettari vitati, si colloca al terzo posto assoluto e si tratta, ovviamente, di un risultato di grandissima importanza, specialmente se rapportato alla superficie totale del Paese. Infatti, la Francia e la Spagna, che da molti anni ormai si giocano con l’Italia il primato di più grande produttore mondiale, presentano un rapporto tra superficie vitata e superficie totale inferiore al dato italiano.
Questi risultati sono l’evidenza di un altro rilevante elemento: la superficie vitata italiana non è concentrata unicamente in determinati territori, come avviene per esempio in Francia e, sostanzialmente, in tutti i Paesi produttori del mondo, ma è espressione di un territorio diffuso estremamente vocato sotto il profilo enologico (infatti, tutte le regioni italiane possono vantare almeno un vino Dop/Igp). Questa peculiarità italiana contribuisce sicuramente a dotare l’attrattività del comparto enoturistico nazionale di un notevole potenziale di competitività, offrendo al turista del vino un ventaglio esteso e variegato di possibili destinazioni. A contribuire alla scelta della destinazione enoturistica, inoltre, è la possibilità di poter degustare vini diversi, provenienti da vitigni e/o terroir diversi. Anche da questo punto di vista l’Italia non sembra avere rivali, presentando un immenso patrimonio ampelografico che può vantare (dati 2010) circa 200 vitigni coltivati, con 493 varietà iscritte al Registro Nazionale delle Politiche Agricole (dati aggiornati all’8 febbraio 2015). Inoltre, e questo sembra un dato di una certa importanza nella prospettiva dell’enoturismo, i vitigni italiani si adattano male quando coltivati al di fuori dei confini nazionali, fornedo risultati modesti. Infatti, nel panorama varietale internazionale, l’Italia è rappresentata da pochi vitigni, come Riesling italico, Trebbiano toscano, Sangiovese, Nebbiolo, Dolcetto, Bonarda (Fregoni, 2010) e pochi altri, tra cui, più recentemente, anche il Fiano.
Non bisogna dimenticare che il modo migliore per poter degustare fino in fondo un calice di vino è quello di abbinarlo alle pietanze: proprio la cucina, la buona cucina, è naturalmente uno dei caratteri distintivi dell’italianità nel mondo. Infatti, il Belpaese può vantare un patrimonio gastronomico unico e vario, regione per regione, con pietanze che, in generale, fanno affidamento più sulla qualità degli ingredienti che sulla complessità della preparazione. Anche da questo punto di vista, l’Italia è imparagonabile agli altri Paesi del mondo. Infatti, il “Giardino d’Europa” vanta 270 prodotti tra Dop e Igp riconosciuti e registrati dall’Unione Europea su “domanda” dei diversi Stati mondiali (portale Door, Agricoltura e Sviluppo della Commissione Europea, dati febbraio 2015).
Agli “attrattori” enogastronomici va ad aggiungersi il patrimonio storico, culturale e naturale del Belpaese, che rappresenta uno straordinario valore aggiunto in termini di potenziale competitività per l’enoturismo made in Italy. Pur trascurando l’effettiva veridicità dell’ormai luogo comune secondo cui l’Italia da sola possiede più del 50% del patrimonio culturale mondiale, la lista dei siti Unesco nel mondo sentenzia in modo incontrovertibile il primato italiano anche in questo campo, con ben 50 siti italiani (Unesco, febbraio 2015). Si tratta di un risultato eccezionale se si pensa ai dati relativi alla superficie geografica del Paese, rispetto, per esempio, alla “gigantesca” Cina che in questa speciale classifica si posiziona al secondo posto. Inoltre, ai patrimoni Unesco vanno ad aggiungersi 4.588 musei o istituti similari, pubblici e privati, aperti al pubblico nel 2011, di cui 3.847 musei, gallerie o collezioni, 240 aree o parchi archeologici e 501 monumenti e complessi monumentali (dati Istat, 2013).
In questa disamina delle attrattività dell’enoturismo italiano non bisogna dimenticare i fattori legati alla conformazione “fisica” del Paese. Essendo una Penisola, l’Italia può vantare circa 8.000 Km. di costa (Enciclopedia Treccani) e, dunque, il contributo che l’offerta turistica balneare può offrire in termini di valore aggiunto per l’enoturismo è immenso: basti pensare che solo 5 regioni (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige e Umbria) delle 20 totali non si affacciano sul mare. Al turismo balneare dobbiamo affiancare la presenza di altre forme di turismo che sfruttano il patrimonio idrico italiano: quello lacuale (247 laghi: www.laghiditalia.net) e quello fluviale (1.242 fiumi: www.comuni-italiani.it). Infatti, l’Italia è il Paese con il maggior numero di laghi tra i Paesi del Mediterraneo e questa peculiarità trova una plausibile spiegazione nella presenza di due grandi catene montuose come le Alpi e gli Appennini che, immaginate quale naturale proposta per soddisfare le esigenze del “turista montano”, rappresentano un ulteriore potenziale elemento di attrattività per l’enoturista e, dunque, di competitività per l’offerta enoturistica integrata italiana.
Dal quadro delineato emergono le notevoli potenzialità di un Paese che, qualora riuscisse a declinarle in un’ottica sistemica, avrebbe tutte le carte in regola per imporsi a livello mondiale nel mercato enoturistico. In tal senso, un esempio da “best practice” è senza dubbio rappresentato, per esempio, dai territori del Chianti Classico, i cui paesi (San Casciano in Val di Pesa, Greve in Chianti, Tavernelle Val di Pesa, Barberino Val d’Elsa, Castellina in Chianti, Radda in Chianti, Gaiole in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Poggibonsi) sono letteralmente rinati grazie al vino, a una serie d’investimenti e politiche in grado di accrescere la reputazione del territorio e soprattutto grazie a un’offerta turistica integrata mirante alla valorizzazione delle bellezze artistiche di città “vicine” come Firenze e Siena, alle bellezze naturalistiche/paesaggistiche della Regione e alle specialità della cucina regionale toscana. Infatti, nell’arco del 2012 i paesi del Chianti Classico hanno ospitato turisti provenienti dalle più svariate nazioni del mondo, per un totale di 988.707 visitatori stranieri su 1.245.293 presenze turistiche totali, con riflessi molto importanti sull’economia di questi piccoli borghi per i quali l’enoturismo è diventato un vero e proprio motore economico. A tal proposito, basti ricordare che Radda in Chianti, che con i suoi 1.118 abitanti è il paese più piccolo del Chianti Classico, conta ben 24 ristoranti su Trip Advisor (Cinelli Colombini, Wine Business 2014).
Accanto a questi ragguardevoli punti di forza, si contano però pesanti punti di debolezza: generale assenza di uno spirito di collaborazione realmente “sistemico” tra i produttori; mancato dialogo tra operatori turistici dei diversi settori; ancora scarso utilizzo delle tecnologie e soprattutto del web; limitata capacità nella valorizzazione delle produzioni (a parità di vino prodotto, il fatturato della Francia è significativamente superiore a quello italiano); bassa notorietà e reputazione di alcuni territori, tranne le regioni più note.

Focus - Analisi della concorrenza internazionale nel wine tourism
Essenziale linea di pensiero di una visione economico-manageriale del turismo del vino consiste nell’affermazione che il turismo del vino, ancor prima di essere “del vino”, è soprattutto “turismo”, nel senso che la connotazione “enoica” in particolare o “enogastronomica” in generale rappresenta una specializzazione all’interno del più ampio fe-nomeno del turismo, in cui il concetto di “servizio” riveste un’importanza fondamentale (in altre parole, non può esserci turismo del vino soltanto con il vino e senza servizi). In ogni caso, è lapalissiano osservare che, dopo questa indispensabile precisazione strategica, il turismo del vino non può che riguardare quei Paesi al mondo con una forte connotazione vitivinicola.
Nel tempo, il mondo del vino si è diviso in due grandi aree mondiali: il “Vecchio Mondo” (principalmente Francia, Italia, Spagna e Germania, con a seguire Austria, Ungheria, Slovenia, Croazia e Grecia) e il “Nuovo Mondo” (Canada, Stati Uniti, Cile, Argentina, Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda). Le produzioni vitivinicole del Nuovo Mondo sono basate quasi esclusivamente su vitigni alloctoni (Merlot, Syrah, Cabernet Franc, Cabenet Sauvignon, Pinot Nero, Chardonnay, Pinot Grigio, Viognier) e, di conseguenza, la differenza tra un vino e l’altro deriva sostanzialmente dal terroir (inteso come combinazione di vitigno, suolo, clima, uomo e reputazione), anche se generalmente tali produzioni sono singolarmente, ossia per singolo vitigno/vino, più estese. Nel caso del Vecchio Mondo, invece, un ruolo fondamentale è svolto proprio dai vitigni autoctoni, che, “moltiplicati” per la notevole varietà dei territori, permettono ai Paesi europei del vino di disporre di un numero elevatissimo di varietà di uve e vini. Tale caratteristica, in particolare, trova massima espressione nella ricchezza praticamente infinita dell’Italia, con un patrimonio ampelografico e territoriale ineguagliabile sull’intero pianeta.
Il fenomeno del turismo del vino, tuttavia, ha seguito una dinamica praticamente opposta a quella del vino. Al giorno d’oggi, infatti, è molto più sviluppato nei Paesi del Nuovo Mondo, mentre si trova ancora in uno stato embrionale nei Paesi del Vecchio Mondo (tranne notevoli eccezioni all’interno dei singoli Paesi), sostanzialmente per lo scarso orientamento al servizio e, soprattutto, al wine marketing.
A livello internazionale, una delle fonti più diffuse e autorevoli nel mondo del vino è “Wine Enthusiast”, che ogni anno redige la classifica delle dieci mete enoturistiche più importanti al mondo (“10 Best Wine Travel Destinations 2015”), articolata così nell’edizione 2015: Finger Lake (New York, Usa) al n. 1, Piemonte al n. 2, Hawkes Bay (Nuova Zelanda) al n. 3, Valle del Rodano (Francia) al n. 4, Orlando (Florida, Usa) al n. 5, Galizia (Spagna) al n. 6, Okanagan (Canada) al n. 7, Valle della Loira (Francia) al n. 8, Mendocino (California, Usa) al n. 9 e Istria (Croazia) al n. 10. Per una distribuzione delle preferenze assegnate da “Wine Enthusiast”, dal 2012 al 2015, che premia senza dubbio gli Usa, con 12 menzioni sulle 40 complessive: Virginia, New York, New York, Oregon, Texas, Washington, Florida, California (Napa, Santa Barbara, Monterey, Sonoma, Mendocino). Quindi ecco Francia (Champagne, Linguadoca, Valle del Rodano, Valle della Loira) e Italia (Veneto 2012, Puglia 2013, Umbria 2014, Piemonte 2015) a 4, Spagna (Priorat-Cambrils, Rjoia, Galizia) a 3. Enacora, Australia 2, Germania 2 (Mosella, Baden), Nuova Zelanda 2, Argentina 1, Austria 1, Brasile 1, Canada 1, Cile 1, Croazia 1, Grecia 1, Messico 1, Por-togallo 1, Sudafrica 1, Ungheria 1.
Tramite l’analisi del “diamante di Porter”, che combina “politiche governative”, “casualità ambientale”, “condizione dei fattori”, “condizione della domanda”, “strategia, struttura e rivalità delle imprese” e “settori industriali correlati e di supporto”, è possibile tentare una mappatura della concorrenza internazionale del turismo del vino rispetto all’offerta enoturistica italiana, dalla quale si osserva, ad esempio, che Australia e Nuova Zelanda sono interessate da politiche governative a supporto; Usa e Germania sono favorite da un elevato consumo interno; la Francia presenta caratteristiche simili all’Italia in termini di strategia, struttura e rivalità delle imprese, ma potendo far leva su una migliore reputazione; Messico e Brasile sembrano destinazioni enoturistiche segnalate più per motivi “casuali” (in quanto mete turistiche per definizione) che per motivi effettivamente “vitivinicoli” (al di là del merito specifico delle singole zone d’interesse); la California è dotata di risorse e infrastrutture capaci di farla considerare da sola (e non in quanto parte degli Usa) uno degli Stati più importanti al mondo; la Spagna, come del resto la Francia e gli Usa, è già interessata da flussi vacanzieri non enoturistici di notevole entità, con un’importante industria turistica alle spalle.
Da tale analisi qualitativa, pertanto, risulta ben chiaro come l’Italia sia fronteggiata da un’agguerrita concorrenza internazionale nel turismo del vino. Tuttavia, l’evidenza più rilevante, pur con tutti i limiti imputabili alla classifica cumulata di Wine Enthusiast, riguarda la constatazione che ancora oggi sussiste un drammatico gap tra attrattività e competitività dell’offerta enoturistica italiana, che, in particolare in tempi di crisi economica, deve essere colmato non tanto per sfruttare un’opportunità, ma soprattutto per adempiere a un vero e proprio “dovere” istituzionale e sociale dell’Italia.

Focus - Analisi Swot sul turismo del vino in Italia in vista dell’expo 2015
L’analisi Swot (acronimo per Strengths, Weaknesses, Opportunities and Threats) è uno strumento di management strategico che permette di elaborare una valutazione integrata dei punti di forza, dei punti di debolezza, delle opportunità e delle minacce di un determinato oggetto d’interesse. Interessante, visto il momento, l’analisi Swot del comparto enoturistico italiano rispetto a Expo 2015, allo scopo di far emergere possibili strategie di valorizzazione, in ottica enoturistica, del più importante evento del 2015 in Italia.
Dalla presentazione dell’Expo 2015 è agevole ricavare i contenuti dell’analisi Swot, il cui studio integrato permetterà di trarre alcune conclusioni in merito alle possibili strategie che un qualsiasi organo di governo (istituzionale, territoriale, imprenditoriale, ecc.) potrebbe/dovrebbe attuare nel campo enoturistico per meglio sfruttare l’Expo 2015. I punti di forza del comparto del turismo del vino italiano sono numerosi: infatti, la produzione vitivinicola italiana è tra le più importanti al mondo (assieme a Francia e Spagna), la varietà del patrimonio ampelografico e del patrimonio territoriale è la più importante al mondo, la superficie degli ettari vitati è la più estesa del mondo in termini relativi (ossia in rapporto alla superficie complessiva), il numero di siti Unesco “Patrimoni dell’Umanità” è in termini assoluti il più elevato al mondo, la tradizione e varietà gastronomica e culinaria costituiscono un patrimonio culturale tra i più diffusi sul territorio al mondo.
I punti di debolezza sono purtroppo altrettanto vari e rilevanti: mancanza di una strate-gia condivisa a livello istituzionale di promozione e valorizzazione del comparto enoturistico italiano, mancanza di collaborazione tra i produttori vitivinicoli, mancanza d’integrazione con gli altri attori della filiera enoturistica allargata, mancanza di un sistema omogeneo d’infrastrutture di trasporto, mancanza di una strategia di comunicazione delle attrazioni territoriali, incapacità della grandissima parte delle aree vitivinicole italiane di essere riconosciute all’estero (tranne Toscana, Piemonte, Veneto, ma soprattutto alcune specifiche aree di queste regioni, come Chianti, Langhe o Valpolicella, solo per fare alcuni esempi).
Le opportunità riguardano la visibilità mondiale dell’evento (potendo quindi sfruttare come traino i riflettori puntati sull’Italia), il notevole afflusso di turisti e operatori, il fatto che questa Expo sia focalizzata sul tema dell’alimentazione e della nutrizione, lasciando quindi al vino, ma meglio ancora al patrimonio enogastronomico italiano, una chance formidabile di successo a livello planetario (per la serie: “ora o mai più!”, dato che l’evento non sarà ripetibile prima di moltissimi anni).
Le minacce riguardano la possibilità che Milano sia considerato l’unico locus dell’evento (consigliando in tal senso strategie regionali di attrazione “per cerchi concentrici”), che la centralità “mitteleuropea” di Milano possa fungere paradossalmente da ponte verso il Centro Europa, che l’Italia possa pagare una contingenza economica (crisi) che abbia un po’ ingrigito l’immagine del Paese, che ci sia un concreto rischio di farsi trovare impreparati nell’erogazione di un complessivo servizio turistico.
Dall’incrocio delle quattro componenti dell’analisi Swot è possibile elaborare una proposta per un possibile portafoglio di strategie enoturistiche verso l’Expo 2015, da intendersi come “azioni di non breve respiro le cui iniziative sottostanti siano coordina-te, integrate ed equi-finalizzate (ossia tese alla medesima finalità)”. A governare tali strategie sarà inevitabilmente l’organo di governo del singolo sistema di riferimento (il Sindaco del Comune, il Presidente del Consorzio, l’Imprenditore della Cantina, ecc.), il quale dovrà naturalmente orientarsi con la propria competenza, esperienza e sensibilità all’interno e all’esterno del proprio contesto strategico di riferimento.
Partendo dai punti di forza, si ricava che verso le opportunità è possibile/necessario/opportuno implementare una strategia di “focalizzazione sulla comunicazione dell’offerta”, mentre verso le minacce è possibile/necessario/opportuno implementare una strategia di “attrazione enoturistica per “cerchi” concentrici”. Partendo dai punti di debolezza, si ricava che verso le opportunità è possibile/necessario/opportuno implementare una strategia di “collaborazione territoriale/aziendale (anche contingente)”, mentre verso le minacce è possibile/necessario/opportuno implementare una strategia di “focalizzazione sulla comunicazione del territorio”.
In conclusione, l’Expo 2015 si propone come una straordinaria opportunità per il comparto enoturistico italiano, potenzialmente capace di ospitare il turismo del vino in Italia su un irripetibile palcoscenico di visibilità, ma al tempo stesso non mancano diversi punti interrogativi. Tra tutti, quelli più rilevanti riguardano la capacità di accoglienza tu-ristica in termini di servizio (il turismo del vino è prima di tutto “turismo”) e soprattutto la volontà di istituzioni, territori e operatori di progettare, attuare e consolidare percorsi collaborativi, cooperativi e finanche coopetitivi (ossia di cooperazione tra concorrenti) di offerta, crescita e sviluppo.

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