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MADE IN ITALY

Moda e vino: due eccellenze con un legame sempre più forte, tra radici e lusso

A WineNews, le case history di Brunello Cucinelli, Renzo Rosso, Sandro Veronesi e Salvatore Ferragamo
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Moda e vino

L’uomo più ricco del mondo, almeno per il momento, è Bernard Arnault, presidente e ceo Lvmh - Moët Hennessy Louis Vuitton, il più grande gruppo internazionale del lusso, capace di mettere insieme alcuni dei marchi più prestigiosi della moda e del vino. Un incontro tutt’altro che casuale, che ruota essenzialmente intorno al concetto di lusso, all’interno di un progetto imprenditoriale ben preciso, che ogni anno si arricchisce di nuovi brand. In Italia, dove sia l’alta moda - che nel 2022 ha fatturato 102 miliardi di euro - che il vino - capace di sfiorare gli 8 miliardi di euro di export - sono settori altamente competitivi, non esiste ancora nulla del genere.

Qualcosa, però, sta cambiando. Il mondo della moda made in Italy, da un po’ di tempo a questa parte, sta mostrando un certo interesse per quello del vino, capace di farsi largo nella fascia dei fine wine da sempre feudo quasi esclusivo dei grandi di Francia. Il nesso non è casuale, ma le forme, le motivazioni, e il background economico e culturale delle storie imprenditoriali è ben distante dall’esempio da cui siamo partiti. Per i grandi nomi della moda incontrati da WineNews - Brunello Cucinelli, Renzo Rosso, Sandro Veronesi e Salvatore Ferragamo - il vino non è un banale ramo d’azienda.

Per quanti punti di contatto esistano con la moda, a partire dalla qualità e dall’esclusività, peculiari ad ogni prodotto di lusso, il vino è prima di tutto un modo per riconnettersi alla terra, alle proprie radici. Con la moda il dialogo è costante, in uno scambio in cui, quando si parla di comunicazione, marketing, internazionalizzazione e capacità di stare sui mercati, il vino italiano, con tutta la sua storia e il suo portato culturale e sociale, mostra tutti i suoi limiti. Di strada da fare, davanti a sé, ne ha ancora molta, e tantissimo da imparare proprio dalla moda.

Per Brunello Cucinelli, il “re del cachemire” che, da Solomeo, in Umbria, ha conquistato il mondo diventando uno degli imprenditori italiani più illuminati, teorico del “Capitalismo Umanistico”, è proprio dal lavoro che deve cominciare il cambiamento, in fabbrica come in cantina. “In futuro non sarà difficile trovare chi venda i prodotti, ma chi li produca, e questo vale anche per il vino. Mi riferisco agli operai, non ai manager o agli impiegati, che hanno una dignità morale ed economica. Il tema dell’operaio è un grande tema: nelle nostre fabbriche siamo abituati a non avere finestre, per paura che ci facciano perdere tempo. I luoghi del lavoro devono cambiare, perché non si può lavorare 8 ore senza vedere il cielo, ed i salari devono crescere”, racconta a WineNews Brunello Cucinelli.

“Il vino e l’olio sono due grandi prodotti, antichi come il creato, rappresentano la terra, così come l’abbigliamento, che era un aspetto rilevante già ai tempi dell’Imperatore Adriano. Pur bevendo pochissimo, a tavola il bicchiere di vino - rigorosamente di vetro - deve essere sempre presente, è parte della nostra cultura, senza il vino come compagno non è un grande pranzo”, ricorda Cucinelli, sottolineando quindi come quello dell’equilibrio tra territorio, turismo e qualità delle produzioni sia “un grande tema. Dopo la pandemia il numero di turisti è enorme, ed il rischio di perdere la spiritualità di certi luoghi è evidente. Dobbiamo cercare di puntare su esclusività, artigianalità, qualità e custodia del territorio. In Umbria si ritrova ancora un’atmosfera sana, tranquilla e spirituale, un ritmo della vita in equilibrio”.

La spiritualità, però, non basta perché un prodotto, e ovviamente un vino, abbia successo: ci vuole il “vestito” giusto. “Da ragazzo mi affascinava molto il packaging dei prodotti giapponesi, che hanno sempre avuto un gusto ed una ricercatezza unici, ed ancora oggi do molta importanza alla forma, fa la differenza. Una bella tavola, apparecchiata bene, una bottiglia di vino con una bella etichetta, come ci insegnano i francesi, fa la differenza. Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo, per Kant il bello è simbolo del bene morale, io credo semplicemente che una cosa curata e carina faccia sempre la differenza, in ogni situazione”, aggiunge il re del cachemire.

Nella galassia economica di Cucinelli, comunque, il vino ha ancora un ruolo marginale, per quanto simbolicamente rilevante. “A livello economico, se non vendessimo più pullover non faremmo vino. Però io vengo dalla terra, ho fatto il contadino fino ai 15 anni, e come diceva Senofane dalla terra tutto deriva. Sono attaccato alla terra, mi piace fare vino, e sono felice che si possa definire vino contemporaneo: non sono un grande esperto, ma credo che tutto dovrebbe essere contemporaneo, anche il capitalismo e, ovviamente, l’abbigliamento, che se non fosse contemporaneo non starebbe sul mercato”, chiosa Brunello Cucinelli.

Dal cachemire al denim, stile diverso, in passerella e in cantina, Renzo Rosso nel vino ha puntato fortissimo. All’inizio, con la Diesel Farm, a due passi dalla sua Vicenza, poi investendo in realtà consolidate come Benanti in Sicilia, Masi in Valpolicella e Josetta Saffirio in Langa. L’idea, in un futuro per niente lontano, è quella di arrivare anche a Montalcino, terra del Brunello, e “creare la prima holding italiana del vino di lusso”, come ha raccontato a WineNews. Seguendo, in scala minore, proprio l’esempio dei grandi gruppi del lusso di Francia.

“Il vino rappresenta qualcosa di speciale, si lega alle mie origini: nasco in una fattoria, e da bambino entravo dentro le botti più grandi per pulirle insieme a mio padre. Nella mia carriera imprenditoriale è arrivato il momento in cui ho potuto comprare una mia azienda, ed è stato un momento bellissimo. Ho iniziato da subito a fare vino, con l’enologo Roberto Cipresso”, ricorda Renzo Rosso. Oggi siamo arrivati a fare qualcosa di speciale, portando l’esperienza maturata nell’ambito della moda - dal marketing alla comunicazione alla capacità di fare sistema - nel settore del vino, guardando al mondo del lusso, dove il vino italiano ha grandi margini di crescita: voglio creare la prima holding italiana del vino di lusso”.

Nella convinzione, ribadita sempre da Renzo Rosso, che “dalla moda il vino può imparare, a partire da come presentarsi al mercato. La moda è riuscita a portare le proprie insegne nelle vie più importanti al mondo, la stessa cosa dovremmo farla con il vino, perché è bello sedersi a tavola con un amico ed una grande bottiglia, esattamente come avere una borsa griffata. Il vino, in futuro, sarà sempre più qualcosa di speciale”. La qualità diventa così una conditio sine qua non, che passa per una scelta ormai doverosa: il bio, che “rappresenta il modo moderno di fare un prodotto, nel vino come nella moda, dove si punta su produzioni sostenibili e tessuti riciclati. Bisogna produrre meno ma con maggiore qualità, evitando gli sprechi. È da qui che passa il benessere, da consumi di qualità, che evitino le emissioni di CO2 e gli sprechi di materie prime, per creare un mondo che sia migliore per le generazioni future”, spiega Renzo Rosso.

Un altro aspetto cruciale, per crescere nel mondo, è la capacità di sapersi aprire e di saper comunicare, ed in questo “il vino è ancora molto indietro, è un mondo chiuso, fatto di addetti ai lavori, con una trasformazione ancora da portare a termine. È un bene che si siano conservate purezza e qualità, ma se vogliamo portare il settore ad essere davvero speciale dobbiamo lavorare su comunicazione e posizionamento, aspetti su cui stanno lavorando in pochi. Lo storytelling del vino come medium del territorio è affascinante, e raccontare come nasce una bottiglia, il rapporto con la natura e con la terra, è bellissimo: è ciò che il consumatore ha bisogno di conoscere ed è ciò che fa crescere il prodotto. Allargando lo sguardo, però, è bene che il vino incontri anche altri ambiti, come la moda, l’arte, lo spettacolo, e in generale tutto ciò che crea valore aggiunto, una cosa dà una mano all’altra”, aggiunge l’imprenditore simbolo del blue jeans.

Percorso a dir poco arzigogolato, invece, quello di Sandro Veronesi. A capo del terzo gruppo del fashion d’Italia, Calzedonia Holding, arrivata a fatturare 2,5 miliardi di euro (dati Area Studi Mediobanca), nel 2012 ha pensato bene di aprire una catena di enoteche, Signorvino, che, da Verona, ha conquistato rapidamente l’Italia, e adesso guarda al mondo, con le prossime aperture previste a Parigi ed a Praga. Ma non finisce qui, perché oltre a venderlo - tanto e bene, a giudicare dai 55 milioni di euro fatturati nel 2022 - Sandro Veronesi ha pensato bene di investire anche nel lato produttivo, con La Giuva, in Valpolicella, e Tenimenti del Leone nel Lazio, ma anche in Sardegna e nel Trentodoc.

“Il vino è tradizione, la moda è continua innovazione, una fusione delle due, per raggiungere il meglio in entrambi i campi, sarebbe l’ideale”, racconta Sandro Veronesi. “Ed è poi quello che cerchiamo di fare, ossia portare l’esperienza del mondo della moda nel mondo del vino: una ventata di modernità e freschezza nel modo di fare, vendere e comunicare. In questo senso, Signorvino vuole essere un ambiente in cui il vino viene reso accessibile, specie ad un pubblico giovane e globale, con un discorso affascinante ma anche semplice. È un lavoro che portano avanti i nostri wine specialist, che hanno la capacità di raccontare il vino in modo nuovo. Il vino non è solo un assaggio di qualcosa, ma è un’esperienza che, nell’incontro con arte, cultura e ambiente circostante, può portare ad un maggiore godimento. C’è un grande desiderio di italianità nel mondo, ed il vino, da solo, limitato al bicchiere, non basta. Ha bisogno di tutto ciò che lo circonda, a partire dal territorio da cui nasce, che è una peculiarità fondamentale”, spiega “Mr Calzedonia”.

Infine, la case history di Salvatore Ferragamo, nipote, ed omonimo, del grandissimo stilista, che alla moda ha preferito proprio il vino, prodotto a Il Borro, nel Valdarno, una volta residenza di caccia, diventata dal 1993 azienda a tutto tondo, votata all’altissima qualità, dal vino, prodotto da 45 ettari vitati, alla ristorazione, dall’ospitalità agli allevamenti. “Penso che il legame tra vino e moda passi innanzitutto dalla cura dei dettaglia e dall’attenzione per la qualità”, dice Salvatore Ferragamo. “Aspetti che, parlando di vino, ritroviamo sin dalla selezione dei cloni che abbiamo fatto al Borro, passando per i processi produttivi e quindi di vinificazione, molto sofisticati, quasi maniacali. È la stessa cura che abbiamo nella scelta delle barrique ed in quelle di marketing, ma un altro aspetto che accomuna vino e moda è la creatività: Il Borro è nel Valdarno, denominazione che ci lascia ampio spazio di manovra, e quindi libertà”.

“Esiste un legame fortissimo tra Il Borro ed il marchio Ferragamo”, racconta ancora Salvatore Ferragamo. “Porto il nome di mio nonno, Salvatore Ferragamo, motivo per cui il collegamento è immediato. La moda è un settore diverso, ogni sei mesi viene lanciata una collezione nuova, mentre nel mondo del vino a decidere la “collezione”, una sola all’anno, è Madre Natura, che ci riserva annate migliori, peggiori, o semplicemente diverse. La natura, però, gioca un ruolo importante anche nell’ambito della moda, pensiamo alla seta, ed a come la natura offra spunti incredibili alla creatività”, aggiunge il responsabile dell’attività vinicola de Il Borro.

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