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“Molti paesaggi viticoli sono ormai monocolturali, ovvio se prevale la logica commerciale. Ma chiediamoci che vogliamo lasciare al domani. Segnali ci sono: avere l’orto è un ritorno alla produzione mezzadrile”. A WineNews lo storico Massimo Montanari

Italia
I paesaggi viticoli tra logica commerciale e prospettive future secondo lo storico Massimo Montanari

Sono molti i casi in cui, attraversando l’Italia del vino, “ci troviamo di fronte a paesaggi viticoli ormai monocolturali”. Se oggi “prevale una logica di tipo commerciale per la produzione agricola è ovvio che nascano paesaggi più monotoni, meno biodiversi, più tristi, più popolati e silenziosi. Non è un’accusa, ma una constatazione, banale ed evidente, ma su cui riflettere per chiederci cosa vogliamo costruire attorno a noi”. È l’analisi a WineNews di Massimo Montanari, tra i più autorevoli storici italiani dell’alimentazione, su scenari “preoccupanti” che gli studiosi - in convegno, nei giorni scorsi, nella terra del Brunello, a Montalcino, nel Laboratorio di Storia Agraria, presieduto da Montanari (Università di Bologna) e Cortonesi (Università della Tuscia) - sembrano osservare nei distretti agricoli e, in particolare nei territori del vino, spesso proiettati verso la monocoltura, evidente nel susseguirsi di vigneti a perdita d’occhio, ma anche nello spopolamento delle campagne e nell’impoverimento culturale.

“Vogliamo puntare tutto su quello che oggi nel mercato tira ma che domani può cambiare - chiede lo studioso - o vogliamo mantenere un paesaggio agrario diversificato perché è bello, che sarebbe però “museificarlo”? L’ideale è utopistico: cercare equilibrio tra le ragioni dell’interesse e le ragioni dell’intelligenza, che non sempre combinano”. Segnali, però, ci sono: “quando riscopriamo l’importanza per le famiglie di avere un orto in qualche modo torniamo al modello di produzione mezzadrile, non solo in campagna, ma anche in città. Si tratta di progettare cosa vogliamo lasciare al domani: i nostri figli si troveranno di fronte il paesaggio che noi abbiamo progettato”.
La monocoltura “ha cambiato molto la storia del paesaggio italiano - spiega, a WineNews, Massimo Montanari, docente di Storia medievale all’Università di Bologna, dove insegna anche Storia dell’Alimentazione - orientata, soprattutto nelle aree di tradizione mezzadrile ma non solo, alla policoltura. Possiamo chiamarla biodiversità, ma le cose sono più complicate. Ogni società costruisce paesaggi secondo progetti diversi: storicamente la policultura risponde di più ad esigenze di autosufficienza delle comunità territoriali, con scambi limitati, mentre le specializzazioni colturali sono sempre mirate al mercato”. Un dibattito che, approfondisce lo storico, “c’è sempre stato: già nel Medioevo ci sono dei contrasti tra signori che vogliono costruire paesaggi più omogenei perché hanno di mira il mercato, e contadini che mirano di più a mantenere un paesaggio diversificato per avere più risorse e sicurezza”.
Ma quanto del paesaggio viticolo e agrario più in generale dal Medioevo è arrivato fino a noi? “Quel genere di paesaggio che già allora era specializzato - risponde Montanari - il Medioevo è una realtà molto varia: c’è un Medioevo del paesaggio mezzadrile in cui ogni azienda deve produrre vino, grano, olio, animali, erba, orto, e quindi è un’area diversificata. E ci sono zone dove, invece, la viticoltura è omogenea con il paesaggio, raggruppata insieme. Non c’è dunque un Medioevo che consegna alla modernità un modello che poi cambia: già in quell’epoca c’è una tensione tra un paesaggio vocato all’autosufficienza ed un paesaggio vocato al mercato, che oggi decisamente prevale sul primo”.
L’altro aspetto è la bellezza dei nostri paesaggi, in parte figlia del caso, in parte, tra piani regolatori e paesaggistici, di studi e pianificazioni. “Il tema della bellezza è un tema delicato - secondo Massimo Montanari - perché è bello ciò che piace, e noi descriviamo come bello un paesaggio che ci piace perché la nostra cultura ci ha abituato ad apprezzarlo. È un concetto che va storicizzato: le cose non sono belle oggettivamente, ma perché costruite da una certa cultura. Noi viviamo in una società, nonostante le trasformazioni della rivoluzione industriale, ancora culturalmente legata a modelli estetici costruiti dal Medioevo in avanti, canoni che oggi ancora ci sembrano belli”.

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