Che l’export sia una strada obbligata per la crescita del vino italiana ormai è una verità consolidata. Una strada che porta sempre più verso i Paesi extra Ue, che oggi valgono il 58% del consumo di vino mondiale, con un peso sulle esportazioni complessive passato, in 10 anni, dal 37% al 47% del totale. Mercati fondamentali anche per l’Italia del vino, ovviamente, Usa in Testa, ma anche Svizzera e Russia, dove siamo leader per quota di mercato, e ancora Canada, Giappone, Cina e così via. Senza considerare che per il Belpaese il prezzo al litro del vino esportato in Ue è 1,91 euro, mentre quello che finisce fuori dall’Unione Europea si attesta sui 3,75 euro.
Tutti buoni motivi per valorizzare al meglio lo strumento dell’Ocm vino, che per la promozione nei Paesi terzi prevede 100 milioni di euro all’anno di finanziamenti per l’Italia. Strumento potente, che dopo diversi anni di applicazioni ora però deve essere perfezionato, semplificato in alcuni aspetti, e valutato meglio sul fronte della qualità delle azione di promozione. Emerge da “Obiettivo export a 50 miliardi di euro: quali strade per la promozione?”, promosso a Vinitaly da Business Strategies, studio fiorentino leader nella consulenza per l’internazionalizzazione delle imprese vinicole (che ha lanciato un nuovo osservatorio dedicato proprio al mercato dei Paesi terzi, insieme a Nomisma-Wine Monitor), con il Ministero delle Politiche Agricole.
“Dopo anni di gestione di progetti sull’agroalimentare, dalla prima campagna 2008-2009 - dice Silvana Ballotta - ci siamo posti il tema della qualità della promozione che facciamo, della sua efficacia”.
I soldi ci sono, “e questa è già una differenza importante rispetto ad altri settori”, sottolinea Luca Bianchi, capo dipartimento delle Politiche Competitive del Ministero delle Politiche Agricole.
“Anche se non sono così accessibili a tutti - spiega Ballotta - perché serve più capacità progettuale, di aggregazione, ci sono criticità sui tempi di approvazione delle fideiussioni quando richieste e così via. Ma più di tutto, è la qualità della promozione quella su cui dobbiamo riflettere. Gli americani ci dicono che siamo “too much”, troppe denominazioni, troppi battitori liberi, che sono la nostra caratteristica e una fortuna da salvaguardare, propria del mondo delle Pmi, ma all’estero si deve stare attenti e muoversi più uniti. Servono semplificazione e ordine, altrimenti i messaggi sono troppi, non vengono capiti, serve una gestione più organica. Dobbiamo uscire uscire dall’individualismo tipico degli italiani, e trovare sinergie per creare valore al nostro sistema vinicolo”.
E in questo senso, qualcosa si sta muovendo, sia “con il piano per l’internazionalizzazione su cui ha messo 250 milioni in 3 anni il viceministro delle Sviluppo Economico Carlo Calenda, e in cui l’agroalimentare è uno degli asset fondamentali - dice bianchi - sia con il progetto sulla gdo internazionale che stiamo affrontando in sede ministeriale, per mettere insieme grandi insegne italiane e farle dialogare con quelle all’estero, per avere una massa critica maggiore del made in Italy, del vino e non solo, capace di presidiare i mercati più lontani”.
Focus - Per i Millennials Usa dopo i californiani il vino preferito è made in Italy. Così l’Osservatorio Business Strategies-Nomisma. Boom di Prosecco tra i figli dei baby boomer
Amano i nostri vitigni al punto da preferire i vini italiani rispetto a tutti quelli stranieri (35,6%); li prediligono ai vini francesi, argentini, cileni e australiani; adorano il Prosecco (prima scelta rispetto allo Champagne) e gli abbinamenti cibo-vino. Sono i “Millennials”, la Generazione Y (20-35 anni) che sostituirà i “Baby Boomer” tra i top buyer americani, inquadrati nell’indagine del nuovo “Osservatorio Mercati terzi” di Business Strategies/Nomisma-Wine Monitor. La ricerca, presentata oggi a Vinitaly nel corso del convegno ‘Obiettivo export a 50 miliardi di Euro: quali strade per la promozione?”, organizzato da Business Strategies in collaborazione con il ministero delle Politiche Agricole, è stata realizzata su un campione di 3.800 giovani residenti negli Stati di New York, Illinois, California, Miami, Oregon, che insieme fanno oltre il 40% del consumo di vino in Usa.
“Gli Stati Uniti - ha detto il direttore area Agroalimentare di Nomisma, Denis Pantini - non sono per nulla un mercato maturo per i vini italiani: è ancora forte la concentrazione dei consumi di vino, che si raggruppa perlopiù in 5 Stati; inoltre, dei 350 milioni di abitanti gli enoappassionati sono solo il 44%. Infine, il vino incide per appena il 10% tra le bevande alcoliche, con la birra all’80%. Detto questo - ha aggiunto Pantini - è fortissimo il brand Italia presso i nuovi consumatori Usa, specie tra una categoria, quella dei Millennials, che rappresenta il più grande gruppo demografico (21% della popolazione) dopo i Baby Boomers (50-68 anni, 24% della popolazione).
Dopo la California (46%), è italiano (35,6%) il vino più amato dai figli dei baby boomer, riconosciuto per eleganza (20%) e versatilità (15%) ma soprattutto per la sua qualità (29%); lontani Francia (30,2%), Spagna (22,4%), Argentina (14,1), Cile e Australia. Non c’è partita nemmeno nei testa a testa, con il 44% dei giovani consumatori americani che ritiene i vini italiani qualitativamente superiori a quelli francesi, mentre solo 3 su 100 preferiscono i vini transalpini. Il Belpaese vince il confronto anche con i concorrenti extraeuropei, battendo l’Australia con un indice di gradimento del 58% e superando anche l’Argentina per oltre la metà degli intervistati (53%). L’osservatorio Business Strategies/Nomisma si sofferma poi sul grado di conoscenza da parte dei Millennials delle regioni vinicole italiane, e qui stravince la Toscana con il 27% delle prime risposte; poi Veneto e Sicilia (16%) e Piemonte (12%). Nota a parte merita il Prosecco, vero must per la Generazione Y al punto da risultare per il 42% una prima scelta di grande qualità nelle abitudini sparkling delle serate newyorkesi, che solo in alternativa alle bollicine venete ordinerebbe Champagne o altri spumanti italiani (39%). Freschezza, leggerezza e versatilità sono le caratteristiche ricercate dai giovani americani, che prediligono gli abbinamenti cibo-vino (48%) come veicolo di promozione, oltre a packaging e etichetta accattivanti.
“In uno scenario evolutivo quale quello del mercato americano - ha aggiunto la Ceo di Business Strategies, Silvana Ballotta i Millennials sono il gruppo che ha un impatto significativo per tutta la categoria alcolici. Ed è su questo target che occorre lavorare, intercettando il loro bisogno di prodotti unici e differenziati, il loro forte senso di individualità e di identità personale. E riuscire a erodere quote significative alle bevande competitor”.
Federvini: sostegno all’export valorizzando la qualità e favorendo l’aggregazione tra gli operatori
“Per crescere e guardare al futuro con fiducia occorre fare leva sulla collaborazione tra gli operatori del settore e spingere sulla valorizzazione del prodotto italiano e delle specificità dei suoi territori. È proprio la varietà delle nostre produzioni a rappresentare la buona ricetta per affrontare i mercati internazionali”. Così, da Vinitaly, Sandro Boscaini, presidente di Federvini, la “Confindustria” del vino. Che commenta i dati di un export del vino italiano che ha registrato una crescita in valore del +1,4% nel 2014 sul, raggiungendo un fatturato complessivo di 5,11 miliardi di euro, per 20,4 milioni di ettolitri.
“I dati più significativi arrivano da Paesi come gli Stati Uniti che registrano un incremento del 4,4%. La novità più importante riguarda gli spumanti con una crescita del 18,2% rispetto al 2013” - ha spiegato il presidente di Federvini. Che parla anche di Expo:
“non sarà solo una vetrina che dura sei mesi - dice Boscaini - ma deve rappresentare un volano per la conoscenza delle nostre eccellenze, da quelle agroalimentari a quelle ambientali, culturali, scientifiche, che continui e si replichi nel tempo. Da questa grande esposizione universale, ci aspettiamo stimoli alla ricerca, indispensabili per affrontare la sfida dei mercati esteri, sostenibilità e progetti per la valorizzazione dei nostri territori” - ha commentato Boscaini.
Ciò che invece preoccupa Federvini è la pressione fiscale nazionale, dalle accise all’Imu agricola e al reverse charge:
“il settore paga fortemente una politica fiscale punitiva che sta mettendo in ginocchio soprattutto i piccoli e i medi produttori. L’accuanimento fiscale iniziato con i ripetuti aumenti di accise sulla grappa, il limoncello, gli amari, i vermouth, i vini liquorosi è proseguito con le disposizioni in materia di Im agricola. Queste ultime, diverse nell’applicazione fra il 2014 ed il 2015, hanno indotto anche un elemento di concorrenza tra aziende sottoposte alla misura ed aziende escluse, il tutto all’interno delle stesse aree produttive. Rimane poi pendente la questione del versamento anticipato dell’Iva nelle forniture verso la grande distribuzione. L’insieme di queste misure rende lo scenario molto pesante e porta Federvini a chiedere un ripensamento delle norme fiscali da parte del Governo” - chiarisce ancora Boscaini.
Altro punto su cui, secondo Federvini, è importante intervenire subito è l’eccesso di burocratizzazione, un ambito nel quale è quanto mai urgente una semplificazione.
“Premesso che i controlli rappresentano la migliore garanzia sia per il produttore che per il consumatore e sono pertanto ben condivisi ed apprezzati, chiediamo meno burocrazia da una parte, più responsabilità da parte degli operatori dall’altra. A questo va aggiunto sicuramente un maggiore dialogo e uno scambio tempestivo e più diretto di informazioni tra le autorità di controllo, con l’obiettivo di semplificare i processi e velocizzare gli adempimenti. L’esame e la valutazione del nuovo Testo unico del vino rappresenta un importante passo nella giusta direzione, ma ogni singola disposizione va esaminata con attenzione visto che segnerà la vita del settore nei prossimi anni”, ha concluso Boscaini.
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