“Se il mondo dei fine wines, dai collezionisti alle case d’asta, avesse voluto fare la guerra ai falsi ed ai falsari, avrebbe preso spunto da quanto fa il mercato dell’arte, insistendo sulla provenienza. La realtà è che, da parte di tutti, non c’è mai stato alcun interesse a portare avanti una lotta del genere, e il caso del mio assistito, Rudy Kurniawan, ne è la dimostrazione: un capro espiatorio con cui lavarsi la coscienza”. Sono le parole al vetriolo con cui l’avvocato del falsario indonesiano, Jerry Mooney, cerca di spostare l’attenzione del Giudice Federale, che il 29 maggio leggerà la sentenza definitiva, dal proprio assistito al mondo in cui ha agito. Sostenendo, tra le altre cose, che “ormai Kurniawan non ha più niente, gli è stato tolto tutto dal momento dell’arresto, persino la casa californiana in cui viveva la madre: ad oggi, non può pagare che un’ammenda simbolica di 12.500 dollari, altro che rimborsi milionari. Una sentenza di condanna superiore a quanto Rudy meriterebbe, non avrebbe alcun impatto su quanti si sono dedicati e si dedicano al mercato del vino contraffatto”.
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