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ITALIA IN ROSA

Sinergia, promozione, consapevolezza, identità e mercato: il futuro dei rosati italiani passa da qui

Le riflessioni dei Consorzi Valtènesi, Chiaretto di Bardolino, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte e Salice Salentino e della MoW Elizabeth Gabay
ITALIA IN ROSA, ROSATI, ROSÉ, Italia
I rosati d'Italia si uniscono per farsi conoscere al mondo

Nel futuro dei vini rosé, rosati e chiaretti da vitigno autoctono a denominazione di origine c’è una promozione comune. Il quintetto di Consorzi - Valtènesi, Chiaretto di Bardolino, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte e Salice Salentino - che ha stretto in aprile il patto d’intesa con questo obiettivo, si è ritrovato e confrontato in una masterclass nel summit dei rosati “Italia in Rosa”, il festival di Moniga del Garda (1-3 giugno) dedicato al mondo dei rosé. Il Patto è decisamente necessario per diffondere la cultura e la conoscenza di questi vini poco conosciuti all’estero e poco considerati in Italia, quasi non avessero una identità, ma fossero in mezzo, indecisi, tra i rossi e i bianchi. Una massa critica di 20 milioni di bottiglie a denominazione che permette di proporsi con una certa consistenza non solo numerica, ma anche “culturale” sui mercati esteri dove è boom per i consumi del nettare rosato. Non così in Italia dove pur se siamo, secondo le stime Oiv del 2016 e considerando il totale della produzione di rosati, il quarto Paese produttore. Nel Belpaese solo 6 bottiglie consumate su 100 sono di rosato, con tendenza in calo, e un bell’aiuto ci danno a berle tutti gli stranieri che affollano le coste del Lago di Garda e dei nostri mari. Al contrario in Francia, primo produttore, il rosé vale il 34%, ma crescono i consumi anche negli Usa (dove aumenta anche la produzione), in Germania, Gran Bretagna e l’interesse cresce in Canada e Sudafrica.
“Il Patto a cui abbiamo dato vita - ha esordito Alessandro Luzzago, presidente del Consorzio Valtènesi - ha un alto valore simbolico e fondativo: essere uniti sotto il segno della storicità e dell’utilizzo di uve autoctone è senza dubbio la strada vincente. Per Valtènesi l’adesione a questo gruppo è anche il frutto della prima vendemmia in cui tutti i produttori hanno lavorato uniti sotto un’unica denominazione e quindi della necessità di trovare un collocazione nel panorama mondiale dei rosé. E partiamo avvantaggiati dalla crescita continua di Italia in Rosa (www.italiainrosa.it), che è non più solo una rassegna di vini rosé, ma anche un importante momento di sintesi e riflessione come dimostrano gli incontri organizzati negli anni. In questa edizione, con la partecipazione di Elizabeth Gabay, l’unica Master of Wine esperta di vini rosati, abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare la voce autorevole di chi ci guarda da fuori e di confrontarci con alcuni vini rosé francesi non provenzali da lei selezionati. L’anno prossimo presenteremo i risultati della ricerca quinquennale sui nostri rosati della Valténesi, affidata al Centre du Rosè di Vidauban in Francia, con il fine di comprenderli a fondo e non certo per scimmiottare i rosé francesi”.
“In Italia abbiamo una grande tradizione storica, produciamo vino rosato, ma non riconosciamo in questo vino qualcosa di identitario del nostro mondo vinicolo - ha sottolineato Angelo Peretti, nella doppia veste di giornalista e direttore del Consorzio Vini Bardolino - così si spiega il nostro ultimo posto nella graduatoria dei consumatori nel mondo occidentale. Per questo dobbiamo inaugurare una nuova stagione nel segno di un vero e proprio “Orgoglio Rosé””.
E di ragioni per essere orgogliosi ce ne sono. Parola di Elizabeth Gabay. “In Italia ho trovato molti e stupefacenti vini rosati che vengono da esperienze precedenti a quelle dei rossi - ha raccontato la Master of Wine autrice del libro “Rosé: Understanding the pink wine revolution” - a testimonianza che storicità e tradizione dei rosati sono una realtà. Negli ultimi venti anni la Provenza ha costruito il successo dei suoi rosé dicendo che si producono lì da 2000 anni. E chi se non i Romani li produsse lì?”. E in effetti, come ha sottolineato a questo proposito Peretti, gli ultimi territori conquistati dai Romani furono proprio la Gallia Cisalpina, in cui ricade il Lago di Garda, e la Gallia Transalpina, che comprende la Provenza. E furono i Romani a introdurre il torchio e quindi era possibile produrre vini soltanto vini rosati visto lo scarso contatto con le bucce.
--IMG 1 --“I rosati - ha proseguito Gabay - pagano lo scotto della loro variabilità nel colore dovuta alle annate e alle tipologie di vinificazione e pure al mix di uve e vini bianchi e rossi. Colore su cui si focalizza la loro descrizione, mentre il gusto passa in secondo piano. La moda e le abitudini sono importanti anche per i vini. Se anni fa andavano i rossi molto corposi e importanti, attualmente non è più così. Oggi a dettare la tendenza per i rosati è la produzione della Provenza che trenta anni fa partendo da vini rustici di colore rosato carico si è orientata verso vini più chiari e più fini. Se fate una ricerca sui social circa i rosé troverete belle ragazze in bikini con bicchieri di vino rosa pallido, il colore di riferimento apprezzato dai mercati, quello statunitense soprattutto. Ma le mode non sono stabili e se oggi solo una piccola parte di consumatori rotea bicchieri dal colore più carico, non è detto che la cosa non cambi. Per questo è fondamentale mantenere la propria identità. Se l’attenzione è sullo stile provenzale il rischio è quello di vendere solo a prezzi chip. L’Italia è ricchissima di varietà autoctone e di tradizioni nelle diverse regioni e deve prima di tutto conoscere i propri rosati e poi promuoverli”. E con una certa sollecitudine visto che altri vini si fanno spazio. Su un mercato importante come quello della Gran Bretagna “il Pinot grigio Blush - ha avvertito la Gabay - è così presente da essere ritenuto il rosé italiano”.
Intanto in Italia i rosati sono classificati come rossi - anche la legislazione non li tiene in debita considerazione - dunque le uniche produzioni quantificabili sono quelle a denominazione. Il Lago di Garda è diventato il polo di produzione più importante con il Chiaretto di Bardolino - 11 milioni di bottiglie frutto di un progetto ad hoc per differenziare la produzione di rosato da quella del Bardolino rosso fin dal vigneto e con il varo di un disciplinare specifico - e il Valtènesi che di bottiglie ne fa 2 milioni. Poi il Cerasuolo d’Abruzzo con 6-7 milioni di bottiglie e intorno alle 500.000 ciascuno i due rosati pugliesi Castel del Monte e Salice Salentino.
“Possiamo conoscere i numeri delle doc - ha ricordato Carlo Alberto Panont, direttore del Consorio Valtènesi ed esperto di “architettura’ delle denominazioni” - ma non risalire a quelli degli altri rosati italiani. Così anche per le esportazioni non esistono dati certi e dobbiamo fare delle ipotesi. Per quanto riguarda i rosati doc, sulla sponda orientale del Lago di Garda l’export del Chiaretto di Bardolino è intorno al 60%. Per il Valténesi, sulla sponda occidentale, si può stimare che le aziende di dimensione superiore alle 100.000 bottiglie ne esportino il 30%. Le aziende più piccole non esportano granché, ma hanno una incidenza importante della vendita diretta in cantina proprio grazie agli stranieri che acquistano, ma ordinano anche quantitativi discreti”. Insomma una forma di “esportazione passiva” in crescita che orienta e cambia le scelte di alcune aziende, come Pasini San Giovanni che sta puntando con molta più decisione sulla vendita diretta anche in un’ottica più ampia di sostenibilità aziendale. Meno aerei, meno chilometri in macchina per conquistare posizioni di mercato si traducono anche in mancate emissioni di gas serra.
Le esportazioni dei rosati pugliesi, Castel del Monte e Salice Salentino, sono ad appannaggio di poche grandi aziende ma i numeri sono esigui (stimati intorno al 15%) come la produzione. “Per il Castel del Monte rosato negli anni 90 si era aperto un canale importante verso la Germania poi finito - ha dettagliato Sebastiano Spagnoletti Zeuli della Cantina Vignuolo di Andria (Bari). Per noi il bianco non esiste e i rosati, come i rossi, vengono consumati in loco”.
“Per quanto riguarda il Cerasuolo d’Abruzzo - ha spiegato Francesco Labbrozzi, presidente della Cantina Colle Moro di Guastameroli di Frisa (Chieti) - la proporzione tra l’export di Montepulciano d’Abruzzo e Cerasuolo è di 100 a 6, ma spesso mentre il rosso viene riordinato, il Cerasuolo no. Ed è sempre più forte la richiesta di rosati di colore rosa chiaro in particolare dagli Stati Uniti, tant’è che stiamo per lanciare una nuova etichetta da uve di Montepulciano e di un autoctono a bacca bianca. Dobbiamo agire su un doppio binario. Salvaguardare da un lato il nostro Cerasuolo, patrimonio storico garantito da qualche anno dalla Doc autonoma, e pragmaticamente fare dei rosati Igt e da tavola secondo quanto chiede il mercato”. Una esigenza che potrebbe essere accolta a breve con l’ingresso della tipologia rosato nel disciplinare della Doc Montepulciano d’Abruzzo.
La maggior parte degli “altri” rosati italiani, invece, prende la via dell’export in percentuali di gran lunga superiori e come sfuso che va in grandi quantità in Francia - che non è solo il primo produttore, ma anche il primo importatore di rosati - anche per affiancare la frutta nelle bevande a base di vino.
Italia in Rosa ha richiamato alcune migliaia di persone e ha fatto conoscere quest’anno oltre 220 etichette di 160 cantine, dalla Valtènesi al Garda, dalla Puglia all’Abruzzo, passando per Toscana, Calabria, Campania, Lombardia, Trentino Alto Adige con un tocco di Provenza. “Siamo soddisfatti - ha detto Luigi Alberti, presidente di “Italia in Rosa” - perché il nostro obbiettivo di proporre i rosati alle nuove generazioni all’insegna di una degustazione consapevole e di qualità è stato raggiunto a giudicare dalla presenza importante di giovani. Una dimostrazione di come l’enogastronomia diventi elemento sempre più importante e decisivo per un territorio come il Garda che convoglia ogni anno 28 milioni di presenze”.
Clementina Palese

Focus - I nostri migliori assaggi ad “Italia in Rosa”
Chiaretto di Bardolino Doc Eavent Shent 2017 Vigneti Villabella
Colore rosa pallido come ci si aspetta da un rosato che viene da uve Corvina (80%) e Rondinella (20%) povere di antociani. Naso elegante in cui prevalgono le note agrumate. In bocca è pieno e sapido, segno dei terreni delle colline moreniche ricchi dolomina e quindi di magnesio, e di bella acidità. Dopo la salivazione arriva il fruttino di bosco e nel finale la bocca si asciuga per il tannino. Medaglia d’oro al Mondial du Rosé 2018.

Valtènesi Chiaretto Doc 2017 Cantine Scolari
Colore rosa chiaro, da uve Groppello con Barbera Sangiovese e Marzemino. Al naso si avverte la nota di fragola che caratterizza il Groppello, ma anche il pompelmo rosa. In bocca pieno, con salinità e acidità importanti, come nel caso del Chiaretto di Bardolino grazie all’origine dei terreni. Il Groppello matura prima ed è meno tannico della Corvina e per questo il vini Valtènesi sono già godibili nel febbraio dopo la vendemmia. Vincitore del Trofeo Molmenti 2018 (per la seconda volta).

Castel del Monte Bombino Nero Docg Pungirosa 2017 Rivera
È l’unica Docg riconosciuta a un rosato. Il colore è rosa ciliegia chiara. Al naso prevalgono la rosa canina e la ciliegia. In bocca è morbido e strutturato, di bella acidità con un frutto importante. Persistente. Il Bombino (100%) è l’uva per eccellenza per il rosato: matura tardi e disformemente, dando un mix bilanciato tra aromi, colore e acidità.

Salice Salentino Negroamaro Rosato Doc Rosalbòre 2017 Cantine San Pancrazio
Color ciliegia come ci si aspetta dal Negroamaro (qui al 100%). Il naso è intenso di frutti rossi, lampone e ciliegia con sfumature di erbe aromatiche. In bocca pieno, si conferma la frutta matura e di bella acidità.

Cerasuolo d’Abruzzo Doc Baldovino 2017 Tenuta I Fauri
Colore rosso ciliegia, come deve essere il Cerasuolo da uve Montepulciano d’Abruzzo al 100%. Intenso al naso, dove il vitigno segna fortemente, con prevalenza di frutti rossi. In bocca i frutti, la ciliegia in particolare, si presentano croccanti. È stutturato e tannico.

Ronchi di Brescia Igp L’Aura 2017 Noventa
Di colore rosa pallido è prodotto a Botticino (Brescia) da Schiava Gentile al 100%, vitigno tradizionalmente coltivato in quest’area. Al naso risalta la fragolina. In bocca è fresco e caratterizzato da una sapidità particolare che gli deriva dai terreni di marnosi (calcare e argilla) su cui crescono le viti.

Salento Igp di Primitivo di Manduria Igp Tramari Rosé 2017 Cantine San Marzano
Da uve 100% Negroamaro ha colore rosa buccia di cipolla. Naso persistente di frutti rossi, ciliegia e melograno, con note aromatiche di macchia mediterranea che lo rendono particolarmente originale e interessante. In bocca fresco e sapido, è equilibrato ed elegante.

Murgia Primitivo Igp Est Rosa 2017 Agricole Pietraventosa
Da uve Primitivo (85%) e Aglianico (15%), ha colore rosa carico e un naso di frutta matura, anche di pera williams e albicocca. In bocca si presenta elegante, pieno e sapido.

Beaujolais Rosé Dominique Piron 2017 (Francia)
Da uve Gamay si presenta di colore rosa pallido. Al naso alla ciliegia si aggiungono note di mentuccia e in bocca esce una mineralità tipica della zona di produzione. Finale tannico.

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