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STUDIO MEDIOBANCA: IL 93% DELLE IMPRESE DEL VINO TRICOLORE È OTTIMISTA SUL 2012 GRAZIE ALL’EXPORT A LIVELLI PRE-CRISI. CANTINE RIUNITE-GIV PRIMA NELLA “TOP TEN” PER FATTURATO (500 MILIONI NEL 2011), LIVELLO OCCUPAZIONALE DEL SETTORE A +1,7%

Italia
Vino italiano in salute per Mediobanca

2012 nel segno dell’ottimismo nell’annuale indagine Mediobanca sul settore vinicolo: il 93% delle imprese sondate prevede di non subire un calo delle vendite; il 59% è ottimista, con aspettative di crescita superiori al 3%, mentre il restante 34% esprime attese stabili (variazione delle vendite compresa tra zero e +3%); il 3% ha aspettative leggermente ribassiste (variazione delle vendite compresa tra 0 e -3%), mentre solo il 4% prevede riduzioni delle vendite superiori al 3%. Positive anche le attese per l’export: oltre il 94% del campione lo prevede in crescita nel 2012, con il 55,7% che attende tassi di sviluppo superiori al 3. Particolarmente ottimiste le aziende spumantistiche del Bel Paese: il 94% si attende un 2012 in crescita e il 50% è particolarmente ottimista, contando su una crescita del fatturato oltre il 3%. Questo lo scenario, disegnato dallo studio Mediobanca, che ha riguardato 107 società di capitali italiane operanti nel settore vinicolo, considerando i risultati di bilancio del periodo 2006-2010 integrati con interviste alle imprese volte a valutare i consuntivi del 2011 e le attese per l’anno in corso.
Anche per Mediobanca, a “tirare la volata” del successo del made in Italy enoico è l’export. I primi consuntivi per l’esercizio 2011 indicano un aumento delle vendite del 9,2%, con incrementi importanti all’estero (+11,5%) e inferiori ma significativi in Italia (+7,1%). Nel 2011 le vendite all’estero superano del 15,6% il livello pre-crisi (2008), così come quelle domestiche seppure di appena il 3,8%. Il 93,6% delle aziende intervistate ha visto un incremento del fatturato che il 68% stima superiore al 5%. L’Unione Europea resta di gran lunga l’area più importante per l’export dei vini tricolore, assorbendo oltre la metà delle esportazioni del 2011, con una variazioni a valore del +13,8%. La seconda area di destinazione è costituita dal Nord America, ove è collocato il 33,4% dell’export, con una crescita a valori del 6,3%; nei restanti mercati, si distingue l’insieme Asia/Australia, in aumento del 19,9% rispetto al 2010 anche se su valori che rimangono relativamente limitati (il 4% dell’export complessivo).
La crescita segnata dalle vendite del 2011 consegna una “top 10” dei maggiori produttori capeggiata dal gruppo Cantine Riunite-Giv che tocca i 500 milioni di euro di fatturato (+11,4% sul 2010), seguito a buona distanza dalla Caviro a 247 milioni (+0,3% sul 2010). In terza posizione c’è la divisione vini della Campari che, con un giro d’affari di 185 milioni (+5,8% sul 2010), precede Marchesi Antinori a 153 milioni (+8,9%). Al quinto posto Cavit, il colosso della cooperazione trentina 151milioni (+11,3%), seguono Fratelli Martini 150 milioni di euro (+8,7%), Mezzacorona, l’altro gigante trentino, 148 milioni (+2,6%), Zonin 126 milioni (+19,3%), Giordano Vini 118 milioni (-4,3%), Enoitalia 95 milioni (+21,1%), al decimo posto Santa Margherita 91 milioni (+5,8%).
Anche grazie alla sostanziale salute del mondo del vino italiano, Mediobanca segnala una tendenza incoraggiante: aumentano le etichette rappresentative della produzione più qualificata (grandi vini, Docg, Doc), passate dal 44,5% del 1996 al 52,5% del 2012; il trend media tra la dinamica delle cantine sociali, che sono passate dal 39,1% al 52,5%, e quella delle aziende private che si sono mosse marginalmente, ma in direzione opposta (dal 54,4% al 52,2%), con una particolare dinamica contrastante per quanto riguarda le etichette Doc, la cui quota è caduta per le aziende private dal 39,6% al 30% Ed è cresciuta, per le cantine cooperative, dal 33,7% al 41,3%.
In Italia, il canale distributivo più importante resta quello della grande distribuzione organizzata (gdo) che assorbe il 42,8% della produzione ed interessa con maggiore intensità le società cooperative con il 55,9% sulle altre che si attestano al 38% (poco più della somma dei due altri canali horeca e enoteche); sui mercati esteri prevale la figura dell’intermediario esportatore (83,9%) la cui incidenza è più contenuta per le società cooperative (76%) che possono contare su una più estesa rete di proprietà (9,6%).
Buone news anche dal fronte occupazionale: secondo Mediobanca, il settore ha evidenziato un lieve incremento dei livelli occupazionali dal 2006 (+1,7%), a fronte di variazioni negative segnate dalle società del settore beverage (-2,5%) e dall’industria manifatturiera italiana (-5,1%), anche se l’ultimo anno accusa una lieve flessione (-0,5%).

Info: www.mbres.it

Focus - L’assetto proprietario delle aziende vitivinicole del bel Paese
Al controllo familiare è riconducibile una quota del 54,3% del patrimonio netto complessivo. Tale quota è quasi pariteticamente suddivisa tra controllo esercitato in modo diretto da persone fisiche (26,5%) e da persone giuridiche (27,8%). Ove si assimilino a tale forma proprietaria anche le cooperative, le quali raccolgono circa 25.500 soci che a loro volta hanno un carattere essenzialmente familiare, si aggiunge un’ulteriore quota del 19,4% che porta il totale del patrimonio netto controllato al 73,7%. Il restante 26,3% dei mezzi propri è riconducibile per il 17,5% a investitori finanziari (ed altre tipologie residuali) e per l’8,8% a società straniere (ivi comprese Ruffino e Gancia, cedute ad operatori stranieri a fine 2011). Alle famiglie in senso stretto sono riconducibili mezzi propri per 1,6 miliardi di euro (831 milioni in capo a persone fisiche e 790 a persone giuridiche), mentre le cantine cooperative controllano un netto patrimoniale di circa 580 milioni di euro. I soci esteri detengono un portafoglio con valore di libro pari a 262 milioni di euro, mente i principali soci finanziari sono così assortiti: banche ed assicurazioni 357 milioni di euro, fondi 53 milioni, fondazioni 55 milioni e trust con 49 milioni.

Focus - Le più importanti aziende vitivinicole del Bel Paese vincono la prova dei principali indicatori di performance economico-finanziaria
Dal recupero della redditività operativa tornata, dopo quattro anni di riduzione, ai livelli del 2007, con un margine operativo netto su fatturato al 5,6% nel 2010 dal 4,8% del 2009, alla ripresa, nel 2010, del risultato corrente che si è portato sopra i livelli del 2007 grazie all’ulteriore riduzione degli oneri finanziari netti (-21,4% sul 2009), a seguito della caduta dei tassi d’interesse in presenza di un ammontare di debiti finanziari sostanzialmente invariato (+0,6%). Questi alcuni dei passi decisamente prositivi delle più importanti aziende vitivinicole italiane che hanno riportato anche il rendimento del capitale complessivamente impiegato (Roi), dopo una prolungata flessione, a 5,4% nel 2010. Gli utili netti toccano 138 milioni, il massimo del periodo2006-2010, dopo i 124 milioni del 2006. Il Roe (return on equity) si attesta nel 2010 al 5,9% in crescita dal 3% del 2009. Infine, la struttura patrimoniale delle imprese vitivinicole resta decisamente solida con un rapporto tra debiti finanziari e capitale netto inferiore all’unità (82,5%), in miglioramento sul 2009 (85,6%), dopo che nel 2008 aveva toccato il proprio livello massimo (96,6%).

Focus - le Regioni italiane con le aziende vitivinicole a più alta redditività
Sono Toscana e Veneto le regioni con le società dal migliore profilo reddituale, secondo gli indicatori fondamentali di redditività Roi (return on investiment) e Roi (return on equity). Segnano, invece, un redditività netta aggregata negativa le società marchigiane, sicule e del Trentino. In Toscana, le aziende segnano margini industriali molto elevati (17,4% il Mon su fatturato), tali da consentire una redditività del capitale soddisfacente (Roi al 7,7%). La patrimonializzazione è adeguata e i debiti finanziari rappresentano il 32% del capitale investito (contro il 45% della media nazionale). Le aziende toscane segnano anche una forte proiezione internazionale, con l’export al 62,7% sopra il dato medio del 47,3%. Il rapporto tra costo del lavoro e valore aggiunto è, anch’esso, particolarmente favorevole (38,4%). Il migliore Roi regionale è tuttavia quello delle imprese venete (9,2%), favorite da un tasso di rotazione del capitale investito eccezionalmente elevato (156,2%). Toscana e Veneto coprono posizioni di vertice anche in termini di Roe, per entrambe pari all’11,2%. Hanno invece consuntivato risultati netti negativi le società delle Marche (con alta presenza di debiti, pari all’80% del capitale investito, e modesto profilo competitivo segnalato dal peggior rapporto tra costo del lavoro e valore aggiunto, insieme all’Emilia-Romagna), della Sicilia (la regione con il costo del lavoro più elevato) e del Trentino, ma sono relativamente poco brillanti anche le performance dell’Emilia-Romagna, ove prevale il modello cooperativo che porta, come già visto, ad una maggiore incidenza del debito finanziario (57,4% del capitale investito) e a margini industriali più modesti (1,4% il Mon su fatturato). Non particolarmente lusinghiero, infine, il profilo del Piemonte con margini modesti (Mon su fatturato al 2,9%) e bassa redditività dei mezzi propri (Roe all’1,4%).

Focus - La collocazione regionale della produzione vitivinicola italiana
Il 60% delle imprese produce in una sola regione, il 15% in due regioni ed il restante 25% circa in più di due regioni (di cui 4% anche all’estero) e le cooperative si caratterizzano per una produzione più concentrata, con oltre i due terzi focalizzati su una sola regione. Dal 1996 al 2012 è stato registrato un significativo aumento della diversificazione geografica: in particolare 21 produttori hanno acquisito 52 nuovi siti al di fuori della regione originaria. Nel 2011 vi sono state solo 2 nuove acquisizioni territoriali. Le regioni destinatarie di questa espansione sono state principalmente quelle centro-meridionali (in ordine di importanza: Sicilia, Toscana, Emilia, Puglia, Umbria, Abruzzo e Campania) oltre a Piemonte, Friuli e Lombardia.

Focus - L’indice mondiale delle società vinicole in borsa (dati dal 2001 al 14/03/2012)
L’indice mondiale Mediobanca delle società vinicole comprende 50 titoli, rappresentativi di 45 emittenti quotati nelle principali Borse mondiali. Si tratta di 8 società francesi, 7 cinesi, 5 australiane, 4 cilene, 4 spagnole, 3 nordamericane, 2 tedesche, 2 neozelandesi, 2 greche, 1 sudafricana, 1 inglese, 1 israeliana, 1 austriaca, 1 polacca, 1 bulgara, 1 argentina e 1 lituana. Rispetto all’edizione precedente si segnala la nuova quotazione dell’australiana Treasury Wine Estates (nata dalla scissione delle attività vinicole da parte di Foster’s Group) e l’ingresso dell’argentina Bodegas Esmeralda e della spagnola Bodegas Bilbainas; per contro è avvenuta l’uscita di tre società (Foster’s Group, Magnotta Winery e Indage Vintners). I tre maggiori gruppi quotati, la statunitense Constellation Brands, l’australiana Treasury Wine Estates e la cinese Yantai Changyu, determinano in buona misura l’andamento dell’indice con un peso aggregato pari al 60% della capitalizzazione complessiva. Tra le altre società, solo la sudafricana Distell e la cilena Vina Concha Y Toro segnano una capitalizzazione superiore al miliardo di euro (rispettivamente 1,6 e 1,3 miliardi). I quattro principali Paesi, Cina, Usa, Australia e Cile rappresentano, alla stessa data, il 76% della capitalizzazione complessiva, che si attesta a 18,9 miliardi di euro contro i 23,3 miliardi del 2011 (-19%). Il forte calo è pressoché interamente imputabile al delisting, nel dicembre 2011, dell’australiana Foster’s Group a seguito dell’acquisizione da parte della britannica SabMiller, tant’è che a perimetro omogeneo (escludendo quindi anche la Treasury Wine Estates in quanto quotata solo dal maggio 2011), il saldo si inverte (+7,7%). La variazione della capitalizzazione rispetto al marzo 2011 non è però stata uniforme tra le varie aree: in diminuzione di circa il 6% per Canada e Francia e dell’1,6% per la Spagna, con Usa e Cile a riportare i recuperi più marcati (+22% e + 7,7%). Con il delisting della Foster’s Group, le società vinicole cinesi ne fanno il paese più importante, con una capitalizzazione pari a 6,9 miliardi di euro (il 37% di quella complessiva); seguono il Nord America, l’Australia ed il Cile. Il livello dell’indice delle azioni delle società vinicole internazionali a marzo 2012 è pari a oltre il doppio di quello di inizio 2001. La variazione in termini relativi è invece pari al 108,3%, tenuto conto dell’andamento altalenante dell’indice generale dei prezzi di tutti i titoli quotati che è ora tornato a valori di poco inferiori a quelli del dicembre 2006. Le variazioni di prezzo più consistenti nel periodo gennaio 2001-dicembre 2011 sono state segnate dalle società cinesi, in progresso del 182% grazie alle ottime performance avviatesi nel 2006 (con la sola eccezione di rilievo registrata nel 2008 con un -51%) ed interrotte da contenute variazioni negative nel 2011 (-6,6%) e nel primo trimestre 2012 (-3,4%). Alle società cinesi spettano anche i due maggiori rialzi registrati tra le società del campione nell’intero periodo, con il +138% riportato nel 2006 e il +95% nel 2009. Seguono le imprese francesi, le nordamericane e le cilene, con un incremento rispetto al 2001, rispettivamente, del 130%, 115% e 113%. Le prime hanno segnato nel 2010 un deciso recupero (+41,4%) dopo i non soddisfacenti risultati del 2008 (-55,8%, la maggiore contrazione annuale rilevata nel campione sull’intero periodo di riferimento) e 2009. I più limitati rialzi rispetto al periodo iniziale sono quelli delle società spagnole (+40,3%) e delle australiane (+82,8%), con queste ultime però che si sono distinte nel 2011 per essere le uniche a chiudere l’anno con una variazione positiva (+17%).

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