Il 2018 del vino italiano? Sarà un anno senza certezze, e che comincia con più criticità rispetto agli anni passati - prima su tutte quel rally dell’euro che lo vede ai massimi sul dollaro da tre anni a questa parte - e nel quale al crescere della competitività dei Paesi concorrenti sul mercato più importante del vino italiano, gli Usa, si accompagna una sempre maggiore incertezza sul futuro del Regno Unito, con la Cina che rimane ancora al di là dal diventare quell’Eldorado di cui si è tanto parlato e il mercato interno che, però, continua a rafforzare i suoi segnali di ripresa. A dirlo, a colloquio con WineNews, le figure apicali di alcune delle aziende e dei gruppi vitivinicoli più importanti, per volumi e dimensioni, del Belpaese enoico, come Roberta Corrà (Giv - Gruppo Italiano Vini), Renzo Cotarella (ad Marchesi Antinori), Ettore Nicoletto (ad Gruppo Santa Margherita), Enrico Viglierchio (dg Castello Banfi) e Matteo Lunelli (presidente e ad Cantine Ferrari).
Per Corrà il 2018 sarà, senza mezzi termini, “un anno difficile e senza certezze”, e che oltretutto, a causa della situazione valutaria, “andrà guardato a vista”, a maggior ragione perché “il problema valutario l’abbiamo avuto anche negli ultimi mesi del 2017 nei mercati esteri principali, con il dollaro americano passato da 1,05 a 1,21 contro l’euro nel corso dell’anno, e il dollaro canadese mi ha fatto venire il mal di testa nel seguirlo, non aveva regolarità e non riuscivamo a identificare gli episodi che lo influenzavano, a parte la materia prima”: quindi, per Corrà occorrerà “andare a fare gli aggiustamenti più opportuni, con interventi che modifichino i margini ma che sono necessari per conservare i volumi”. Un problema sul quale anche Renzo Cotarella, ad Antinori, mantiene alta l’attenzione, perché “con il dollaro a 1,2 contro l’euro ci sono perdite di margini importanti negli Usa”, e oltretutto, come sottolineato da Ettore Nicoletto di Santa Margherita, nel primo mercato estero del vino tricolore “c’è una pressione competitiva in aumento: non c’è dubbio che particolarmente in Usa l’Italia sia cresciuta e abbia mantenuto una buona posizione competitiva, ma è un’evidenza il fatto che la Francia si sta rafforzando, e la vendemmia 2017 ha messo una pressione enorme ai prezzi delle uve e degli sfusi. Questo”, ha proseguito l’ad di Santa Margherita, “porterà sicuramente ripercussioni sui margini. Non riusciremo a trasferire i costi sui prezzi, ovviamente, e partiamo quindi con una grande incognita, perché non sappiamo se questi aumenti dei prezzi ci manterranno competitivi relativamente a Spagna, Francia, e “nuovo mondo”, e c’è anche un tema di competitività interna, perché ogni azienda fa le sue scelte sui prezzi: non si sa quale sarà l’aumento medio rispetto agli aumenti dei costi della materia prima, quindi le incognite sono tantissime”. Più ottimista, invece, è il parere di Enrico Viglierchio, dg Castello Banfi: per gli Stati Uniti “non è che ci siano cambiamenti radicali rispetto al passato. C’è una forte concorrenza, ma c’è sempre stata ed è un mercato finanziariamente sano, con un consumo in crescita. L’andamento delle tensioni sui mercati valutari”, ha ammesso, “può influire su previsioni e aspettative, però sicuramente è un mercato da presidiare. E’ prioritario per ogni azienda del vino italiano, ma è necessario anche investirci di più che in passato”. Il mercato valutario, inoltre, si fa sentire doppiamente nell’altro mercato prioritario per il vino tricolore, ovvero il Regno Unito, perché c’è il rischio concreto che l’apprezzarsi dell’euro si accompagni ad un progressivo indebolimento della sterlina, e questo creerebbe problemi particolarmente agli spumanti, come ha sottolineato Matteo Lunelli di Cantine Ferrari: “saranno due i fattori importanti nel 2018, ovvero l’andamento del cambio e quello del prezzo sul mercato del mondo del Prosecco. E’ importante che si continui a riposizionarsi alzando il prezzo finale”, ha spiegato, perché “è assurdo che salgano i prezzi delle uve e degli sfusi e che il prezzo sul mercato del vino rimanga bassissimo. Speriamo che il cambio non ci penalizzi”, ha auspicato, “perché se con Ferrari il trend è molto positivo sia in Uk che in Usa, e sono sicuro che continuerà anche l’anno prossimo, con Bisol stiamo crescendo molto forte negli States, ma la quota di mercato resta piccola, mentre nel Regno Unito Uk è molto grossa, quindi il cambio diventerà un fattore fondamentale” - a maggior ragione se si realizzasse lo scenario peggiore, ovvero l’uscita del Regno Unito dal mercato comune comunitario.
In questo contesto economico, pare quindi che non sia decisamente il momento di lanciarsi in avventurismi particolari oltre la Grande Muraglia: anche se il mercato è presidiato dai grandi player del nettare di Bacco tricolore, spesso anche con strutture proprie “che ci permettono di valutare il dinamismo del mercato cinese in maniera più diretta, e la sfida del 2018 sarà per noi di concentrarsi sulla formazione e sullo spiegare cosa significa fare vino di qualità italiano” (Corrà), “la distribuzione è complicata, ed è un mercato di dimensioni incredibili, si tratta di conoscerlo e di aspettare le condizioni propizie”, ha ammonito Cotarella. Insomma, come ha rimarcato Viglierchio, per la Cina “non c’è nulla di nuovo sotto il sole: se ne parla tutti gli anni, poi il dato finale di fatto è che le aspettative sono molto superiori alla realtà. Diventerà sicuramente un mercato importante, ma sono i tempi che vengono sempre sottovalutati”. Per rendere il vino un prodotto quotidiano oltremuraglia, sono necessari “cambiamenti non epocali ma quasi, che richiederanno tempi molto più lunghi di quelli che noi produttori ci aspettavamo, anche se negli ultimi anni il mercato cinese ha visto investimenti Ocm che non hanno portato frutti, o meglio, ci sono ma sono ancora acerbi. Io sono sempre stato convinto che la crescita passerà dal loro sviluppo interno di viticoltura ed enologia, un po’ come è successo anche negli Stati Uniti”. Ben diverso, invece, è per tutti i manager di questi marchi e gruppi il discorso relativo al mercato domestico, che continua a mostrare segni concreti di ripresa: “noi siamo fortunati”, ha sottolineato Corrà, perché “il mercato italiano per il Gruppo Italiano Vini è il primo mercato, e cresciamo bene da due anni sia in gdo che nel canale tradizionale, e continueremo con la nostra strategia di crescita che è uguale a quella che facciamo all’estero, ovvero continuare a insistere sulla formazione per spiegare la qualità dei nostri vini, perché è quello che ci permette di muoverci nel posizionamento e di affrontare qualsiasi anno”. Un mercato che anche per Marchesi Antinori “sta dando da due anni buone soddisfazioni, è quello che cresce di più: siamo già dimensionati abbastanza lì”, ha spiegato Cotarella, “e abbiamo una serie di vantaggi, come il turismo. Noi come azienda siamo da sempre organizzati in Italia con una struttura costosa ma performante, e in questo momento il mercato interno ha un potenziale non sfruttato appieno perché altre aziende hanno puntato oltreconfine, perché presupponeva l’avere meno struttura”. Un vantaggio, quello del turismo, sul quale concorda anche Viglierchio, che lo indica come uno dei fattori che ha alimentato “il consolidamento del mercato interno nel 2017 sul 2016: negli ultimi tre anni c’è stata una crescita anche qualitativa, con una forte ripresa di tutto l’horeca, alimentata anche dal turismo. Lo vediamo anche dalle nostre attività di ospitalità, sia per la fiducia dei consumatori che per il consumo vero e proprio, sono entrambi in una fase molto positiva”. Non del tutto positivo, invece, è il parere di Ettore Nicoletto: “sicuramente sul mercato interno c’è un’elevata concentrazione di business in mano a pochi player e rimane regionalizzato,. ma diciamo che un numero inferiore di aziende si concentra sull’Italia rispetto all’estero. Quello domestico è un mercato a mio avviso trascurato, e che si è rivitalizzato. Da quel poco che ho potuto vedere sul 2017 il nostro osservatorio è positivo”, ha sottolineato l’ad del Gruppo Santa Margherita, “mi pare in ripresa e questo è importante, però è costoso dal punto di vista del collocamento e della distribuzione: partire dalla cantina e arrivare sullo scaffale implica un costo della catena di collocamento molto oneroso. Vendere vino in Italia non è poi così remunerativo, mentre all’estero farlo implica un numero minore di intermediari”. Decisamente sereno, infine, è il parere di Matteo Lunelli, che parla di un “momento estremamente positivo; le bollicine vanno forte e i nostri marchi vanno benissimo. Non vedo invertirsi questa tendenza nel 2018, sperando che non succeda un pasticcio con le elezioni politiche, ma escludendo cambiamenti macroeconomici estremi sarà ancora bel tempo”. Addirittura, “con Ferrari forse non avremo di che soddisfare la domanda, abbiamo tutti i dati relativi alle bollicine positivi: sono un vino in linea con le abitudini di consumo attuali, ideali per un aperitivo, per gli stili di cibo prediletti oggi e così via. Guardando all’ultima stagione di vendite per i metodo classico, visto il successo, spero che si allenti anche la pressione promozionale. Con la crescita dei volumi degli ultimi anni siamo arrivati al massimo della capacità produttiva, quindi lavoreremo molto sulla qualità e sul posizionamento di mercato, privilegiando l’horeca, e anche per quanto riguarda Bisol, la sfida del Prosecco è sul prezzo, quindi ci muoveremo anche lì su quel versante. Probabilmente”, ha però concesso Lunelli, “per molti dei nostri vini ci saranno aumenti di prezzo a causa della vendemmia 2017 e della crescita della domanda”.
In ultima analisi, quindi, viste le condizioni macroeconomiche, non pare che il 2018 sarà un anno di esperimenti quanto di consolidamento: come ha sottolineato dal suo punto di vista Cotarella, “siamo un’azienda che non ha solo 26 generazioni, ma anche una struttura e modello di business consolidati, quindi si lascerà spazio a qualche innovazione, come sempre, ma ci sarà magari qualche vino diverso o nuovo. Non dimentichiamo che nel 2018 ci saranno le uscite sul mercato dei rossi del 2015, una grande annata sia in qualità che in quantità, ma anche dei bianchi del 2017, un’annata di scarsissima quantità. Le due cose si bilanceranno, e finiranno con l’impedire una grande crescita”. E sarà un 2018 di consolidamento anche per Santa Margherita, anche in virtù del fatto che il 2017 è stato l’anno delle acquisizioni di Ca’ Maiol, in Lugana, e della sarda Cantina Mesa: “il 2018 sarà un anno in cui occorrerà mantenere attenzione allo sviluppo dei marchi, e andremo a integrare queste realtà nella nostra piattaforma commerciale. Prediligeremo il consolidamento”, ha dichiarato Nicoletto, “ma faremo attenzione allo sviluppo sia sul piano dell’espansione in nuovi territori in Italia che sull’esplorazione di modelli distributivi innovativi in mercati emergenti come la Cina”. Di un anno “di normale evoluzione” parla infine anche Viglierchio, “di consolidamento di progetti già sviluppati negli anni passati. Ci sono progetti, ma entreranno in gestazione quest’anno, quindi li vedremo in gioco a partire dal 2019 e 2020”.
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