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“ENOTURISMO 4.0”

Turismo del vino, fenomeno grande grazie alle piccole cantine, per le quali vale il 7% del fatturato

La Ministra Daniela Santanchè, a WineNews: “il settore è sempre più importante, per destagionalizzare i flussi turistici e per l’occupazione”

Un fenomeno grande, e un comparto che si sta consacrando strategico per tutto il turismo italiano, grazie soprattutto alle piccole cantine con accoglienza famigliare (il 39%, a fronte di un 14% con rilevanza storica, architettonica o artistica; il 12% con brand famoso/marchio storico; e l’11% che ha una rilevanza paesaggistica o naturalistica, è organizzato per l’incoming o dotato di un’offerta innovativa), e che già adesso registrano 15 milioni di accessi ogni anno e ricavano sul fronte enoturistico mediamente il 7% del loro business enoico, che per il 46% non supera i 500.000 euro di fatturato annuo, e nel quale il vero introito resta la vendita diretta (6-14%). Cantine che mediamente hanno 15 dipendenti di cui 3 coinvolti con la wine hospitality, servizio affidato, nel 73% dei casi, a una donna mentre la direzione aziendale è prevalentemente maschile (55%). Ma il maggiore problema, delle piccole come delle grandi cantine, dal Nord al Sud d’Italia, è il bisogno di personale formato, con la difficoltà a trovarlo che aumenta esponenzialmente. È la fotografia del turismo del vino in Italia scattata da “Enoturismo 4.0 - Osservatorio Enoturismo: Evoluzione del digitale”, manuale sul settore di Dario Stefàno e Donatella Cinelli Colombini con un’ampia e documentata analisi delle destinazioni del vino italiane, cioè città e cantine, indagate da Nomisma Wine Monitor - su un partecipato campione di 145 comuni e 265 imprese - presentato, oggi, a Roma, al Senato della Repubblica, a Palazzo Giustiniani, con il saluto del Presidente del Senato Ignazio La Russa e la Ministra del Turismo Daniela Santanch. Che, intervistata da WineNews, ha ribadito come “vino e gastronomia sono fondamentali per l’immagine dell’Italia, e per destagionalizzare il turismo e per l’occupazione”.
Secondo l’analisi, le cantine italiane accelerano nella creazione di esperienze, ma con 3 problemi: lontananza di flussi (32%), scarsità di contatti e poco personale (74%). Sono ancora molto rari gli hub enoturistici che invece cominciano ad essere determinanti, come i musei esperienziali o le cantine con straordinari elementi storici e monumentali. Anche in punti vendita e sale da degustazione permangono problemi come ripetitività delle proposte che nel 96% dei casi declinano la visita guidata ai locali di produzione con piccola degustazione finale. Così come permane il problema dell’accessibilità nei festivi e nei weekend, con metà delle cantine chiuse e l’11% delle prenotazioni che cade nel vuoto. Il 75% delle cantine sono, infatti, aperte dal lunedì al venerdì, mentre il sabato le percentuali scendono: 57% mattina e 43% il pomeriggio. Anche la domenica e nei festivi, metà delle cantine sono chiuse. Tuttavia aumentano i prezzi delle attività proposte, comprese le esperienze premium oltre i 100 euro a persona, ma che generano un reddito ancora marginale rispetto alla vendita diretta del vino che è pari al 6-14% dell’intero business enologico ed è il vero introito enoturistico.
Le donne che lavorano nelle cantine sono più vicine alla parità di salari e carriera rispetto a quelle degli altri comparti economici perché presidiano i settori nuovi del vino: commerciale (51%), marketing e comunicazione (80%) infine enoturismo (76%). Viceversa in vigna e in cantina sono minoritarie (14%), ma hanno un peso sempre maggiore nelle decisioni di acquisto e di visita nelle cantine. Anche tra i turisti del vino e soprattutto tra chi prenota online la visita (66%) sono la maggioranza. Nel complesso la crescita del ruolo femminile è un elemento tonico per il vino italiano e in generale per tutta l’agricoltura dove il 28% delle imprese ha una titolare donna, e si mostran, oltre che più remunerativa (il 21% di superficie rurale da loro gestita produce il 28% del Pil agricolo), anche espressione di un nuovo modello di impresa più rispettosa dell’ambiente, internazionalizzata, orientata sulla qualità e sulla diversificazione produttiva.
Il 99% delle cantine intervistate ha il sito web, ma il numero di accessi mensili supera i 1.000 al mese solo nel 34% dei casi. Il 49% informa i propri followers sulle novità almeno una volta al mese. Se la presenza di un blog (24%) o di una newsletter (48%) è scarsa la presenza nei social è invece plebiscitaria (99%). Su Facebook la media dei follower è di 8.585 mentre si dimezza in Instagram e cala ancora molto in Linkedin e Twitter. Questi sono gli elementi più critici per le cantine che intendono aprirsi all’e-commerce. Infatti se i canali social riescono a tenere vivo il rapporto con una parte dei propri visitatori non bastano, alle imprese, per fare un vero business online con la vendita delle bottiglie. I numeri sono troppo piccoli in rapporto ai flussi enoturistici che potrebbero generare i contatti. Non si tratta di un problema da poco, perché la voglia di vendere il proprio vino online cresce. Pochissime imprese del vino del Nord Est hanno il carrello, mentre il 63% di quelle del Centro e il 58% di quelle del Sud e delle Isole sono dotate di un e-commerce. L’indagine descrive la necessità di una parte delle cantine di sostenere un effort aggiuntivo per attrarre gli enoturisti sul territorio: il 32% non è nella direttrice di flussi turistici o enoturistici per cui non può intercettare visitatori che passano nelle vicinanze, ma deve fare azioni per richiamarli. Solo il 24% è dislocato dove ci sono enoturisti, mentre il 44% gode della presenza di flussi che, forse non sono interessati al vino, ma costituiscono comunque un bacino di utenza interessate.
Le cantine italiane, dopo il 2015, hanno molto aumentato, diversificato e strutturato le offerte accessorie a quella “basic” costituita della visita guidata dell’impianto produttivo conclusa con la degustazione dei vini in vendita che è ormai presente nel 96% delle cantine. In particolare, le 8 principali proposte enoturistiche sono: 1) benessere e relax: il 64% delle cantine ha un’area verde per il relax, ma c’è anche chi ha strutture per il benessere naturale come massaggi e vinoterapia; 2) divertimento: prevalgono le attività di intrattenimento per adulti (64%) e gli eventi ludici (17%), scarse le animazioni per bambini (6%); 3) somministrazione pasti: il 72% è in grado di accompagnare i propri vini con dei cibi anche se la ristorazione vera e propria è presente solo nel 26% dei casi, e oltre la metà ha un’area esterna attrezzata e pranzare con il vignaiolo è possibile nel 37% delle cantine; 4) cultura: quasi la metà delle imprese propone ai visitatori di andare a eventi o attrattive culturali nei dintorni, il 43% organizza mostre, concerti o eventi culturali e il 38% propone visite guidate di tipo storico o artistico, e un 20% ha una propria infrastruttura museale o didattica; 5) sport: c’è chi ha creato itinerari di trekking (44%), in bici (35%), o a cavallo (13%), chi fa jogging in vigna (18%) e chi ha la piscina (14%); 6) offerta esperienziale e didattica: in questa sezione sono comprese tutte quelle attività che, patendo dal vino, diventano qualcosa di più strutturato come gli eventi organizzati dal 77% delle imprese, le degustazioni didattiche (70%), gli appuntamenti a tema (65%), le passeggiate naturalistiche (36%), i corsi di cucina (36%) e i wine wedding (34%), con incrementi superiori al 30% dopo il 2015; 7) ricettività: una crescita c’è ma non così enorme, con le imprese che offrono pernottamento che sono il 32%, le piazzole per camper il 28%, mentre le proposte a tema vino il 23%; 8) offerta tradizionale: la visita guidata con degustazione finale, che è presente quasi ovunque, affiancata da degustazioni a tema (78%) e didattica in vigna (73%).
Il terzo e maggiore problema delle cantine è il bisogno di personale crescente, con la difficoltà a trovarlo percepita dal 74% con particolare gravità in Veneto (92%), Sicilia (89%), Friuli Venezia Giulia (83%), Puglia (83%), Piemonte (80%) e Umbria (75%). In particolare le figure professionali più cercate nelle cantine turistiche italiane sono: personale multi lingue (98%), già presente nel 90% delle cantine; guide per degustazioni o visite in cantina e vigneto (97%), già presenti nel 91%; sommelier (85%), già presenti nel 69%; tecnico agronomo (79%), già presenti nel 67%; e chef (65%), già presenti nel 34%. Le questioni cruciali riguardano le competenze richieste per la wine hospitaliaty, elementi che, volendo guardare lontano, definiscono anche il profilo professionale degli addetti e le materie da insegnare nella loro formazione. Tuttavia la necessità di lavorare nei giorni festivi è sicuramente il maggior ostacolo a trovare addetti da assumere. La difficoltà di reperimenti di personale formato è particolarmente grave nel Nord Est, mentre al Sud manca il personale poliglotta, ma in generale le caratteristiche più difficile da trovare sono: conoscenza delle lingue estere (98%), disponibilità a lavorare nel weekend (94%), competenze sul vino e la vigna (94%), tecnica di vendita (92%); competenze in comunicazione digitale e social media (93%); competenze sui prodotti tipici del territorio (93%); competenze in marketing enoturistico (92%); e competenze sulle normative fiscali e legali (63%). Tanto che un crescente numero di imprese (65%) investe nelle competenze interne al fine di accrescere le performance dei servizi di wine hospitality.
“Le cantine, anche quelle di più piccole dimensioni, hanno accelerato negli ultimi anni il percorso di ampliamento di esperienze enoturistiche offerte, spaziando dalla ristorazione alla ricettività, mettendo al centro la natura e il benessere con spirito imprenditoriale - hanno sottolineato Denis Pantini, Responsabile Agrifood, e Roberta Gabrielli, Head of Marketing e Business Processes di Nomisma-Wine Monitor - ma la sfida per le associazioni, le amministrazioni e le cantine è accrescere lo sviluppo di competenze, da quelle tecniche a quelle relazionali e di customer care, per avere un enoturista che sceglie di tornare e di consigliare l’esperienza vissuta”.
Analisi e numeri che, a partire dal manuale “Enoturismo 4.0”, realizzato con il contributo di Le Donne del Vino, Movimento Turismo del Vino, Città del Vino, Nomisma Wine Monitor (Agra Editrice, pp. 211, prezzo di copertina 25 euro), “vogliono essere un richiamo affinché legislatore e governo colgano e, possibilmente, anticipino input e tendenze che caratterizzano questa peculiare declinazione del turismo esperienziale”, ha spiegato l’onorevole Dario Stefàno, nella presentazione moderata dal giornalista e conduttore Rai, Massimiliano Ossini. Ma, ha detto il presidente Assoenologi, Riccardo Cotarella, “il problema dell’Italia è che non facciamo sistema e questo crea problemi di comunicazione sul vino a livello internazionale. L’enoturismo non è solo economia ma divulgazione: chi viene nelle nostre aziende, diventa un nostro ambasciatore in tutto il mondo”. “L’enoturismo è un comparto strategico per tutti. L’Italia è un museo del vino a cielo aperto. Siamo un modello reale di diversità del vino, che è possibile comunicare e trasmettere agli appassionati solo accogliendoli nei luoghi”, ha sottolineato, in videomessaggio, il presidente Oiv - Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, Luigi Moio. “La mia parte del libro contiene le “istruzioni per l’uso” delle novità emerse dalle indagini - ha spiegato la produttrice Donatella Cinelli Colombini - insegna, ad esempio, cosa sono i winery club e come mai in Usa funzionano e da noi no, perché le cantine devono usare più tecnologia nel rapporto con i visitatori e smettere di proporre esperienze del vino fotocopia”.
Una parte dello studio riguarda le professioniste del settore, che nelle cantine dominano, anche in termini di progressioni di carriera, il comparto più vicino ai consumatori cioè commerciale, enoturismo, comunicazione e marketing. E dalle quali, ha ribadito la presidente de Le Donne del Vino, Daniela Mastroberardino, arriva la richiesta affinché “la materia vino entri a pieno titolo nella didattica italiana, per formare una nuova generazione di futuri responsabili delle sale dei ristoranti così come di futuri manager di uffici turistici, agenzie di viaggio o alberghi che conoscono le nozioni base sul vino e sui territori del vino”. E che siano in grado di “valorizzare il vino e il territorio attraverso un turismo sostenibile e responsabile, ponendo enfasi sulla qualità dell’esperienza offerta ai visitatori in cantina”, secondo il presidente del Movimento Turismo del Vino, Nicola D’Auria. “Per i 145 sindaci intervistati essere Città del Vino significa promuovere e valorizzare al meglio il vino e la sua cultura, essere all’interno di una rete, di un progetto condiviso per poter creare strategie di marketing turistico”, ha ricordato il presidente Città del Vino, Angelo Radica.

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