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Valpolicella, tutti lo auspicano, ma non si ricuce la rottura tra Consorzio della Valpolicella e Famiglie dell’Amarone d’Arte: il 3 febbraio tutti in tribunale a Venezia per l’udienza sull’utilizzo della parola “Amarone” da parte delle Famiglie

Italia
Scontro Famiglie dell’Amarone d’Arte e Consorzio dei Vini della Valpolicella: il 3 febbraio, in Tribunale, a Venezia, per uso termine Amarone (in foto, il francobollo delle Poste Italiane)

Se da un lato il territorio della Valpolicella vive un momento decisamente florido, grazie soprattutto al successo internazionale dell’Amarone, dall’altro non sembra ricucirsi la spaccatura tra il Consorzio dei Vini della Valpolicella (che, con 1.800 aziende iscritte rappresenta oltre il 70% della produzione complessiva di vino del territorio, 60 milioni di bottiglie, di cui 12-13 di solo Amarone, www.consorziovalpolicella.it) e le Famiglie dell’Amarone d’Arte, associazione che mette insieme 12 aziende storiche della produzione del grande vino rosso del Veneto, con molti tra i marchi più importanti (Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi Agricola, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Venturini e Zenato, che mettono insieme quasi 2,5 milioni di bottiglie di Amarone ed un fatturato complessivo sui 160-170 milioni di euro, l’80% realizzato all’estero, www.amaronefamilies.it).
Uno scontro che, dopo anni di querelle più o meno aspre su molti aspetti, dai confini della zona di produzione tra valli e colline, agli strumenti di gestione dei volumi produttivi come la riduzione delle rese per ettaro, per esempio, nei mesi scorsi, è arrivato in tribunale, con una udienza che, dopo il primo rinvio di metà dicembre 2015, ora è fissata per il 3 febbraio 2016 (al Tribunale delle Imprese di Venezia), pochi giorni dopo “Anteprima Amarone 2012”, di scena il 30-31 gennaio a Verona, promossa dal Consorzio.
Il motivo del contendere è l’opposizione del Consorzio stesso al tentativo delle Famiglie, di cui è presidente Marilisa Allegrini, di registrare il marchio in sede Ue, all’Uami (Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno, http://oami.europa.eu), ma anche all’utilizzo “tout court” delle parola “Amarone” stessa da parte della Famiglie.
“È evidente che sia un uso irregolare, nel disciplinare della Dop è scritto chiaro e tondo che è vietato qualsiasi termine laudativo accostato ad Amarone, e c’è anche un parere del Ministero delle Politiche Agricole che ci dà ragione - aveva commentato, a suo tempo, Cristian Marchesini, presidente del Consorzio della Valpolicella, che, oggi a WineNews, aggiunge - non saremmo mai voluti arrivare a questo, ma le regole vanno rispettate”.
Ovviamente è auspicabile, per Marchesini, una ricucitura di questo strappo, ma la rinuncia al termine “Amarone” da parte delle Famiglie è condizione essenziale: “devono ben capire che le regole valgono per tutti, noi non possiamo permettere che esista un Amarone che per qualcuno è quello “d’arte”, e uno che non lo è. E poi, per fare degli esempi, in altri territori importanti non esistono “i fratelli del Bordeaux” o “i cugini dello Champagne” - dice il presidente, che sottolinea - non vedo perché potrebbero esistere da noi. Io sono convinto che, in realtà, la rottura sia una questione meramente commerciale, le Famiglie pensano che il nemico sia il Consorzio ma è una visione sbagliatissima. Anzi, il Consorzio è aperto, le Famiglie vengano, tornino, si associno, si candidino pure alla guida e per il Consiglio di Amministrazione, perché è quello il luogo dove si discutono idee e punti di vista diversi”.
“Una ricucitura sarebbe certamente auspicabile - dice anche Stefano Cesari della cantina Brigaldara e vice presidente delle Famiglie - ma, nei fatti, per noi c’è uno scontro tra chi vuol privilegiare una politica di qualità, come noi, e chi vuole fare una politica solo di numeri. Da tempo noi dicevamo che eravamo sui 12-13 milioni di bottiglie Amarone della Vapolicella, ed il Consorzio negava: ora con la vendemmia 2015 credo che arriveremo sui 20 milioni, e la cosa ci lascia perplessi, perché l’espansione della produzione è stata tutta in pianura ed in altissima collina, e non nelle zone più vocate. Io sono stato anche presidente del Consorzio, come altri membri delle Famiglie, e credo che in quelle gestioni abbiamo dato qualcosa di importante al territorio. Uscire dal Consorzio, o esserne di fatto estromessi, è stato doloroso e difficile, per me come per altri. Ma finché il Consorzio sarà guidato dalle cantine sociali e dalle loro logiche, è difficile ritrovare un dialogo”.

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