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VINITALY 2008. VINI TERRITORIALI E VITIGNI AUTOCTONI: UNA SFIDA GLOBALE DEL VINO MADE IN ITALY. GIANNI ZONIN: “SUPER EURO E CALO DEI CONSUMI INTERNI. I PERICOLI MAGGIORI PER LE NOSTRE CANTINE”

Si alza il sipario sull’edizione numero 42 del Vinitaly. Con un rumore di sottofondo che contrasta con gli squilli di tromba per gli innegabili successi del vino italiano soprattutto sui mercati esteri. E’ lo stridore dei freni. I consumi interni sono in brusco rallentamento, la competizione internazionale si sta facendo sempre più serrata.
“Sì - commenta Gianni Zonin presidente del più importante gruppo vitivinicolo privato italiano - penso anch’io che gli altri non staranno a guardare. E metterei da parte certi facili ottimismi, certe euforie. E’ vero: il vino ha conosciuto giorni peggiori di questi, ma ora stiamo vivendo una stagione molto delicata. Siamo all’apice della curva e in queste situazioni o siamo in grado di rilanciare o rischiamo di imboccare una pericolosa discesa”.
Zonin quali sono i punti di possibile crisi da affrontare subito?
“Più che di punti di possibile crisi parlerei di aree d’intervento. La prima è quella di far acquisire alle nostre aziende vitivinicole dimensioni più competitive rispetto al mercato globale. La seconda è quella di rilanciare l’immagine del vino e di fare un’azione di sistema per la promo-commercializzazione del vino italiano, la terza è vedere come impatta la nuova Ocm vino sul settore e sottoporre a verifica tutto l’impianto normativo che regola in Europa ed in Italia la produzione vinicola. A queste tre aree d’intervento si assomma il problema niente affatto secondario di vedere come reagiranno i mercati, e i nostri concorrenti, al cosiddetto super-Euro. Mi pare stia tornando di stretta attualità quello che da sempre è un comandamento della Zonin: la massima qualità al giusto prezzo. Infine ci sono altre due questioni che devono essere affrontate in maniera radicale: il calo dei consumi interni e la distorsione d’immagine che c’è stata sul vino. Vedo che ci si preoccupa ancora moltissimo di discettare sui bouquet, sui premi, sui riconoscimenti. Intendiamoci: tutti elementi fondamentali. Ma forse un po’ più di attenzione a come si è comunicato il “rischio vino” non guasterebbe. Così come sarà il caso che cominciamo ad interrogarsi sul drastico calo di domanda che c’è in Italia. Che piaccia o no per noi quello interno resta il primo mercato”.
Zonin domanda secca per una risposta incisiva: ma la crisi del vino c’è o no?
“Mettiamola così. Sui mercati internazionali siamo cresciuti e dunque abbiamo vissuto una fase espansiva che soprattutto in Germania, in Russia, probabilmente in estremo oriente continuerà. Negli Usa siamo andati sin qui fortissimo, ma ora c’è l’incognita del dollaro. Le aziende si troveranno con tutta probabilità di fronte ad un bivio: o contrarre i margini o perdere quote di mercato. A livello mondiale l’incremento di consumo quasi pareggia l’incremento di produzione. Ma sul mercato italiano la musica è davvero tutta un’altra. Il settore alcoli, vino compreso, è stato il più penalizzato. Si parla di quasi un meno 7% su base annua. L’inflazione, il ridotto potere di acquisto, fanno diventare gli italiani sempre più selettivi nella loro spesa. E’ vero che i consumi alimentari sono per certi versi incomprimibili, ma è anche vero che all’interno di quel paniere il consumatore fa delle scelte. Basta chiedere ai ristoranti per sapere come va. A questo si aggiunga che è stato fatto del terrorismo sul vino. Le campagne anti-alcol non ha fato alcuna distinzione. Il vino invece fa parte della nostra cultura, è parte della nostra identità. Con le cosiddette stragi del sabato sera non c’entra nulla. Sappiamo anche che bevuto con moderazione fa bene. Ma tutto questo è stato cancellato. Si è gettata un’ombra di sospetto sul vino che non fa certo bene al mercato. Quindi non c’è una crisi conclamata ma ci sono tutti i sintomi. Anche perché vedo che il numero di aziende piccole e piccolissime in vendita è in tumultuosa crescita. Qualcosa vorrà pur dire”.
Primo pericolo dunque il super-Euro. E’ così?
“Sì e per due motivi: il primo è che siamo più esposti alla concorrenza internazionale. Non credo che americani e australiani staranno a guardare anche se per fortuna l’evolversi della cultura del vino ci dà una mano, ci offre un ombrello. Il secondo motivo è che anche i mercati dell’area Euro, soprattutto sulle fasce basse di consumo, diventeranno permeabili alle produzioni del “Nuovo Mondo”. Oggi a prezzi costanti australiani, neozelandesi, cileni e americani hanno un vantaggio di dumping monetario nell’ordine del 25%. Diventa fondamentale battersi sul terreno della qualità e della riconoscibilità dei nostri vini. Perché temo che sul fronte prezzi avremo delle sorprese poco piacevoli. Poi c’è da considerare che mentre il Dollaro è l’espressione di una politica economica, l’Euro è solo una moneta. Voglio dire che gli americani per superare la crisi dei mutui subprime immettono liquidità per sostenere la loro economia. Noi europei invece abbiamo una moneta che è espressione di venti economie differenti e la Bce fa solo politica monetaria. Che non necessariamente è ciò che serve all’economia reale. Quindi è illusorio aspettarsi politiche sui tassi o sul circolante tese a sostenere il ciclo economico. Alla Bce interessa tenere sotto controllo i fattori monetari”.
Secondo pericolo: le dimensioni aziendali, ma anche una mancanza di sistema-vino?
“Assolutamente sì. Si guardi la Francia, la Spagna senza scomodare i soliti americani o australiani. Lì ci sono aziende capaci di fare gradi volumi (che significano anche economie di scala) mentre da noi ci sono una miriade di microaziende. Intendiamoci in Italia questo è un limite di tutta l’agricoltura non solo del comparto vino. Solo la cooperazione sta portando avanti azioni di aggregazione. Credo che questa debolezza la pagheremo. Anche perché andiamo in ordine sparso. Sono curioso di vedere cosa succederà con la nuova OCM vino e con gli incentivi all’estirpo. Forse quando c’era la distillazione obbligatoria delle eccedenze era più semplice. In caso di ripresa improvvisa della domanda se estirperemo saremo ancora più vulnerabili all’importazione. E infine per misurare la precarietà del nostro sistema vino basterà attendere l’esplosione del caso Prosecco”.
Quale caso Prosecco, Zonin?
“Quello che in molti stanno sottovalutando e rispetto al quale mi permetto di avanzare una mia proposta. Rischiamo seriamente dopo aver perduto il Tocai di perdere anche la denominazione Prosecco. E per la vitienologia del Nord-Est sarebbe la seconda mazzata. E’ di tutta evidenza che se continuiamo a chiamare il Prosecco riferendoci al vitigno non possiamo difendere il nome in sede internazionale. Esiste un paese Prosecco dove peraltro è attestata da secoli la coltura del vino Prosecco. A mio modo di vedere bisogna fare subito una Doc Prosecco agganciata al territorio di Prosecco e che comprenda come area il Veneto e il Friuli e poi riservare alla zona Conegliano-Valdobbiadene la Docg Prosecco. E’ un vino che sta diventando nel mondo il cugino dello Champagne, in Germania è più forte dei Cava spagnoli. Non possiamo perderlo permettendo a tutto il mondo di produrlo”.
Elementi positivi tuttavia emergono. L’export è andato bene. Ci sono dei punti di forza del vino italiano. Ne individua almeno tre?
“Il punto di forza più importante, anche in prospettiva, è che stanno entrando in crisi i cosiddetti vini varietali. Era peraltro scontato che accadesse. Appena i consumatori dei paesi di più recente cultura del vino hanno imparato a bere non si accontentano più di un generico Merlot, o Cabernet o Syrah peraltro sempre uguali e riconoscibili solo dall’etichetta. Desiderano qualcosa d’altro, ma soprattutto imparano a degustare mangiando e non possono sopportare troppo a lungo vini che sovrastano il cibo. Ecco l’Italia ha negli autoctoni, nei vini di territorio, nella sua straordinaria biodiversità un atout eccezionale da giocare. E’ peraltro la strategia, anzi “il credo” al quale mi sono attenuto per le tenute della famiglia Zonin dai primi anni settanta ad oggi. Il secondo dato positivo è il prezzo - e non sembri una contraddizione rispetto a quanto ho affermato prima - sulla fascia alta di gamma. Lì nel rapporto prezzo/qualità e rispetto a tutti i mercati siamo ancora fortemente competitivi. Il terzo elemento è il positivo trascinamento che del vino italiano sta facendo all’estero la cucina italiana. Se tutti questi elementi fossero accompagnati da dimensioni aziendali più ampie, da una promo-commercializzazione (e ci metto anche la distribuzione) di sistema e da un’immagine più positiva dell’Italia allora le mie previsioni sarebbero meno caute”.
Veniamo alla Zonin. Pare che lei designando i punti di forza del vino italiano abbia fatto un ritratto delle tenute della sua famiglia. E’ cosi?
“Devo dire che per noi il 2007 è stato un anno molto positivo. E’ cresciuto l’export abbiamo tenuto bene in Italia grazie anche all’esplosione della Maremma, al ritorno dei bianchi dove con il Fiano di Puglia stiamo andando benissimo, alla felice domanda di vini siciliani ed in particolare del Nero d’Avola. Ma anche vini come “Primo Amore” che si avvantaggia di una buona campagna pubblicitaria che per il terzo anno vedrà come testimonial mio figlio Francesco ci danno soddisfazione. Il punto è proprio questo. Ho puntato tutto sulla territorialità, sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni - e penso al Refosco dal Peduncolo Rosso in Friuli di cui Ca’ Bolani è di gran lunga il più importante produttore, e guardo al Vermentino e al Sangiovese di Maremma di Rocca di Montemassi, e ho in mente la Bonarda de il Bosco in Oltrepò Pavese e sostengo l’intuizione del Fiano, del Primitivo e del Negroamaro in Puglia con Masseria Altemura - e i fatti mi stanno dando ragione. Oggi la Zonin e le tenute della nostra famiglia sono il più consistente presidio di produzione di vini territoriali e di valorizzazione dei vitigni autoctoni. Ho cominciato con il Friuli e con il Chianti a Castello d’Albola. Vedo che l’Oltrepò sta crescendo, vedo che il Piemonte con il Castello del Poggio può dare con Barbera e Dolcetto grandi soddisfazioni. E poi abbiamo la produzione importante di bianchi friulani e una possibile espansione del Prosecco e degli altri vini mossi che piacciono sempre di più ai giovani. Questo è il primo dato saliente. Il secondo dato è che avendo acquisito dimensioni consistenti dialoghiamo meglio con la distribuzione e soprattutto con la grande distribuzione che in Italia, come all’estero, è diventato il principale canale di acquisto dei vini. Il terzo elemento è quello che da sempre è la mission della Zonin: far bere bene al giusto prezzo. Il quarto elemento è l’aver rafforzato le leve di marketing. Questa campagna di sostegno di Primo Amore è la dimostrazione che il marketing relazionale è vincente. Mio figlio come testimonial significa che quel vino è garantito Zonin, che è un elemento di successo, che è un prodotto emulativo, fa cluster rispetto al pubblico giovane. E’ forse il solo modo che abbiamo di contrastare la demonizzazione del vino che è stata fatta. A cappello di tutto questo c’è, come primo valore assoluto, la ricerca costante della qualità. Quest’anno compiamo dieci anni di collaborazione con il dottor Franco Giacosa che è il nostro direttore tecnico e che è capo di uno staff che tra agronomi ed enologi conta 35 professionisti di altissimo valore. L’arrivo di Giacosa ci ha consentito di migliorare la qualità in assoluto, ma di rendere efficiente ed efficace la qualità. E’ la dimostrazione che anche nel vino ci vuole innovazione”.
E le prospettive nell’immediato di Zonin quali sono? Ci sarà nuova espansione?
“Mi viene da dire che la prospettiva Zonin ha un nome: Michele Zonin. E’ il mio terzo figlio che proprio in questi giorni sta entrando in azienda e che svolgerà ruoli di controller e di gestione finanziaria. E’ il completamento del quadro generazionale. Nuove espansioni? Ogni giorno mi vengono ad offrire un’azienda. Anche importante. Ma credo che il nostro orizzonte oggi sia di consolidare e sviluppare le aziende che già la famiglia possiede. Una certezza è, infatti, quella di continuare nel progetto di total quality e di valorizzare quanto più possibile la territorialità e gli autoctoni. Come ho fatto, con l’indispensabile supporto di tutti i miei collaboratori, in questi cinquanta anni di lavoro in Zonin”.
Zonin, la domanda finale. Lei ha annunciato l’ingresso del suo terzogenito in azienda. Si prepara al cambio generazionale? E che pensa dei giovani imprenditori di oggi guardando a quando lei, oltre 50 anni fa, debuttò al vertice della Zonin?
“Il cambio generazionale è nell’ordine naturale delle cose. Sì i miei figli stanno crescendo nelle responsabilità proprio per acquisire competenze ma anche responsabilità rispetto all’azienda. E’ giusto che sia così: è con l’esperienza che si forma un buon manager e anche con l’emulazione. Rispetto ai miei anni vedo che i giovani imprenditori di oggi hanno meno voglia di rischiare, hanno forse meno creatività. Magari hanno più competenze teoriche e migliori strumenti operativi, ma mi sembrano meno propensi all’intrapresa per come la intendeva Einaudi. E questo anche in agricoltura, anche nel vino. Anche se, guardando all’Italia, devo dire che il nostro Paese ha sempre la sua buona stella”.

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