Gli Usa che sono 50 mercati diversi quanti sono gli Stati del primo mercato del vino italiano e mondiale; il Regno Unito post Brexit con le sue dinamiche e le sue difficoltà; la Germania, mercato storicamente di quantità più che di valore, con prezzi medi dei vini bassissimi ad eccezione di un segmento horeca dove l’Italia è leader; la Cina, eterna promessa che tra alti e bassi fa fatica a concretizzarsi. Mercati diversissimi per tipologie di consumo, prezzi, regole e per composizione demografica dei consumatori, che in comune, però, ad eccezione (per ora) del grande Paese asiatico, hanno un aspetto: un calo dei consumi più o meno marcato, che spinge e costringe tutta la filiera, dalla produzione al commercio, a lavorare sulla crescita del posizionamento di prezzo e dei valori, per non perdere remuneratività a fronte di minori quantità di prodotto che girano sul mercato. Messaggio arrivato da player di mercato dei diversi Paesi focus degli approfondimenti del Congresso Assoenolgi n. 77, che si chiude a Cagliari, raccontati, per gli Stati Uniti, da Jon Moramarco, manager dell’agenzia di ricerca di mercato BW166, per la Germania da Maximilian Scheld, managing director Weinland Ariane Abaya, uno dei più importanti distributori in terra tedesca, Nicholas Moschi, direttore acquisti Liberty Wine London per il Regno Unito, e Leo Xiangxin Kong, italian wine educator, per la Cina.
“Il mercato americano è il più grande del mondo per il vino, ma ha subito forti cambiamenti dopo la pandemia. Buona parte dei consumi di vino, e anche la mixology, si è spostata tra le mura domestiche. Ora si sta tornando verso una nuova normalità. I volumi calano, ma la spesa nel 2023 è cresciuta del 5,2%, a 107 miliardi di dollari al consumo (di cui 71 per il consumo off trade, 36 nel fuori casa). Ma i consumi di vino, in quantità, probabilmente - sottolinea Jon Moramarco - hanno raggiunto un livello che difficilmente potrà crescere ancora. Guardando ai vini italiani, si può dire che abbiano tenuto negli anni della pandemia, poi però c’è stato un po’ di calo, ed i vini rossi, in particolare, hanno perso quota. Gli spumanti invece, Prosecco in testa, stanno crescendo, sia in volume che in valore, e sono arrivati ad una media di 20 euro a bottiglia allo scaffale. Più in generale, però, scendono i vini sotto i 10 euro a bottiglia, mentre crescono, seppur lentamente, quelli sopra i 10 euro, con il segmento tra 10 e 15 dollari che è dominante”. Secondo i dati di BW166, nel 2023, sul mercato Usa sono circolate 40,2 milioni di casse da 9 litri, in calo rispetto alle 46,4 del 2022, ma con una quota di mercato tra i vini stranieri, secondo i dati Nielsen, del 40,2%, in crescita rispetto al 36,4% del 2022. Ma se il vino italiano resta in testa alle preferenze, quello che preoccupa sul mercato Usa è il caso dei consumatori: “il 20% degli americani beve vino uno volta a settimana, il 14% meno di una volta a settimana, il 29% beve birra e spirits ma non beve vino, il 37% non beve alcol”.
Dagli Stati Uniti alla Germania, lo scenario numerico cambia completamente, come spiega Maximilian Scheld. “Il mercato tedesco vale 17 miliardi, con un prezzo medio a bottiglia di 2,82 euro, con il 42% fatto da vini tedeschi, ed il resto di importazione, Italia in testa. E l’85% del mercato è fatto da vini sotto i 5 euro a bottiglia allo scaffale. Il 2024 non è partito bene, siamo molto sotto i livelli pre Covid. Il segmento entry level domina, il 95% dei vini importati sono sotto i 5 euro a bottiglia allo scaffale, le categorie premium e super premium stanno calando. In generale, i vini rossi sono in calo, valgono il 38% dei consumi, mentre i bianchi crescono e sono intorno al 50%, così come gli spumanti, al 12%. Ma ci sono tanti problemi, come il fatto che oltre il 50% delle cantine tedesche ha problemi a pagare i lavoratori”. In questo contesto negativo, il vino italiano ha un ruolo a parte. “Il vino italiano vale il 36% del vino importato, davanti al 24% della Spagna, e al 16% della Francia. E il Belpaese ha anche una posizione dominante sul mercato on trade dei vini premium”. Puglia (27%), Toscana (16%) e Veneto (14%) sono le Regioni che forniscono più vino alla Germania. E anche se la stragrande maggioranza del vino passa per la grade distribuzione (con il discount che vale il 37% del mercato), è nella piccola ma importante fetta della ristorazione che il vino italiano deve lavorare per crescere. I numeri parlano chiaro: il prezzo medio di una bottiglia in gdo è intorno ai 2,6 euro, al ristorante di 26,4 euro. Ma a preoccupare, anche qui, è il calo dei consumatori: solo il 32% dei giovani tra 18 e 25 anni beve alcol, quindi anche vino, regolarmente, contro il 44% del 2013 ed il 70% del 1976.
Dalla Germania al Regno Unito, i trend non cambiano più di tanto, come spiegato da Nicholas Moschi. “I consumi in volume sono in calo strutturale dal 2015, sia nell’off che nell’on-trade, e a questo dobbiamo abituarci. I valori però crescono, il prezzo medio tra il 2015 ed il 2023 è cresciuto del 35%, segno che ci si orienta sempre più sulla qualità. Nei vini fermi, peraltro, quasi tutti i Paesi sono in calo, ma non l’Italia, che ha visto una crescita del 5% per 868 milioni di sterline, ad un prezzo medio di 6,3 euro a bottiglia”. Ma la cosa più interessante è il tema del prezzo a scaffale. Al netto di un’accisa in crescita e che oggi pesa per 2,6 sterline a bottiglia per vini sotto ai 15 gradi, emerge come spendendo poche sterline a bottiglia in più, il valore riconosciuto al produttore cambia nettamente. Calcolate accise, logistica, margini del distributore e così via, spiega Moschi, per una bottiglia che va a scaffale a 6,56 sterline, il prezzo medio del mercato nella grande distribuzione, il costo del vino, e quindi quello che è pagato alla cantina, è di appena 0,63 centesimi (in un Paese in cui le private label sono dominanti, ndr), che diventa di 1,06 sterline per una bottiglia che costa 7,5 sterline, sale a 4,2 per una bottiglia da 15 sterline, e a 6,5 per una da 20. “E quindi è evidente come convenga a tutti, in questo quadro, che magari si beva meno vino, ma di una qualità e di un livello di prezzo maggiore”. Anche qui, però, lo scenario tra gdo (che muove l’80% del volume ed il 70% del valore) e l’horeca, che vale il 20% dei volumi ed il 30% dei valori, è totalmente diverso: al tavolo di un ristorante il prezzo medio del vino è di 31 sterline al litro.
Qualche segnale più positivo, sembra arrivare dalla Cina, invece, come raccontato da Leo Xiangxin Kong, ambassador di diverse cantine italiane nel Paese. “I dati delle dogane cinesi sul periodo gennaio-marzo 2024, dicono che le importazioni di vino, nel complesso, in Cina, sono tornate a crescere sul 2023. Siamo a 59,7 milioni di litri, +3%, di cui 27,6 di vino sfuso (+21,2%), 30 di vino imbottigliato (-9,3%), 0,8 di bag in box (+60%), e 1,1 di spumanti (+6,5%). I numeri dicono che si torna a crescere dopo 5 anni, in volume, ma cala il vino in bottiglia, in quantità. Anche il valore diminuisce, siamo a 245 milioni di dollari, -11%. A marzo, in particolare, le importazioni di vino sfuso hanno superato quello imbottigliato, “ma non è un dato negativo, anzi: vuol dire che non solo i più ricchi stanno iniziando a bere vino, ed in prospettiva si cercheranno vini di maggior qualità e prezzo”. Tornando ai numeri, tra gennaio-marzio 2024 l’Italia è stata il terzo fornitore di vino della Cina, con 2,7 milioni di litri, -11,7%, per 23 milioni di dollari, +1,5%, ad un prezzo medio al litro di 8,3 dollari. Davanti, dominano Francia (9,5 milioni di ettolitri per 91 milioni di dollari, per 9,5 dollari al litro, ma in calo in entrambi i parametri di oltre il -22%), e poi il Cile, a 8,3 milioni di litri (+23%) per 36,7 milioni di dollari (+5,9%), a 4,3 euro al litro.
Guardando agli spumanti, invece, l’Italia è il primo fornitore in volume, con 706.067 di litri (+58%) per 2,8 milioni di dollari (+31,6%), dietro alla Francia con 224.704 di litri (-33,7%) per 9,4 milioni di dollari (-20,7%), e che sta a 42,1 euro al litro, mentre l’Italia è a 4 euro al litro. “Sta esplodendo il Prosecco anche in Cina, e molti cercano un’alternativa più economia allo Champagne”, sottolinea Leo Xiangxin Kong. Che racconta di un mercato cinese in fase di ripresa, dunque, ma con qualche distinguo. “Il mercato di Cina non è tutto uguale, è un Paese enorme, il terzo al mondo per superficie, ci sono tanti gruppi etnici, tradizioni diverse, inclusa la cucina, e questo influisce anche sul mercato del vino. Per esempio, nella Cina del Nord va molto bene il vino rosso, mentre ad Est e a Sud va molto bene il vino bianco. È un mercato grande, da conoscere bene prima di entrarci, se non si ha un progetto chiaro meglio aspettare”.
Un quadro complesso, come sempre, dunque, quello che emerge dai numeri e dai pareri degli esperti. Che da un lato preoccupa, ma dall’altro vede un vino italiano tutto sommato in salute, rispetto al resto del mercato. Come sembrano confermare anche i numeri dall’ultimo report Wine Monitor, l’Osservatorio di Nomisma dedicato al mercato del vino. Secondo il quale nel primo trimestre 2024 prosegue il trend negativo delle importazioni totali di vino nei 12 principali mercati mondiali rappresentativi di oltre il 60% degli acquisti mondiali di vino in valore, riflettendo quanto già accaduto nel corso del 2023. Ma in questo contesto negativo, le importazioni di vino dall’Italia, sebbene evidenzino anch’esse cali nei valori e nei volumi, registrano performance migliori rispetto all’andamento generale. In particolare, nei primi tre mesi 2024 gli acquisti a valore dall’Italia nei principali mercati mondiali sono calati - a livello cumulato - del -0,9%, a fronte di una contrazione generale del -8,7%.
“Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a livello cumulato, le importazioni al primo trimestre di quest’anno sui principali mercati internazionali sono diminuite quasi ovunque L’unica eccezione a livello di valore si è registrata in Brasile, mentre a volume solo gli Stati Uniti, la Cina e il Regno Unito hanno mostrato miglioramenti rispetto al primo trimestre del 2023 - commenta Denis Pantini, responsabile Wine Monitor Nomisma - e per quanto riguarda specificatamente i vini italiani, nel complesso le performance sono state meno negative rispetto alla media, grazie a Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Cina che evidenziano crescite nei valori delle importazioni di vini dal nostro Paese”. In questo contesto di generalizzata contrazione delle importazioni, si registrano andamenti nettamente differenti tra le diverse categorie: infatti, se da un lato i vini fermi e frizzanti italiani evidenziano una flessione “cumulata” sia a valore sia a volume, dall’altro lato gli spumanti mostrano rispettivamente un +4,9% e un +3,4%, con performance positive nella maggior parte dei 12 mercati presi in considerazione nel report Wine Monitor. In particolare, i nostri vini fermi e frizzanti imbottigliati mostrano performance ampiamente inferiori sul 2023, in Germania, Francia e Corea del Sud, mentre le importazioni di spumanti dall’Italia evidenziano una buona crescita in Regno Unito, Francia, Canada, Australia e Cina. Infine, sul fronte dei prezzi medi all’import di vino dall’Italia per i fermi e frizzanti si sono mantenuti sullo stesso livello dell’anno precedente, mentre nel caso degli sparkling si sono registrati lievi aumenti.
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