Dalle cinque ricerche presentate al convegno nazionale “Il vino nell’universo dei giovani: un dialogo possibile?” (Siena - 13 ottobre 2000), effettuate dalle società GPF&Associati, Infomark, Eurisko, Infratest Burke e Rural & Enviromental Manager, sono emersi diversi spunti interessanti su aspetti non del tutto esplorati e ancora in via di definizione, come lo scenario evolutivo degli stili di consumo, le motivazioni di base che spingono i giovani ad accettare o rifiutare il prodotto vino e il ruolo strategico sul territorio nazionale dei “wine bar”, i nuovi locali in cui le giovani generazioni hanno modo di degustare e scegliere in un ampia gamma di offerte.
I giovani e il vino, un rapporto difficile
Negli ultimi 15 anni, sono mutati radicalmente gli stili di vita e la sensibilità alimentare nei confronti del consumo quotidiano del vino, tra i giovani e in generale tra le diverse fasce di popolazione (15/74 anni). Si è passati, secondo i dati contenuti nello studio della GPF&Associati, da una percentuale di consumatori abitudinari di vino pari al 56% della popolazione adulta nel 1984 all’attuale 31%. Un processo di disaffezione che ha investito soprattutto i giovani, sempre più autonomi nelle loro scelte dalle indicazioni familiari, il cui numero di consumatori abituali è sceso a partire dal 1984 dal 32% al 12% nella fascia compresa tra i 15 e i 24 anni e dal 52% al 22% in quella tra i 25-35 anni. A partire dagli anni Ottanta, quindi, il consumo di vino quotidiano in Italia decresce in misura sensibile, soprattutto nella fascia giovanile fortemente penalizzata. Le ragioni di questo calo apparentemente irreversibile sono diverse. Si è fatta strada nell’universo giovanile, infatti, nella percezione del prodotto e della sua simbologia associata, la convinzione secondo cui il vino, per le sue caratteristiche, sia legato ad un universo ancestrale, regressivo, di umili origini ed emarginato ad un consumo prettamente domestico, ereditato, spesso non voluto. L’immagine del vino è fortemente legata al “vino rosso a tavola”, ad un’esperienza tipicamente familiare e vissuta con contraddizioni e difficoltà. I più giovani ritengono inquietante il colore spesso e scuro del vino da tavola, ne rifiutano l’aspetto pastoso, il sapore forte, molte volte amaro e ne temono gli effetti (pesantezza di stomaco e facile e incontrollabile ebbrezza). Entra, quindi, in contrasto con quella che rappresenta la bevanda più radicata nei consumi e nell’immaginario giovanile, la birra. Una bevanda a cui il giovane si relaziona positivamente per la sua immagine internazionale, per il suo forte potere dissetante, per la molteplicità di etichette e confezioni e per il basso contenuto alcolico. La birra, nella multiforme tribù dei giovani, è il prodotto leader, specialmente nella fase di crescita tra i 15 e i 20 anni.Emerge, infatti, dalla ricerca Eurisko - basata su colloqui e interviste individuali - un’evoluzione nella tipologia dei consumi giovanili. Fino ai 20 anni prevale nel processo di scelta la logica del gruppo in cui il giovane è inserito. Si beve ciò che fa tendenza e moda, senza una particolare conoscenza dei prodotti in termini di origine, preparazione e qualità. Il consumo avviene nei locali di tendenza (i pub, in particolare) e il bere per i giovanissimi non è un fine, il frutto di una scelta consapevole, ma un mezzo soprattutto per socializzare. Sono anni in cui sono avvertite con forza le contrapposizioni con il mondo adulto (i genitori), in cui si costruisce l’identità e l’autonomia del giovane ed anche il bere può diventare un modo per rivendicare la propria distanza dalla famiglia d’origine. È una fase in cui oltre alla birra sono consumati vini più leggeri - dolci e frizzanti - con gli amici, nei locali, nelle feste. Sono preferiti al vino classico per la gradevolezza al palato, la freschezza e il potere dissetante, oltre al piacere di degustarli in compagnia e in coppia. Al riguardo la ricerca di GPF& Associati evidenzia come solo il 28 % dei giovani adulti e il 30% dei giovanissimi abbia come prima preferenza il vino rosso da tavola, mentre tra questi ultimi il 23% preferisca gli spumanti dolci e il 20% i bianchi frizzanti. Il secondo momento scatta orientativamente dopo i 20 anni. Subentra, infatti, un recupero dei riti e delle abitudini del mondo adulto ed una riscoperta del vino specie in un consumo più attento all’interno di una vita di coppia. Un’evoluzione possibile a patto che i significati legati al vino non siano definitivamente compromessi dalle esperienze negative precedenti. Si manifesta, quindi, con l’avvento di una maggiore maturità, il piacere di ricercare i vini Doc, le etichette particolari e la disponibilità ad arricchire la propria cultura del bere. Infatti, il mondo dei vini è considerato, anche da chi è ben disposto, una realtà spesso complessa, difficile e vasta. Diventano quindi fondamentali i consigli dei sommelier, in occasione di cene intime in ristoranti di classe, o la frequentazione di amici preparati o di locali come le enoteche. Si cerca tra i giovani “over 25” una nuova cultura del vino, più ricca e nobile rispetto a quella dei padri. Tuttavia, allo stesso tempo, si è spaventati dalla complessità del mondo dei vini e si ricerca un sostegno semplificante. Lo studio effettuato dalla GPF& Associati dimostra come solo un terzo dei giovani adulti identifica nei pasti principali le occasioni di consumo di vino (36% a pranzo o a cena), equiparandole sostanzialmente alle riunioni con gli amici (33%). Risultano importanti anche il consumo al ristorante (23%) e le occasioni speciali come feste o ricorrenze con il 22% di preferenze. Quindi, presso il pubblico giovanile, il consumo abitudinario e anonimo del pasto domestico è soppiantato da un consumo eccezionale, legato a momenti particolari e divertenti. Nei giovani più maturi prevale tendenzialmente un approccio “conviviale” al vino, con sperimentazioni e ricerche personali. Lo studio Eurisko, inoltre, delinea con precisione le diverse tipologie di consumatori di vino e non:
- i non consumatori: coloro che sono fortemente condizionati dall’immagine negativa del vino rosso e dall’esperienza familiare. Difficilmente recuperabili.
- i consumatori tradizionali: coloro che accettano passivamente la tradizione familiare, consumano a tavola senza particolare entusiasmo il vino rosso e non hanno una scelta autonoma. Troppo legati allo stereotipo del vino.
- quelli del Brachetto: coloro che pur non definendosi veri consumatori di vino in realtà lo sono. Amano i vini leggeri, rifiutano lo stereotipo del vino e sono, se ben guidati, dei potenziali nuovi consumatori.
- i nuovi adepti: coloro che sono mossi dal desiderio di scoprire, provare la vasta gamma dei vini disponibili. Tuttavia sono intimoriti dalla complessità del mondo dei vini.
Una nuova comunicazione per il vino
Il vino evoca, nella sua ricca simbologia, significati contrastanti. Negatività e tradizione arcaica, da una parte, eleganza e raffinatezza dall’altra. Ma anche semplicità eccessiva o linguaggio particolarmente specialistico. Forte componente naturale, ma al contempo sofisticazione chimica. Insomma, un universo aperto e contraddittorio. Tuttavia, emerge con chiarezza che il vino è una bevanda posizionata prevalentemente nel mondo adulto. Sia per un consumo più povero ed elementare, sia per uno più consapevole e accurato. Non è quindi possibile, secondo quanto rivela la ricerca Eurisko, un’appropriazione piena della cultura dei vini all’interno delle nuove generazioni (sarebbe improprio, dato il carattere di “adultità” legato al prodotto vino), ma è comunque praticabile la strada di una progressiva alfabetizzazione dei giovani ai vini, con lo scopo di prepararli al consumo maturo nell’età adulta. Occorre, quindi, un nuovo linguaggio e una nuova comunicazione, che favorisca il processo di apprendimento e di alfabetizzazione e rivaluti l’immagine del prodotto vino. Le nuove generazioni, ora più che mai, vogliono sentirsi internazionali e sono disposte a scegliere solo all’interno di un’offerta ampia e globale, tuttavia chiara e non rivolta ai pochi esperti. Bisogna cercare di comunicare senza eccessivi tecnicismi, senza la troppa serietà o l’intolleranza di chi sa e sa di sapere. È possibile spingere i giovani consumatori di vini leggeri e frizzanti verso il consumo di prodotti diversi e più impegnativi. Ma diventa fondamentale rinnovare la comunicazione (a partire dallo stesso packaging e dal prodotto materiale) per mantenere il contatto con il mondo dei giovani e affinché il vino sia visibile e fruibile nei luoghi di frequentazione giovanile. Non più soltanto il vino rosso a tavola, ma anche in occasioni e momenti differenti. Al riguardo lo studio della Infratest Burke, attento ad analizzare i processi di valutazione del vino da parte dei giovani, suggerisce di eliminare il vino a litri, nei fusti di plastica, senza denominazioni, a favore di confezioni e prodotti più semplici e accattivanti anche dal punto di vista del packaging, dei colori e dei nomi. Un contenitore in vetro di forma classica o affusolata viene generalmente associato ad un vino di qualità, in quanto sembra garantire la tradizionalità del processo di produzione e la sicurezza delle caratteristiche originarie del contenuto. D’altro canto, sono preferite etichette dall’aspetto classico e sobrio, con chiari riferimenti a criteri di qualità (vino Doc o Docg, luogo di produzione, uva utilizzata, annata ...). I giovani, infatti, vogliono informazioni chiare sulle caratteristiche dei prodotti che si apprestano ad acquistare, ma senza cadere in spiegazioni difficili, nebulose o troppo serie. La comunicazione, infatti, deve valorizzare le proprietà benefiche di un equilibrato consumo di vino, ma in modo disinvolto, diretto e giovanile appunto. Tenendo conto, come afferma la ricerca Infratest Burke, che i giovani prediligono un vino dal sapore fresco e fruttato, dolce, dalla gradazione alcolica relativamente bassa, dal colore limpido, vivo, deciso, senza essere eccessivamente carico, effervescente, capace di dissetare e, infine, con un grado di acidità discreto. Una moderna comunicazione del vino di qualità e del suo consumo elettivo può contribuire a capovolgere i significati tradizionalmente legati ad esso, così come è avvenuto con la pasta alimentare dopo il successo della dieta mediterranea. Il vino com’è noto ha un’azione di prevenzione cardiovascolare e, in dosi contenute, apporta alla dieta un giusto apporto senza stordire e appesantire. Un consumo regolare e misurato di vino diventa così un additivo importante della dieta del giovane che sta attento al suo fisico e alla lucidità della sua mente.
I “Wine Bar”
Il rilancio del rapporto “vino e giovani” può arrivare sicuramente dalla crescente diffusione di nuovi locali “Wine Bar”, oggetto specifico della ricerca della Infomark: si parla di 250-300 insegne accomunabili nel concetto di “Wine Bar” su tutto il territorio nazionale. Un panorama caratterizzato da una maggiore presenza di locali al Nord, fra Torino e Trieste, un crescente interesse al Centro fra Firenze e Roma ed un evidente ritardo al Sud, dove la cultura e la tradizione vitivinicola sono meno radicate. I “Wine Bar” sono localizzati non soltanto nei grandi centri urbani, ma anche in quelli minori e nelle zone “rurali”: presentano una gestione tendenzialmente giovanile (30/40 anni), possono ospitare 50/60 persone e sono in grado di offrire un numero di etichette superiore a 100 o persino 300 specialità differenti di vino; richiedono, da parte dei gestori, una vera passione, una grossa competenza e professionalità per porre il prodotto vino al centro dell’offerta del locale; per questo motivo, è fondamentale il livello qualitativo dei vini presentati, la possibilità di degustare il vino desiderato “a bicchiere”, l’ambientazione curata ed accogliente e l’atmosfera “soft” e informale. Il progressivo successo dei “Wine Bar” è testimoniato dal numero di locali aperti negli ultimi 5 anni, con una crescita del 40% e con l’incremento della clientela più giovane (fino a 30 anni), a dimostrazione di come il processo di disaffezione delle nuove generazioni nei confronti del prodotto vino sia tutt’altro che irreversibile. I limiti di questa nuova proposta di locali derivano dalla natura dello stesso fenomeno dei “Wine Bar”. Questi sono, infatti, il risultato non di una strategia coerente e articolata, ma il frutto di iniziative di singoli gestori. Sono lo specchio della realtà vinicola italiana, frazionata all’eccesso, e risultano alla lunga impreparati a competere con delle vere e proprie potenze commerciali (Coca Cola o Heinecken) in grado di sostenere in ben altro modo i locali (pub/bar) che promuovono i loro prodotti. Del resto i “Wine Bar” non hanno un nome o un’insegna veramente caratterizzante per presentarsi con forza e visibilità al grande pubblico: gli stessi “enotecari”, così si definiscono i gestori utilizzando termini più indigeni e di certo non anglofoni, chiamano i propri locali o appunto Wine Bar (49%), o enoteche tradizionali (20%), o ancora osterie (20%), bar (5%) e altro. Manca, inoltre, un orario d’apertura e chiusura unico che possa identificare con precisione i diversi locali. Un vero “Wine Bar” dovrebbe offrire un servizio serale/notturno, almeno fino a mezzanotte, e porre il vino al centro delle proprie proposte e attività di consumo. Abbiamo, invece, locali in cui il vino è importante, ma pur sempre in abbinamento al cibo (le osterie aperte fino alle ore 22) o bar più tradizionali con una certa offerta di vini, ma un orario di chiusura eccessivamente anticipato (ore 20). In ogni caso per conquistare il pubblico e spingerlo a frequentare con assiduità i “Wine Bar” occorre che vi sia un “oste” attento e competente: non si può poi prescindere da un’offerta ricca e variegata che comprenda almeno 100 vini diversi, di almeno 10 regioni italiane, con in più vini di provenienza francese e di altri Paesi e la possibilità di consumare “a bicchiere”. L’offerta, poi, deve essere particolarmente di qualità (prodotti doc o docg), in grado di soddisfare i gusti differenziati della clientela, in un’atmosfera generale capace di evocare raffinatezza, ma al contempo accessibilità generalizzata. Lo studio dimostra come i “Wine Bar” siano locali frequentati da un pubblico tendenzialmente giovanile, che consuma vino abbastanza regolarmente, proviene da una famiglia in cui si beve vino con una certa frequenza, di buona estrazione sociale e con una formazione scolastica superiore. Nei “Wine Bar” si va prevalentemente in coppia (28%) o in compagnia (59%), tuttavia quasi mai da soli (13%), con una fruizione regolare sebbene più concentrata naturalmente nel fine settimana. Si preferisce la prima serata, ma di certo non si disdegnano anche gli orari notturni. La scelta dei vini cade soprattutto sui rossi (65%), contro il 31% dei bianchi e il 4% dei rosati. Sui fermi (63%), contro il 31% dei mossi e il 6% di spumanti. Sui vini dal gusto secco (61%), piuttosto che sugli abboccati/amabili (33%) o i passiti/dolci (6%). O ancora sui vini tendenzialmente giovani (58%), rispetto agli invecchiati (28%) e barricati (14%), su quelli locali-regionali (53%) contro il 3% di quelli internazionali e infine su quelli dal tasso alcolico medio (53%). Diventa prioritario, quindi, per un “Wine Bar” puntare su questi fattori di successo: da una parte, bisogna creare un’atmosfera conviviale, fornire un servizio accurato, disporre della competenza necessaria e proporre un prezzo equo; dall’altra, non si può prescindere dalla qualità del vino e dalla varietà delle scelte. Infine, occorre assecondare il consumatore nelle sue richieste e nelle sue aspirazioni di edonismo, trasgressione, socializzazione, tranquillità e allegria. Sono questi gli elementi che fanno di un “Wine Bar” un locale diverso e particolare, ma non solo: il vino consumato in un “Wine Bar”, per le sue caratteristiche, è agli antipodi del consumo indiscriminato di bevande industriali, eventualmente miscelate o intervallate da superalcolici, che si realizza in tanti locali “giovanili” o discoteche: esso, e non certo il consumo del vino, è alla base di quei fenomeni diffusi di confusione etilica (e da sostanze) che talvolta portano alle funeste “stragi del sabato sera”. Una fruizione corretta del vino rappresenta da questo punto di vista un antidoto e un elemento di educazione alimentare straordinario.
Nuovi manager per il vino
Attraverso la ricerca della Rural & Enviromental Manager, il convegno ha posto in luce l’importanza di definire una nuova figura professionale in grado di gestire, con competenze manageriali, il rapporto sempre più stretto tra ambiente, agricoltura, territorio, turismo, cultura e comunicazione. Una sorta di “manager rurale” in grado di guidare progetti di sviluppo territoriale, di coordinare settori differenti (artigianato, turismo, servizi), di sensibilizzare le amministrazioni, di sviluppare strategie di valorizzazione dei prodotti tipici, di realizzare pacchetti formativi per gli operatori del settore, oltre a fornire assistenza tecnica e soluzioni per le aziende. Tutto questo per fronteggiare i veloci cambiamenti che stanno intervenendo nella cultura del cibo e del vino in particolare, a partire dai prodotti fino ad arrivare ai luoghi e agli strumenti di consumo. Si deve parlare, in un’ottica di modernità alimentare, di un nuovo concetto, quello di “sistema prodotto”. I prodotti alimentari, come i vini, possiedono una complessità di valenze e significati. Sono l’insieme di aspetti immateriali, di comunicazione, di relazione, di distribuzione e di servizio. Il “sistema prodotto” è un’unità globale ed organizzata di interrelazioni tra elementi, azioni e individui. Questo è punto molto importante anche per il settore dei vini. Il vino, infatti, va ripensato, specie nel suo rapporto con i giovani, a partire dalla realizzazione concreta del prodotto, dalla confezione all’imballaggio: l’industrial design è lo strumento attraverso cui è possibile fondere armonicamente forma e funzione del prodotto. Il vino, inoltre, deve entrare in un sistema di valori e di significati coerenti e proporsi come sistema integrato, in cui tutti gli elementi si ricombinano secondo una logica comune. Ecco perché, secondo la ricerca R&Em, risulta possibile parlare di design anche per i prodotti alimentari, abbracciando con questo concetto il packaging, ma anche la natura commestibile, i servizi, la distribuzione e la comunicazione.
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