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GLOBAL WARMING

Time to act: climate change, l’allarme corre anche in vigna, tra soluzioni e scenari futuri

Al Vinexpo di Bordeaux il Symposium sull’impatto dei cambiamenti climatici sul vino: la voce delle istituzioni e dei massimi esperti
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Il cambiamento climatico in vigna

Qualcuno nutre ancora dei dubbi, ma il cambiamento climatico, con i suoi effetti potenzialmente devastanti, è una realtà tangibile, sotto gli occhi di tutti, ed a pagarne gli effetti è colui che, più di ogni altro, ne è responsabile: l’uomo. Nulla e nessuno è immune agli effetti del global warming, tanto meno il vino, che in quanto prodotto agricolo sottosta alle dinamiche climatiche come qualsiasi altra coltura, pur avendo dalla sua una resilienza, ossia una capacità di adattamento al cambiamento, decisamente superiore alla media. Questo, però, non vuole certo dire che il mondo enoico possa stare a guardare, o che il ruolo dell’uomo non sia fondamentale nel precipitare il mondo verso una crescita delle temperature medie di 2-4 gradi da qui alla fine del secolo, come invece racconta un numero impressionante di studi accademici. Ma come impatta il climate change sul settore vino, e qual è il ruolo del mondo enoico in questo senso? Sono i temi sviscerati al Symposium di Vinexpo (a Bordeaux fino al 16 maggio) dedicato all’impatto dei cambiamenti climatici sul vino, dai massimi esperti del settore, all’interno però di un recinto ben più ampio, quello di “Act for Change”, il movimento internazionale che punta sulla presa di coscienza collettiva e governativa per dare una risposta e trovare una soluzione al grande tema del cambiamento climatico.
Ad aprire i lavori, un messaggio di Christine Lagarde, a capo del Fondo Monetario Internazionale, che ha sottolineato come i tempi siano più che maturi per dare, con le proprie azioni, una risposta all’emergenza climatica.
“Ho capito l’impatto del climate change sul vino, la prima volta che ho sentito parlare della crescita degli sparkling wine in Inghilterra, un aspetto che ben racconta ciò che accadrà in futuro. Credo che le istituzioni e gli individui debbano focalizzarsi sull’impatto del climate change con azioni che ne limitino gli effetti. Viviamo l’emergenza dell’azione, e il tempo è ora, perché il cambiamento corre più velocemente di noi. Tante sono le strade da intraprendere, in termini politici, a partire da soluzioni e scelte di natura fiscale ed economica, perché dobbiamo tagliare le emissioni del 30% di CO2 da qui al 2030, ma dobbiamo anche educare le nuove generazioni. Certi Paesi - spiega Lagarde - sono particolarmente esposti alle conseguenze del cambiamento climatico, e lo vediamo con i disastri ambientali che soffrono, ma l’impatto è globale e drammatico, anche in termini economici. Le misure non vanno prese a livello domestico, perché non bastano le scelte, anche se condivisibili e positive, di un singolo Paese o di un’istituzione locale, ci vuole la partecipazione di tutti ed a tutti i livelli. E, soprattutto, il problema riguarda tutti gli ambiti, compresa la viticoltura, che coinvolge prima di tutto l’uso delle risorse idriche ed dei pesticidi, che vanno assolutamente limitati. Se ci pensiamo di andare avanti sperando che tutto si sistemi da sé - mette in guardia la direttrice dell’Fmi - non faremo che accelerare l’arrivo della catastrofe. Per tutti. Dobbiamo fare una promessa alle giovani generazioni: lasciare il pianeta in condizioni migliori di come l’abbiamo trovato”.
E che la filiera del vino sia particolarmente sensibile, ma anche reattiva, al problema, lo sottolinea anche il ceo di Vinexpo, Cristophe Navarre, ricordando come gli effetti siano “ben visibili, basti pensare alle gelate ch nelle scorse settimane hanno colpito i nostri vigneti. Il settore è sensibilissimo al cambiamento climatico, e l’obiettivo principale deve essere quello di tutelare una tradizione millenaria ed i suoi terroir, non quello di spostare la produzione di vino altrove. Del resto - continua Navarre - la filiera del vino, a livello mondiale, è dinamica, aperta e collaborativa, con l’innovazione che gioca un ruolo importante. In tutto il mondo il vino abbraccia la ricerca e le nuove tecnologie, ed in questo senso il ruolo di Vinexpo è quello di mettere insieme gli attori dell’industria del vino per far sì che ci aiutino a capire cosa sta succedendo nel mondo e cosa possiamo fare concretamente”.
A tal proposito, è paradigmatico di quelli che sono gli effetti tangibili del riscaldamento globale ciò che sta succedendo proprio a Bordeaux, dove, come racconta Allan Sichel, a capo del Conseil Interprofessionnel du vin de Bordeaux, “pochi mesi fa, abbiamo ospitato un forum sull’ambiente, che ha mostrato come nel nostro territorio si registrino temperature medie superiori di un grado rispetto alle medie del secolo scorso. Ormai è una certezza di cui preoccuparsi, specie perché se un grado in più è tollerabile due si rivelerebbero una catastrofe, e qualsiasi modello matematico dimostra che la direzione in cui stimo andando è quella. Dobbiamo preoccuparci. Abbiamo bisogno di anticipare le conseguenze, di adattarci alla realtà odierna e di innovarci per preservare il settore. Freschezza, eleganza, equilibrio, complessità aromatica sono le caratteristiche da tutelare, e lo stiamo facendo con programmi e finanziamenti importanti (due milioni di euro in pochi anni) che indagano metodi di coltivazione e tecniche di vinificazione. ma il progetto più ambizioso riguarda la creazione di nuove varietà, per il quale ci vuole tempo. A breve termine - spiega Sichel - dobbiamo adattare le tecniche e la gestione del vigneto in base alle esigenze imposte dal cambiamento climatico. In questo senso, qui a Bordeaux, cambiano i tempi della vendemmia, ma anche le percentuali tra Cabernet e Merlot per preservare la freschezza dei nostri vini. Abbiamo bisogno di agire ora, partendo dall’abbattimento della carbon foot print del 20% entro il 2025: siamo al -9%, abbiamo ancora da fare, ma siamo impegnati nel raggiungere i nostri obiettivi”, conclude il presidente del Civb.
Altra voce importante è stata quella di Patricia Espinosa, segretaria esecutiva dell’Onu, che in un messaggio ha sottolineato come il vino
“sia un settore strategico anche da un punto di vista economico, dà lavoro a milioni di persone in tutto il mondo, e ne darà ancora di più da qui al 2022, quando produzione e consumi, in Paesi come Usa e Cina, continueranno a correre, ma il climate change può mettere in crisi anche un’economia come questa. Se non cambiamo passo - spiega la Espinosa - il mondo è a rischio, e possiamo vederlo con i nostri occhi: incendi, gelate, fenomeni climatici sempre più eccessivi. E gli accordi di Parigi non basteranno ad invertire la rotta, ma forse, perlomeno, a limitare il riscaldamento a 1,5 gradi, abbastanza da sconvolgere comunque un settore come quello del vino. L’uva, del resto, è sensibile a qualsiasi cambiamento, dalle piogge al caldo, tanto che sul 70% delle superfici vitate di oggi - sottolinea la segretaria esecutiva dell’Onu - potrebbe diventare impossibile coltivare la vite, o comunque difficile in termini di qualità ed equilibrio delle uve. Noi tutti dobbiamo essere parte della soluzione. Dobbiamo mitigarne gli effetti, dobbiamo lavorare ad un mondo prospero”.
A mettere ordine su quella che è la situazione climatica attuale, è Michel Jarraud, segretario generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, che per prima cosa ha definito il ruolo dell’uomo sulle dinamiche odierne. “I cambiamenti climatici, nella storia della Terra, sono legati principalmente a parametri esterni e di lunghissimo corso, come l’attività tettonica, i cicli dell’attività solare, l’attività vulcanica ed i parametri astronomici, i cui effetti sono stati indagati dagli scienziati in maniera indiretta, ad esempio analizzando sedimenti chimici, composizione delle rocce, fossili, composizione dei ghiacci, cerchi degli alberi, o diretta, quindi con i dati raccolti, essenzialmente, nell’ultimo secolo e mezzo. È da questa tipologia di analisi - spiega Jarraud - che emerge come la CO2 sia diretta responsabile dei cambiamenti climatici, con i livelli più alti degli ultimi 800.000 anni, perlopiù a causa delle attività dell’uomo. In una dinamica, però, che comprende ogni aspetto della vita, perché il contesto socio-economico è strettamente interconnesso, con le attività umane particolarmente sensibili al tempo ed al clima, e vulnerabili agli eccessi climatici, che impattano sull’economia in maniera importante, così come sull’evoluzione demografica ed urbanistica, portando, sempre più spesso, a crisi (collegate tra loro) economiche, di carenza di cibo, sanitarie e migratorie”.
Tornando ai dati crudi, “il 2016 è stato l’anno più caldo di sempre - riprende il segretario generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale - mentre tra il 2015 ed il 2018 si sono concentrati i 4 anni più caldi di sempre, e gli ultimi 10 anni sono stati tra gli 11 più caldi di sempre. Ad assorbire il 93% di questo calore extra sono gli oceani, con effetti però su tutto il globo. Parallelamente ai dati che ci hanno raccontato, almeno dal 1990, come il riscaldamento globale fosse un’emergenza assai seria, è cresciuta la consapevolezza del ruolo dell’uomo, tanto che nel 2013 i più importanti studi di meteorologia hanno concluso che al 95% l’influenza dell’uomo sul riscaldamento globale è la più rilevante. La scelta - conclude Michel Jarraud - è nelle nostre mani: dobbiamo far scendere le emissioni, e puntare alle emissioni zero tra il 2050 ed il 2070, quello che faremo in questi anni avrà conseguenze enormi sui prossimi secoli, ed i costi del ritardo con cui stiamo affrontando il problema, in futuro, saranno ben superiori a quelli che ci troviamo ad affrontare oggi. Per fare ciò, evidentemente, ci vuole una strategia globale, incentrata su singoli settori (energia, agricoltura, trasporti, industria, etc), incardinata sull’incontro tra le massime espressioni del mondo accademico, della ricerca e della conoscenza, e che però obblighi tutti ad un approccio diverso, dai singoli cittadini alle istituzioni ad ogni livello”.
“Cosa possono fare vigneron e amanti del vino?”, si chiede Jean-Robert Pitte, ex presidente della Sorbonne, oggi membro dell’Academie du Vin de France e presidente della Società di Geografia di Francia, dandosi anche una risposta, che nasce dalla storia del vino in questi ultimi duemila anni. “Ci sono i mezzi per opporsi al cambiamento climatico, che comunque non è un dramma assoluto per la viticoltura, a patto di adattarsi. È una situazione già vissuta dal mondo del vino: negli ultimi 2000 anni ci sono stati periodi così caldi, ma l’uomo ha i mezzi per adattarsi. Bisogna ricorrere a pratiche virtuose, perché la vigna ha una grandissima capacità di adattamento: la resilienza della vite è straordinaria. Bisogna anche considerare - continua Pitte - che il vino non è una necessità per la vita dell’umanità, ma è piacere ed una gioia che attraversa le Civiltà, il tramite che ci lega a Dio nella sua dimensione sacra. Quando le popolazioni del Nord Europa si convertirono al Cristianesimo, si riusciva a coltivare la vite fino in Danimarca, poi c’è stata la Piccola Glaciazione (dalla metà del XIV secolo alla metà del XIX secolo, ndr), e il vigneto è stato abbandonato, arretrando di centinaia di chilometri. Una vera fortuna per noi: le Regioni del vino sono diventate quelle del Mediterraneo, e da lì inizia la storia del vino moderno come la conosciamo oggi. Il Bordeaux, agli inizi, non arrivava nemmeno a Parigi, era fatto per gli inglesi. Negli anni seguenti, ovunque siano arrivati i francesi è arrivata la vite. Anche il concetto di terroir, in fin dei conti, nasce in quegli anni, con la bottiglia: solo l’invecchiamento in bottiglia rivela il vero legame con il terroir. Il riscaldamento globale, quindi, ci impone ancora una volta di adattarci, a partire ovviamente dalla gestione del vigneto, penso alle defoliaizoni ed alle vendemmie anticipate, ma bisogna anche essere pronti ad accettare un certo cambiamento del gusto, così come la coltivazione di varietà diverse. Aspettando che arrivi una soluzione a livello mondiale, noi abbiamo sempre ben chiaro l’obiettivo: quello di continuare a produrre ottimi vini”, conclude Jean-Robert Pitte.
Decisamente più allarmato, ed allarmante, ma anche politico, è il messaggio che arriva dal più grande chef di Francia, Alain Ducasse, che ha voluto ricordare come il problema sia ben più ampio, e riguardi, in sostanza, il rapporto tra l’uomo e la Terra.
“Stiamo sfruttando le risorse della Terra ben oltre le nostre reali necessità e le sue effettive possibilità, riempiendo il mondo di plastica e fitofarmaci. La reazione deve nascere dal mondo agricolo, e quindi da quello del vino: dobbiamo smetterla di usare la chimica, e puntare sulle varietà naturalmente resistenti. Mi appello ad un mondo che conosco e che esprime centinaia di esempi positivi e significativi, ma anche io faccio la mai battaglia, perché il mio mestiere, quello di chef, è legato a doppio filo alla natura ed ai suoi prodotti. È una battaglia a difesa dei territori, ma anche delle loro economie, e contro la standardizzazione produttiva e del gusto, che impoverisce la filiera”, conclude Alain Ducasse.
A riassumere e tirare le fila dei tanti punti di vista e di una realtà a dir poco complessa, è Pau Roca, alla guida dell’Oiv - Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino, che a WineNews ricorda come
“il riscaldamento globale non impatta nello stesso modo su tutte le Regioni del vino, per cui alcuni territori potrebbero persino trarne beneficio. Dobbiamo mantenere una posizione equilibrata, ma in generale è un fenomeno ampiamente negativo per tutta l’umanità, non possiamo e non dobbiamo mai negarlo. L’industria del vino è sempre stata conscia di questa realtà, perché i big data e le serie storiche lo dimostrano, e questo ci deve rendere più responsabili. Prima di tutto nel mitigare gli effetti del climate change, quindi nell’adattarci: possiamo fare qualcosa, a partire dalla riduzione della CO2 e dalla gestione delle risorse idriche. Ma lo sforzo maggiore riguarda la capacità di adattamento alla nuova realtà: dobbiamo far sì che il prodotto finale, il vino, non soffra il cambiamento”.
“C’è una sorta di triangolo - riprende Pau Roca - che sintetizza la produzione di vino, i cui vertici sono suolo, clima e fattore umano, ossia esperienza e tradizione. Se uno di questi tre angoli cade, come il clima, cambia tutto, a partire dai rapporti di forza all’interno del triangolo. Fortunatamente ci sono molte possibilità per adattarsi. La vigna ha dimostrato nel passato che la varietà è un favoloso punto di forza e di variabilità. E poi c’è la variabilità nella varietà, che è molto importante, perché abbiamo la possibilità di declinare la stessa varietà in tanti modi diversi, e trovare comunque il modo di adattare le diverse varietà al climate change, anche riducendo l’uso di pesticidi e fertilizzanti. E quest’ultimo aspetto - conclude Pau Roca - ha a che fare anche con le emissioni di CO2, perché meno si passa in vigna e più calano le emissioni”.

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