Finalmente è nata una coalizione a livello mondiale per la tutela e la valorizzazione dei territori di produzione e del concetto di “denominazione di origine”. Oggi Marco Pallanti, presidente del Consorzio Vino Chianti Classico, è a Washington per la firma di un documento molto particolare: l’alleanza fra alcune delle più importanti regioni vinicole del mondo a tutela del consumatore finale.
Le regioni vitivinicole del Chianti Classico (Italia), Sonoma County e Paso Robles (California), Tokaj (Ungheria), Victoria e Western Australia (Australia) hanno aggiunto i loro nomi all’elenco dei firmatari della Dichiarazione congiunta a tutela del luogo d’origine del vino, un insieme di principi miranti a educare il consumatore sull’importanza della provenienza geografica-territoriale per l’identificazione del vino. Queste sei regioni vinicole vanno a sommarsi ai sette membri fondatori della coalizione: Napa Valley, Oregon, Washington State, Walla Walla Valley, Champagne, Porto e Jerez.
Ma quali sono i contenuti della dichiarazione? Quella che potrebbe sembrare una questione esoterica, in effetti non è altro che l’affermazione di un principio banale: semplicemente, quello che è in etichetta deve corrispondere a quello che è nella bottiglia. Possono le arance della Florida provenire dal Connecticut o il formaggio Cantal esser prodotto in Australia? Lo stesso concetto è valido per il vino. Tutto quello che il consumatore chiede è di avere delle etichette contenenti informazioni veritiere: nomi come Chianti Classico, Champagne, Napa Valley non possono essere utilizzati per vini non provenienti dalle zone di origine.
In futuro riusciremo ad ottenere il risultato? Mai più un vino con in etichetta la denominazione Chianti potrà essere prodotto in Usa o in Australia? I presupposti sono ottimi, visto che anche in questi paesi si comincia a capire l’importanza ed il valore dell’origine del prodotto.
“Siamo veramente entusiasti - commenta Marco Pallanti, presidente del Consorzio Vino Chianti Classico - di unirci a questo prestigioso gruppo di produttori vinicoli impegnati nella tutela dei territori di origine del vino. La novità più eclatante di questo evento è che, mentre a livello comunitario l’ago della bilancia si sta spostando sempre più verso una politica di valorizzazione dei “marchi di fabbrica” a discapito delle denominazioni di origine, proprio dagli Stati Uniti, che fino a ieri hanno creduto nella politica di marca e nella globalizzazione del mercato, parta oggi questo forte segnale per la tutela dei luoghi di produzione del vino”.
Un segnale che ha avuto anche i primi effetti concreti: nel 2005 per esempio la Corte Suprema della California ha decretato che un vino etichettato “Napa Ridge” dovesse essere fatto con uve provenienti dalla Napa Valley, altrimenti avrebbe dovuto cessare di usare questo nome in etichetta. Nel 2006 la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rifiutato di pronunciarsi in appello su questo caso. Lo scorso settembre il governatore Arnold Schwarzenegger ha firmato un atto con il quale si stabilisce che ogni vino che ha in etichetta il nome “Sonoma” deve contenere per almeno il 75% di uve cresciute nella Contea di Sonoma. In dicembre, negoziatori di Wine Accord si sono incontrati per discutere sull’etichettatura dei vini in una seconda tornata di colloqui commerciali bilaterali.
“Oggi gli americani - sottolinea Pete Downs rappresentante della Contea di Sonoma - sanno molte più cose sul vino di quante ne sapessero finora, e vogliono solo prodotti autentici. I consumatori hanno il diritto di sapere che le informazioni stampate sull’etichetta di una bottiglia riflettono con precisione l’origine del vino che stanno acquistando. Quando viene indicata una località diversa da quella effettiva, il consumatore viene ingannato e va perduta parte dell’identità di una specifica regione vinicola”.
L’ampliamento della Dichiarazione congiunta a tutela dei luoghi di origine del vino diventa quindi un’importante pietra miliare nel movimento, in continua crescita, volto a tutelare i luoghi di origine e ad esigere un’etichettatura precisa e leale. Il Consorzio Vino Chianti Classico, da sempre impegnato per la valorizzazione delle denominazioni di origine, per questo motivo è stato scelto come primo firmatario italiano del documento. (il testo completo su www.protectplace.com).
I dati - Nel 2006, il Gallo Nero all’insegna dell’export. In Usa il 30% del vino prodotto
Il Consorzio Vino Chianti Classico, dopo poco più di un anno dalla riunificazione in un unico organismo, sotto la nuova presidenza di Marco Pallanti, e con ottimi risultati economici (nel 2006, +20% sul 2005), è pronto ad affrontare la sfida dei mercati e dei competitors provenienti da tutto il mondo.
Una recente indagine della società di ricerche Eurisko lo testimonia: il Chianti Classico è un vino riconosciuto dall’88% dei consumatori italiani e quasi il 50% afferma di aver già visto il marchio del Gallo Nero.
Numeri da star per un vino che si nota, ma che soprattutto piace: il 2006 si è chiuso con 270.000 ettolitri marcati, che equivalgono a quasi 36 milioni di bottiglie vendute ed esportate in tutti i principali mercati mondiali, per un lusinghiero 20% sul 2005. A fare la parte del leone in questo quadro, il mercato a stelle e strisce che ha assorbito il 30% del vino imbottigliato.
Al centro del sistema chiantigiano resta il vino, espressione sublimata del vitigno autoctono Sangiovese, universalmente riconosciuto in un simbolo, il Gallo Nero, che ne testimonia l’origine e ne garantisce la qualità. Un sistema che è rappresentato da una struttura unica e fortemente qualificata quale il Consorzio Vino Chianti Classico, che oggi riunisce il 96% del prodotto a denominazione.
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