In un Paese dove quasi 8 milioni di persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare moderata o severa, ogni anno si buttano via 1,7 milioni di tonnellate di cibo. È un paradosso che fotografa con crudezza la realtà italiana, dove lo spreco alimentare convive con la povertà crescente. Secondo l’Osservatorio Waste Watcher International, il centro di ricerca dedicato allo studio dello spreco alimentare domestico e dei comportamenti di consumo legati al cibo, con un focus sull’impatto economico, sociale e ambientale, quei 1,7 milioni di tonnellate corrispondono a 3,4 miliardi di pasti da 500 grammi, sufficienti a sfamare oltre 3 milioni di persone in difficoltà.
In vista del “World Food Day” del 16 ottobre, che ricorda il valore del cibo, negli 80 anni della Fao (che verranno celebrati anche con l’inaugurazione del museo FaoMune, a Roma, come abbiamo riportato, nei giorni scorsi), i dati diffusi dall’Osservatorio invitano ad una riflessione urgente: “l’Italia è un Paese che spreca e che ha fame - spiega il direttore scientifico Waste Watcher, l’agroeconomista Andrea Segrè - mentre il 13,8% degli italiani teme di cadere in povertà alimentare nei prossimi dodici mesi”, ed ogni settimana ciascun cittadino getta in media oltre mezzo chilo di alimenti (555,8 grammi), secondo i dati Waste Watcher relativi a settembre 2025.
Un fenomeno strutturale, che colpisce soprattutto chi ha meno risorse e che, paradossalmente, tende a sprecare di più. Di fronte a questa emergenza silenziosa, cresce anche la consapevolezza: oltre la metà degli italiani (51%) si dice favorevole a inserire il diritto al cibo nella Costituzione, anche a costo di un lieve aumento della tassazione per finanziare programmi di welfare nutrizionale, mense sociali e filiere corte, riconoscendolo come diritto fondamentale per garantire un accesso equo, stabile e sostenibile ad un’alimentazione adeguata.
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