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30 anni fa lo scandalo del metanolo, poi il “Rinascimento” del vino del Belpaese, metafora del futuro dell’Italia. Con la produzione enoica tricolore dimezzata in volume ma triplicata in valore, puntando sulla qualità. Così Coldiretti e Symbola

Italia
Il Rinascimento del vino italiano fondato sulla qualità a 30 anni dallo scandalo del metanolo visto da Coldiretti e Fondazione Symbola

Nel 1986 una sofisticazione criminale, il vino al metanolo, colpisce l’Italia causando 23 vittime, provocando cecità e lesioni gravi a decine di persone e anche un incredibile danno per il settore e per l’immagine del Paese. Da allora il mondo del vino è cambiato puntando sulla qualità legata al territorio, anziché sulla quantità a basso prezzo. Così la produzione di vino italiano negli ultimi trent’anni è scesa del 38%, passando da 76,8 a 47,4 milioni di ettolitri, ma il valore e l’export sono cresciuti: rispettivamente più del doppio, da 2,5 miliardi di euro a 9,1 miliardi, e quasi sei volte (+575%), da 800 milioni a 5,4 miliardi. E il nostro vino mantiene saldamente il secondo posto per quota di mercato globale col 19,9%.

Anche se molto resta da fare, dopo il metanolo il mondo del vino made in Italy ha saputo infatti risollevarsi: scommettendo sulla sua identità, sui legami col territorio, sulle certificazioni d’origine: nel 1986 la quota di vini Doc e Docg era pari al 10% della produzione, oggi al 35%, e se contiamo anche i vini Igt, nati dopo, arriviamo al 66%. E puntando sui vitigni autoctoni, sull’innovazione e la sostenibilità, sulle professionalità. Insomma, scommettendo sulla qualità a tutto tondo. A trent’anni da allora, produciamo meno vino, ma questo vino vale molto di più.

Questi numeri descrivono la rinascita del vino made in Italy dopo la crisi del metanolo, rinascita resa possibile dalla scommessa sulla qualità. Ed è altamente simbolico che i luoghi dove lo scanalo nacque, in Piemonte, producano vini oggi straordinari, e che i loro paesaggi siano anche patrimonio Unesco. Una storia che è anche una metafora della missione dell’Italia. Come dimostrano i dati del report “Accadde domani” della Fondazione Symbola e di Coldiretti (presentato, oggi, a Roma), infatti, la ricetta della qualità è valida non solo per il vino ma per l’economia tutta e si è mostrata vincente in molti settori: dall’agroalimentare alla meccanica, dall’abbigliamento al legno arredo, dalle calzature agli occhiali solo per citarne alcuni.

“Quello che è accaduto dopo lo scandalo metanolo nel vino italiano - spiega il presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci - rappresenta una straordinaria metafora della missione del nostro Paese. La domanda di Italia nel mondo è legata alla qualità, alla bellezza, alla cultura. Per intercettarla l’Italia deve fare l’Italia, andare avanti nel cammino intrapreso verso la qualità e puntare sull’innovazione senza perdere la sua identità. Questa parabola produttiva e culturale che ha nel vino il suo campione riguarda anche una parte rilevante della nostra economia, questa tensione costante alla qualità rivela il cuore e il motore del made in Italy. E porta al successo in tutti i settori. Siamo primi per quote di mercato nell’abbigliamento in pelle (19%) e per quelle di macchine per l’industria alimentare (16,6%). I bambini di Shanghai, Pechino, Coney Island e Copenaghen, giocano sulle giostre italiane che sono le migliori del mondo. Non abbiamo rivali perché i nostri prodotti sono oltre che più belli e flessibili, anche più leggeri, e consumano la metà dell’energia delle giostre concorrenti”.

“Ora la nuova sfida è quella di rafforzare e difendere le poisioni acquisite combattendo la concorrenza sleale forte e agguerrita dei produttori internazionali che si concretizza nella vinopirateria con le contraffazioni e imitazioni dei nostri vini e liquori più prestigiosi che complessiva provocano perdite stimabili in oltre un miliardo di euro sui mercati mondiali” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “a preoccupare sono anche i tentativi di minare la distintività delle produzioni come dimostra la recente discussione comunitaria sulla liberalizzazione dei nomi dei vitigni fuori dai luoghi di produzione che consentirebbe anche ai vini di stranieri di riportare in etichetta nomi quali Aglianico, Barbera, Brachetto, Cortese, Fiano, Lambrusco, Greco, Nebbiolo, Picolit, Primitivo, Rossese, Sangiovese, Teroldego, Verdicchio, Negroamaro, Falanghina, Vermentino o Vernaccia, solo per fare alcuni esempi”.

Una strada, quella della qualità, seguita con successo da molte delle nostre imprese nei settori più diversi della nostra economia. Il report di Fondazione Symbola e Coldiretti analizza dunque anche altri prodotti italiani di eccellenza che hanno vinto al sfida della competitività puntando su innovazione e qualità. Nella filiera agroalimentare, ad esempio, siamo il Paese più forte al mondo per prodotti distintivi, con 282 prodotti Dop, Igp, Stg. L’export di scarpe è diminuito da 218.000 a 165.000 tonnellate in 30 anni ma il valore è passato da 5 a 11 miliardi di dollari.
Nell’abbigliamento in pelle l’esportazione è passata da 1.910 tonnellate a 2.254 tonnellate, mentre il valore è triplicato: 787 milioni di dollari a fronte di 233. Nella produzione di macchine per l’industria alimentare siamo passati da un export di 68.000 tonnellate (952 milioni di dollari) a 157.000 tonnellate, per un valore complessivo a 4,1 miliardi: +333%.

Focus - Dal Metanolo ad oggi +575% per l’export del vino del Belpaese. Italia leader mondiale, con una bottiglia esportata su cinque

Il vino ha fatto segnare nel 2015 il record storico nelle esportazioni che hanno raggiunto il valore di 5,4 miliardi con un aumento del 575% rispetto a 30 anni fa quando erano risultate pari ad appena 800 milioni di euro. A dirlo la Coldiretti e la Fondazione Symbola sulla base del Dossier “Accadde domani. A 30 anni dal metanolo il vino e il made in Italy verso la qualità”. Trenta anni fa nel marzo 1986 in seguito alle segnalazioni di alcuni casi di avvelenamento registrati a Milano, è dato l’incarico al sostituto procuratore della Repubblica Alberto Nobili di fare luce su quello che sarebbe stato un clamoroso scandalo del settore alimentare: il vino al metanolo. Vittime, decine di intossicati, inchieste giudiziarie e l’immagine del Made in Italy alimentare drammaticamente compromessa in tutto il mondo, ma anche un nuovo inizio con la rivoluzione che ha portato il vino italiano alla conquista di storici primati a livello nazionale, comunitario ed internazionale.

Il risultato è che oggi nel mondo 1 bottiglia di vino esportata su 5 è fatta in Italia che si classifica come il maggior esportatore mondiale di vino. Il 66% delle bottiglie di vino esportate dall’Italia sono Dog/Doc o Igt. In termini di fatturato il primo mercato del vino Made in Italy con il valore record delle esportazioni di 1,3 miliardi di euro sono diventati gli Stati Uniti che hanno sorpassato la Germania che rimane sotto il miliardo davanti al Regno Unito con oltre 700 milioni di Euro. Ma negli ultimi anni si sono aperti nuovi mercati prima inesistenti come quello della Cina dove le esportazioni di vino hanno superato gli 80 milioni di euro nel 2015. Nel 2015 sul 2014 le vendite hanno avuto un incremento in valore di oltre 13% negli Usa, mentre nel Regno Unito l’export cresce dell’11% e la Germania rimane sostanzialmente stabile. In Oriente le esportazioni sono cresciute sia in Giappone sia in Cina rispettivamente in valore del 2% e del 18%. Negli Stati Uniti - continuano Coldiretti e Symbola - sono particolarmente apprezzati il Chianti, il Brunello di Montalcino, il Pinot Grigio, il Barolo e il Prosecco che piace però molto anche in Germania insieme all’Amarone della Valpolicella ed al Collio.

Lo spumante è stato il prodotto che ha fatto registrare la migliore performance di crescita all’estero con le esportazioni che sfiorano per la prima volta il record storico del miliardo di euro nel 2015. Il risultato è che all’estero si sono stappate piu’ bottiglie di spumante italiano che di champagne francese, con uno storico sorpasso con il 2015 che si chiude con volumi esportati pari ad una volta e mezzo quelli degli spumanti transalpini (+50%). Nella classifica delle bollicine italiane più consumate nel mondo ci sono nell’ordine il Prosecco, l’Asti, il Trento Doc e il Franciacorta. Tra le destinazioni, la classifica è guidata dal Regno Unito con circa 250 milioni di euro e un incremento del 44% nel 2015, ma rilevanti sono anche gli Stati Uniti con circa 200 milioni ed un aumento del 26% a valore.

Focus - Made in Italy: vino “Doc” in 2 bottiglie su 3, dà lavoro a 1,25 milioni di italiani

Negli ultimi trent’anni la produzione di vino in Italia è scesa del 38%, passando da 76,8 a 47,4 milioni di ettolitri. Ma è stato un calo di produzione accompagnato da una crescente attenzione alla qualità con il primato dell’Italia in Europa per numero di vini con indicazione geografica (73 Docg, 332 Doc e 118 Igt). Nel 1986, anno del metanolo, la quota di vini Doc e Docg era pari al 10% della produzione, oggi al 35%, e se contiamo anche i vini Igt, nati dopo, arriviamo al 66%. I altre parole, i 2/3 delle bottiglie.

“Si stima che il vino - aggiunge Coldiretti - offra durante l’anno opportunità di lavoro ad un 1,25 milioni di italiani tra quanti sono impegnati direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale, ma anche in attività connesse, di servizio e nell’indotto che si sono estese negli ambiti più diversi: dall’industria vetraria a quella dei tappi, dai trasporti alle assicurazioni, da quella degli accessori, come cavatappi e sciabole, dai vivai agli imballaggi, dalla ricerca e formazione alla divulgazione, dall’enoturismo alla cosmetica e al mercato del benessere, dall’editoria alla pubblicità, dai programmi software fino alle bioenergie ottenute dai residui di potatura e dai sottoprodotti della vinificazione (vinacce e raspi)”.

Secondo uno studio della Coldiretti la raccolta di un grappolo alimenta opportunità di lavoro in ben 18 settori: agricoltura, industria di trasformazione, commercio e ristorazione, vetro per bicchieri e bottiglie, lavorazione del sughero per tappi, trasporti, assicurazioni, credito, finanza, accessori come cavatappi, sciabole e etilometri, vivaismo, imballaggi come etichette e cartoni, ricerca, formazione e divulgazione, enoturismo, cosmetica, benessere e salute con l’enoterapia, editoria, pubblicità, informatica, bioenergie.

Focus - Vino: consumi dimezzati in 30 anni, è minimo storico. Ma in Italia ci sono 3 milioni di enoturisti e 35.000 sommelier

Dalla scandalo del metanolo ad oggi i consumi di vino degli italiani si sono praticamente dimezzati passando dai 68 litri per persona all’anno del 1986 agli attuali 37 litri che rappresentano il minimo storico dall’Unità d’Italia nel 1861. A dirlo la Coldiretti e la Fondazione Symbola sulla base del Dossier “Accadde domani. A 30 anni dal metanolo il vino e il made in Italy verso la qualità”.

Il risultato è che la quantità di vino made in Italy consumato all’interno dei confini nazionali è risultata addirittura inferiore a quella nel resto del mondo. In Italia si beve meno, ma si beve meglio con il vino che si è affermato nel tempo come l’espressione di uno stile di vita “lento” attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi in alternativa agli eccessi. In Italia si stima la presenza di 35mila sommelier, ma un numero crescente di giovani ci tiene ad essere informato sulle caratteristiche dei vini e cresce tra le nuove generazioni la cultura della degustazione consapevole con la proliferazione di wine bar e un vero boom dell’enoturismo, dalle strade alle città del vino, che è una realtà consistente in Italia dal 1994, quando intorno a “Cantine aperte” nacque un movimento che oggi registra circa 3 milioni di turisti l’anno, per un giro d’affari che si attesta intorno ai 4 miliardi.

Il 73% dei consumatori di vino lo bevono in casa, prevalentemente durante i pasti, apprezzando in otto casi su dieci più il vino rosso rispetto al bianco o alle bollicine che invece sono preferiti da chi lo consuma fuori casa per il 62%, secondo una recente indagine dell’Osservatorio vino dalla quale emerge che cresceranno di oltre l’8% i consumi di vino al ristorante nei prossimi due anni, per lo più al bicchiere, dove avranno la meglio le etichette locali o regionali per il 94,5% dei consumatori.
ll vero cambiamento rispetto al passato si registra infatti nelle scelte di consumo con i vini del territorio che fanno registrare i maggiori incrementi della domanda a livello nazionale dove, a fronte di una stagnazione dei consumi, è boom per gli acquisti di vini autoctoni dal Pecorino al Pignoletto, dalla Falanghina al Negroamaro. Nel tempo della globalizzazione gli italiani bevono locale con il vino a “chilometri zero” che è il preferito nelle scelte di acquisto in quasi tutte le realtà regionali.

La domanda sostenuta di vini di produzione locale ha spinto la nascita a livello regionale di numerose realtà per favorirne la conoscenza, la degustazione e l’acquisto. Sono molte le aziende vitivinicole che aprono regolarmente o in speciali occasioni le porte ai visitatori per far conoscere la propria attività con i metodi di produzioni dal vigneto alla cantina. Sono oltre 1000 i produttori di vino certificati che fanno parte della rete di vendita diretta di Campagna Amica attraverso punti vendita e mercati degli agricoltori dove vengono offerti vini locali a chilometri zero.

Focus - Dal Qr Code a Bio, le innovazioni nel vino a 30 anni dal metanolo

Con 72.300 ettari di terreno coltivati da 10.000 aziende e 1.300 cantine, in Italia si trova il 22% dei vigneti mondiali coltivati con metodo biologico (secondo il regolamento (UE) n. 203/2012 che modifica il regolamento (CE) n. 889/2008, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio in ordine alle modalità di applicazione relative al vino biologico). A ricordarlo la Coldiretti , ella presentazione del Dossier elaborato con Symbola “Dal metanolo al primato del Made in Italy, i 30 anni che hanno rivoluzionato il vino italiano”.

Il boom nella produzione di vino biologico made in Italy non è solo l’unico cambiamento che si è verificato nel trentennio, ma significative novità hanno riguardato anche il recupero dei vitigni autoctoni con il record di 1200 esemplari presenti in Italia e l’arrivo del QR code in etichetta per garantire la tracciabilità dal tralcio al bicchiere attraverso lo smartphone. Ma c’è anche la possibilità di verificare sul web il contrassegno presente sulle bottiglie per avere informazioni sul prodotto, oltre che per essere garantiti rispetto al rischio di imitazioni.

Vanno ricordati anche i produttori di vino che hanno introdotto il sistema di lettura braille per non vedenti nelle etichette che, nel tempo, oltre a elemento di informazione sono diventate anche strumento di marketing anche con vere opere artistiche. Il vino è diventato anche strumento di solidarietà con un crescendo di esempi di come con il vino possa nascere lavoro "buono" per diversamente abili, detenuti e tossicodipendenti anche con il recupero dei terreni sottratti alla criminalità.

Dal 4 agosto 2008 - segnala la Coldiretti - è arrivata la possibilità di mettere in commercio i vini a denominazione di origine nel formato bag in box, gli appositi contenitori in cartone e polietilene dotati di rubinetto che consentono di spillare il vino senza far entrare aria, garantendone la conservazione. In questi anni sono stati anche introdotti per la prima volta i primi tappi di vetro al posto di quelli di sughero, è arrivato lo spumante made in Italy con polvere d’oro, quello fatto invecchiare nel mare e la bottiglia di spumante con fondo piatto per aumentare la superficie che i lieviti hanno a disposizione per assolvere al meglio il loro compito.

Ma negli ultimi trenta anni sono stati evidenti anche gli effetti dei cambiamenti climatici con la presenza della vite che si è spostata verso l’alto fino a quasi 1200 metri di altezza come nel comune di Morgex e di La Salle, in provincia di Aosta, dove dai vitigni più alti d’Europa si producono le uve per il Blanc de Morgex et de La Salle Dop.

Un capitolo a parte - conclude la Coldiretti - è rappresentato dalla nascita e diffusione del “Wine beauty” iniziato con il bagno nel vino, ma che oggi riguarda dal dopobarba all’Amarone alla crema viso alla linfa di vite, dallo scrub agli scarti di potatura al gel di uva rassodante, dalla crema antietà allo spumante allo shampoo al vino rosato o allo stick labbra agli estratti di foglie di vite.

Focus - Lo studio Symbola-Coldiretti: lo sviluppo qualitativo dell’Italia nell’agroalimentare

Per 89 prodotti l’Italia è leader dell’agroalimentare nel mondo

Nella filiera agroalimentare, ad esempio, siamo il Paese più forte al mondo per prodotti distintivi, con 282 prodotti Dop, Igp, Stg. C’è poi il biologico: l’Italia è il primo paese europeo per numero di agricoltori biologici (43.852, il 17% del totale europeo). Questa ricchezza trova riscontro nei risultati economici della filiera: in ben 89 prodotti, sul totale dei 704 in cui viene disaggregato il commercio agroalimentare mondiale, il nostro Paese detiene il primo, secondo o terzo posto per quote di mercato. Nonostante l’Italian sounding che, puntando sull’attrattività delle produzioni italiane e spacciando prodotti che con l’Italia non hanno niente a che fare, sottrae alla nostra economia 60 miliardi di euro ogni anno.

Campioni di meccanica

Anche la meccanica è uno dei fiori all’occhiello del nuovo made in Italy: nella fabbricazione di macchine per l’industria alimentare nel 1989 esportavamo per 68.000 tonnellate e un valore di 952 milioni di dollari, oggi le tonnellate, e presumibilmente il numero di macchine, sono arrivate a 157.000 (+130%), il loro valore complessivo a 4,1 miliardi: +333%. Anche in questo caso più qualità e innovazione hanno fatto crescere valore e desiderabilità del made in Italy e così siamo passati dal secondo posto nelle quote di mercato del 1989 (16%) al primo di oggi (16,6%).

Dalle cucine italiane un export di 872 milioni

Tra i settori tradizionali del made in Italy non possiamo non citare l’industria del mobile. Guardando al caso dei mobili da cucina, da esempio, le imprese italiane sono passate da 24.000 tonnellate esportate a 122 mila, circa 5 volte tanto (+408%) per un valore nominale dell’export cresciuto invece di oltre dieci volte, da 86 fino a 872 milioni. E manteniamo nel settore il 13,8% del mercato mondiale. Il passaggio verso la qualità produce poi una riduzione del consumo di materie prime, nell’uso di energia, nella produzione di rifiuti e di emissioni di CO2. È insomma una scelta concreta per affrontare anche gli obiettivi della COP21 di Parigi, per contrastare i mutamenti climatici. Una via italiana alla green economy. A trent’anni da quel drammatico 1986, dunque, la coraggiosa rinascita del vino italiano è un’indicazione preziosa per capire le radici e il presente del made in Italy, per affrontare i problemi che ne sacrificano le potenzialità, per tracciare nuove ambiziose rotte verso il futuro.

Focus - Lo scandalo del metanolo nel 1986 e il percorso del vino italiano da allora ad oggi

È il 18 marzo 1986 quando l’Ansa batte la notizia che in seguito alle segnalazioni di alcuni casi di avvelenamento registrati a Milano, è dato l’incarico al sostituto procuratore della Repubblica Alberto Nobili di fare luce su quello che sarebbe stato un clamoroso scandalo del settore alimentare: il vino al metanolo. Le persone decedute fino a quel momento sono tre: Armando Bisogni di 48 anni, Renzo Cappelletti di 58 anni, e Benito Casetto, deceduto all’Ospedale di Niguarda. Le vittime sono etilisti. Il metanolo o alcool metilico è un alcool altamente tossico che si ottiene per distillazione a secco del legno o, industrialmente, per sintesi o, ancora, con la pressatura delle uve, quando questa viene spinta al massimo per ottenere un’elevata produzione di vino e viene impiegato nei processi di vinificazione perché aumenta la gradazione alcolica del vino al pari dello zucchero o dell’alcool etilico.

In realtà, il metanolo è un componente naturale del vino presente in una misura compresa tra 0,6 e 0,15 ml su 100 ml di alcool etilico complessivo, essendo un prodotto secondario della fermentazione alcolica, ma provoca danni permanenti ed è mortale nelle dosi tra 25 e 100 ml. A breve, le autorità italiane rendono, comunque, nota la marca dei vini che hanno causato i primi casi di avvelenamento: si tratta di Barbera da tavola e bianco da tavola imbottigliato dalla ditta di Carlo e Vincenzo Odore, titolari della società in nome collettivo di Incisa Scapaccino (Asti) e venduto nei supermercati Gs, Esselunga e Coop. Accertamenti di laboratorio, eseguiti dall’Istituto di medicina legale e dall’Ufficio provinciale di igiene e profilassi di Milano su campioni di vino prelevato sia nei supermercati che presso la ditta produttrice, rivelano la presenza di alcool metilico in quantità superiore a quella prevista dalla legge.

Dalla Procura partono comunicazioni giudiziarie per le ipotesi di reato di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, violazione dell’art. 22, comma 2, lett. d) del D.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162 Norme per la repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio dei mosti, vini ed aceti che fissa i limiti massimi entro i quali deve essere contenuta la quantità di alcool metilico nel vino (0,30 millilitri ogni cento millilitri nel rosso e 0,20 nei bianchi). Le autorità sanitarie, a loro volta, danno comunicazione che solamente con forti assunzioni di vino - più di 1 litro al giorno - si può andare incontro a disturbi gravi, mentre nelle quantità normali - 1 o 2 bicchieri per pasto - non si incontrano conseguenze rilevanti; e che i segni caratteristici dell’intossicazione da alcool metilico sono essenzialmente: perdita di coscienza fino al coma; disturbi visivi fino alla cecità; acidosi metabolica.

Il 24 marzo 1986 una nave cisterna italiana viene sequestrata a Sète in Francia. Il carico di vino della nave cisterna italiana Kaliste è messo sotto sequestro in quanto il vino trasportato della ditta Antonio Fusco di Mandria (Taranto) è sospettata di contenere metanolo come poi viene accertato con analisi più approfondite. A distanza di pochi giorni vengono arrestati i titolari della ditta Ciravegna della provincia di Cuneo per aver fornito vino al metanolo (Giovanni Ciravegna è poi condannato a 14 anni di carcere) mentre in Germania, nella regione del Baden Wuerttemberg, il Ministero della Sanità sequestra 500 bottiglie di Barbera d’Asti che presentano all’analisi un contenuto di 6.7 grammi di metanolo per litro, prodotti dall’azienda vinicola Giovanni Binaco di Castagnole Lanze in Piemonte.

Ma come mai fino a quel famigerato marzo 1986 nessuno aveva pensato di ricorrere a tale pratica di sofisticazione? La risposta è che fino a quel momento mancava la convenienza economica dell’operazione illecita. Questo tipo di adulterazione del vino diviene, infatti, conveniente con l’emanazione della l. 28 luglio 1984 n. 408 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 giugno 1984, n. 232, concernente Modificazioni al regime fiscale per gli alcoli e per alcune bevande alcoliche in attuazione delle sentenze 15 luglio 1982 e 15 marzo 1983 emesse dalla Corte di giustizia delle Comunità europee nelle cause n. 216/81 e n. 319/81; nonché con l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto su alcuni vini spumanti e dell’imposta di fabbricazione sugli alcoli che ha detassato il metanolo e lo ha sottratto alla vigilanza degli uffici finanziari, con la conseguenza che il costo del metanolo diviene, in proporzione, dieci volte inferiore a quello dell’alcool etilico.

Alcuni produttori e commercianti spregiudicati approfittando delle carenze nel sistema di controllo sugli alimenti decidono, dunque, di conseguire il massimo profitto con il minimo costo della materia prima e con il minor rischio di essere sorpresi in flagranza, perché la sofisticazione attuata con il metanolo in alternativa allo zucchero avviene in uno spazio temporale brevissimo e tale, quindi, da ridurre al minimo il pericolo di controlli a sorpresa. A seguito dello scandalo il Governo assume una serie di provvedimenti d’urgenza destinati a rendere più efficace l’azione di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari.

Il 12 aprile 1986 il Ministero della Sanità emana l’ordinanza n. 267900 Misure cautelative urgenti di tutela della salute pubblica dirette ad evitare il rischio di immissione al consumo di vini adulterati con metanolo con la quale si vieta la distribuzione, la vendita e somministrazione dei vini prodotti o commercializzati da un elenco di aziende riportate in allegato al provvedimento e cioè le ditte inquisite per adulterazione con metanolo e le ditte i cui campioni evidenziano all’analisi un contenuto superiore ai limiti di legge e i cui prodotti sono soggetti a sequestro cautelativo.
Dai dati riportati nell’ordinanza si evidenzia come il fenomeno delle sofisticazioni al metanolo interessi, quasi esclusivamente, le regioni del centro-nord: Piemonte (nelle province di Alessandria, Asti, Cuneo, Novara), Emilia-Romagna (Ravenna, Ferrara, Piacenza, Parma), Trentino Alto Adige (Bolzano), Lombardia (Varese), Toscana (Lucca, Firenze, Pisa), Liguria (Genova), Veneto (Treviso, Verona, Padova), Friuli Venezia Giulia (Udine), Puglia (Taranto). Viene, poi, emanato il D.L. 18 giugno 1986 n. 282 recante Misure urgenti in materia di prevenzione e repressione delle sofisticazioni alimentari convertito con modificazioni nella l. 7 agosto 1986 n. 462 (tuttora vigente) con la quale si istituisce l’anagrafe vitivinicola su base regionale destinata a raccogliere per ciascuna delle imprese che producono, detengono, elaborano e commercializzano uve, mosti, mosti concentrati, vini, vermouth, vini aromatizzati e prodotti derivati, i dati relativi alle rispettive attività. Sono potenziati, inoltre, i servizi di controllo aumentando gli organici dei NAS, gli uffici periferici delle dogane e si istituisce presso l’allora Ministero dell’agricoltura e delle foreste, l’Ispettorato Centrale Repressione Frodi (oggi Icqrf) articolato in uffici interregionali, regionali e interprovinciali. Allo stesso tempo, sono stanziate ingenti risorse (10 miliardi e, rispettivamente, 5 miliardi) per una campagna straordinaria di educazione alimentare ed informazione dei consumatori e per una campagna di informazione specifica sul vino promossa dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste e attuata mediante convenzioni con l’Ice - Istituto nazionale per il Commercio Estero e con gli organismi nazionali di settore, nonché per finanziamenti destinati a progetti che favoriscano la penetrazione dei mercati interni ed esteri. La flessione dei consumi e delle vendite di vino conseguenti allo scandalo induce il Governo ad integrare le normali azioni comunitarie di riequilibrio del mercato e di sostegno dei prezzi, con due provvedimenti straordinari nazionali: uno per la distillazione e l’altro per lo stoccaggio, il primo relativo ai vini da tavola ed il secondo ai vini doc. Alla fine dell’anno è, poi, istituita l’Age-Control Spa con il compito di controllare gli aiuti comunitari al fine di prevenire le frodi nei settori che beneficiano delle provvidenze comunitarie tra cui è compreso anche il vino. La vicenda del vino al metanolo si conclude, quindi, con un bilancio drammatico: ventitre morti e decine di consumatori colpiti da gravi lesioni e l’intero settore che, dopo tale scandalo, ha attraversato un periodo di profonda crisi.

Oggi, come dimostrano i confronti economici nelle pagine che seguono, la situazione è del tutto diversa, e il vino italiano è un’eccellenza mondiale. Tuttavia, per il vino come per gli altri settori del made in Italy, vale la regola che anche le posizioni di maggiore vantaggio vanno salvaguardate e tutelate con attenzione. Senza smettere di ragionare sulle prospettive, su come affrontare la concorrenza forte e agguerrita dei produttori internazionali che si concretizza, slealmente, anche con la vinopirateria. Per far questo occorre innanzitutto continuare a fare le poche cose concrete che sono state alla base del rinascimento del vino: tutelare i vitigni antichi e autoctoni che costituiscono il nostro grande patrimonio e valore aggiunto; valorizzarne le assolute qualità attraverso mirate politiche di marketing; favorire e finanziare ancor di più la ricerca affinché queste qualità possano essere trasmesse in prodotti vinicoli di alto pregio; promuovere il turismo del vino e le Strade del Vino con azioni che valorizzino l’identità dei territori come veri e propri distretti; rafforzare sempre di più il legame tra vino e territorio, forte antidoto contro ogni futura tentazione illegale. In sostanza, si tratta di dare ai produttori certezze imprenditoriali ed offrire ai consumatori altrettante garanzie assolute di qualità.

Nel 1986, anno dello scandalo del metanolo, l’Italia produceva 77 milioni di ettolitri di vino: vino mediamente di bassa qualità, che valeva 4,2 miliardi di euro. Oggi (anno 2015, ultimi dati disponibili), dopo trent’anni e un complesso percorso qualitativo, gli ettolitri prodotti sono 47 milioni, il 45% in meno, ma valgono 9,4 miliardi di euro, più del doppio (valore nominale). L’export valeva allora 800 milioni di euro, oggi 5,4 miliardi. In quegli anni (esattamente nel 1989) il valore medio del nostro vino sui mercati mondiali (unico indicatore statistico della qualità) era molto inferiore a quello medio mondiale (-36%), mentre oggi è ben al di sopra: +48%. Questa crescita in valore ci ha permesso, nonostante nel frattempo siano arrivati nuovi agguerriti competitor (Australia, California, Sudafrica) e nonostante il calo della produzione, di mantenere il secondo posto nelle quote di mercato globali col 19,9%. Questo rinascimento del vino italiano incarna la transizione da un’economia che poggia sulle grandi quantità a basso prezzo, verso una che scommette, e vince, con la qualità. Ottenuta puntando sul territorio e sui saperi, scommettendo invece che su pochi grandi vitigni sulla grande biodiversità italiana di vitigni autoctoni e sulle certificazioni d’origine: l’Italia è prima in Europa per numero di vini con indicazione geografica (73 Docg, 332 Doc e 118 Igt). Se nell’86 la quota di vini Doc e Docg era pari al 10% della produzione, oggi è pari al 35%, e se contiamo anche i vini IGT, categoria nata dopo l’86, arriviamo al 66%. Il vino italiano ha scommesso sull’innovazione: partendo dalla vigna, passando per l’impiego di attrezzature sempre più efficienti che permettono di ottimizzare l’uso dei prodotti (che siano fitofarmaci o fertilizzanti) e di acqua. Perché innovazione significa anche sostenibilità: dalla riduzione delle emissioni (abbiamo l’agricoltura più efficiente tra i grandi paesi Ue) al biologico (72.000 gli ettari vitati). E competenze: tra i filari arriva l’enologo, in cantina il manager e l’esperto di marketing, per trasmettere ai consumatori il valore aggiunto anche immateriale dei nostri vini, passati da commodities, negli anni ’80, a beni con una profonda dimensione culturale.

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