
40 milioni di euro, in 4 anni, per un rilancio in grande stile dell’Asti docg, con una campagna di comunicazione integrata pluriennale internazionale per la valorizzazione del primo spumante italiano. L’investimento, mastodontico per il mondo del vino, “mira a riconquistare nella mente dei consumatori - si legge in una nota stampa - la posizione che gli compete: un prodotto dolce e aromatico per natura, di grande tradizione e qualità che ha il privilegio di nascere in un territorio unico”.
L’ideazione e la realizzazione del piano promozionale è frutto di sinergie importanti di un gruppo interdisciplinare di professionisti della comunicazione in grado di lavorare a livello internazionale: il gruppo, sotto la guida del Direttore del Progetto di rilancio dell’Asti docg Andrea Ghiglione, include Cohn & Wolfe (relazioni pubbliche), Red Cell (pubblicità e branding), Mediaedge - Cia (pianificazione mezzi).
La creatività dell’Asti docg … in tv e stampa
... l’immagine sulla stampa
Una campagna che racconta il territorio attraverso il suo vino, evocando i paesaggi dell’Asti in una visione quasi onirica. E’ così che un piccolo borgo, circondato da filari d’uva, si posa magicamente sull’onda che il vino forma muovendosi nella coppa. Una luce paglierina avvolge tutto in una suggestione “liquida” dove i confini di vino e paesaggio si confondono, come in un sogno.
... il film in tv
La stessa ispirazione onirica è presente nel film 30”. Le immagini del vino si confondono con quelle del territorio: le “bollicine” dello spumante ora salgono verso il cielo, ora si trasformano in gocce di rugiada, ora diventano un grappolo d’uva. Un bicchiere di Asti docg racchiude in sé tutta la magia della sua terra. “Asti docg, la dolcezza nasce dalla terra” è il claim che chiude il film, sottolineando l’unicità di questo vino e del suo territorio.
L’Asti … milioni di bollicine
L’Asti docg, il vino dolce e aromatico per eccellenza, rappresenta uno dei simboli più efficaci dell’enologia italiana nel mondo e continua ad accrescere la sua forza di attrazione. I dati di mercato lo affermano con chiarezza. Nel 2005 sono stati venduti complessivamente 69 milioni di bottiglie, con una crescita del 2,2% sul 2004. Questo risultato va suddiviso tra il mercato italiano, che si è aggiudicato il 22% delle vendite e l’intera platea di quelli esteri dove è stato collocato il restante 78%. Disaggregando questo dato troviamo l’Europa nettamente avanti con il 51% e i restanti Paesi a cui è andato il 27% del venduto. La commercializzazione di Asti docg all’estero, pari a 54 milioni di bottiglie, dopo un 2004 in lieve flessione lo scorso anno ha ripreso a volare segnando un + 6,3%. Al primo posto troviamo nettamente la Germania, con 14,5 milioni di bottiglie che costituiscono un significativo incremento, seguita dagli Stati Uniti (11,7) e dalla Gran Bretagna (7). Molto staccati troviamo poi Russia (3), Portogallo (2,2), Australia (2,1), Giappone (1,8), con Canada e Danimarca attorno al milione di bottiglie acquistate. Il mercato che sta mostrando l’entusiasmo maggiore è la Russia, dove in un anno gli acquisti sono incrementati di oltre il 60%, ma anche il Portogallo (+22%) offre soddisfazioni.
L’Europa migliora globalmente il dato del 2005 del 3,6% sul 2004, pur scontando un calo sul mercato inglese e su quello francese, quest’ultimo mai comunque generoso verso Asti docg, probabilmente per motivi di tradizione profondamente diversa e di difesa della produzione interna. Se all’estero le soddisfazioni non mancano è il mercato italiano a segnare una battuta d’arresto. I 15 milioni di bottiglie vendute in ambito domestico - che restano in ogni caso il miglior risultato mondiale - rappresentano un calo del 10% sul 2004, quando era già stata rilevata una flessione, più contenuta, sull’anno precedente. Ed è rilevante il peso di questo arretramento nazionale che ridimensiona la positiva tendenza europea: se l’incremento complessivo di vendite nel 2005 è stato pari al 3,6%, sottraendo il risultato italiano si ottiene un balzo complessivo europeo ben più significativo, che arriva a + 11%.
Analizzando le tendenze, sono significative le cifre che emergono dall’andamento dei primi 6 mesi 2006. Anche se il periodo conclusivo dell’anno, con le ricorrenze festive connesse, è destinato a imprimere accelerazioni importanti. Le vendite complessive, nel primo semestre, hanno fatto segnare una lieve crescita, inferiore all’1%, sull’identico periodo del 2005 (20,4 milioni di bottiglie contro 19,9), ma è il mercato italiano a dare i segnali di maggiore vivacità: un incremento del 7,8%, dopo tre anni di arretramento, rappresenta una bella novità; mentre la Russia conferma la grande passione per l’Asti, in Portogallo si registra una frenata che si conferma ancora per la Gran Bretagna: il complesso dei Paesi europei fatica a confermare il volume di vendite del primo semestre 2005. In questo caso è il positivo risultato del mercato italiano a bilanciare il decremento dell’esportazione, consentendo di mantenere il segno positivo.
Intanto arrivano ottime notizie dalla vendemmia appena conclusa. Le condizioni climatiche nei periodi decisivi della maturazione dell’uva - irraggiamento solare, escursione termica notturna, equilibrio tra pioggia e secco - sono state ottimali e i risultati si vedono, in quantità e qualità. Il volume complessivo di uve moscato raccolte, che andranno suddivise nella produzione di Asti docg e Moscato d’Asti, ha raggiunto 1.150.000 quintali con un aumento del 4% sul 2005. Ma sono le caratteristiche che le uve mostrano a indurre all’ottimismo i responsabili del Consorzio di tutela dell’Asti, con una concentrazione zuccherina e una carica aromatica a livelli di eccellenza.
Il regista dell’Asti … è il Consorzio
Il Consorzio per la tutela dell’Asti nasce nel dicembre 1932 e viene riconosciuto ufficialmente due anni più tardi. La sua finalità originaria era la definizione della zona di coltivazione delle uve moscato destinate alla produzione dell’Asti, della tecnica di preparazione e delle caratteristiche del vino. Con l’introduzione in Italia, nel 1963, della Denominazione di origine controllata, il ruolo del Consorzio è stato decisivo per fare attribuire la Doc al Moscato d’Asti, al Moscato d’Asti Spumante e all’Asti Spumante: questo vino viene successivamente ammesso alla Denominazione di origine controllata e garantita, docg, istituita nel 1994. Oggi il Consorzio certifica le partite di prodotto delle aziende consorziate e consegna il contrassegno statale, la cosiddetta fascetta, che attesta la conformità alle norme.
Le aziende consorziate sono 44 industrie o aziende commerciali, 22 aziende vinificatrici, 16 cantine cooperative, 5 cantine cooperative di secondo grado, 75 aziende vitivinicole e 9 aziende viticole.
La zona di produzione comprende 52 comuni piemontesi distribuiti nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo, per una superficie complessiva di 9.900 ettari e la presenza attiva di oltre 6.030 vignaioli.
Il presidente del Consorzio per la tutela dell’Asti (tel +39 0141 960911, consorzio@astidocg.it, www.astidocg.it) è Emilio Barbero e il direttore generale Ezio Pelissetti.
Dove nasce l’Asti docg
Il Piemonte è terra di vini per definizione, dove nasce un numero considerevole di prodotti enologici di alto livello. Questa caratteristica fa sì che quasi ogni singola area possa vantare la presenza di un vitigno pregiato, con il quale in alcuni casi finisce per identificarsi.
Le Langhe, il Monferrato e il Roero, in particolare, sono terre generose, ospitano gli impianti all’origine di una buona parte dei migliori vini piemontesi e in una porzione importante di quelle colline si trovano i fitti filari di uve moscato da cui nasce Asti Spumante, o meglio Asti docg. Un territorio non ancora troppo urbanizzato, dove i centri abitati sono distinti tra loro con ampie fasce collinari a fare da confine, garantendo al tempo stesso un collegamento ideale. Zone dove la scansione del tempo sembra non essere eccessivamente contagiata dal ritmo frenetico che altrove impera, dove si ha ancora il rispetto delle fasi dettate dalla natura, dove, verrebbe da dire, si sa ancora aspettare. Questa è terra di colline, di nebbie ma anche di sole bruciante, terra di nocciole, di carni eccellenti, funghi, tartufi cercati in silenzio con il fidato cane. Panorami scrutati da occhi tormentati come quelli di Cesare Pavese, che era nato a Santo Stefano Belbo, o ironici come quelli del langarolo di Alba Beppe Fenoglio. Paesaggi attraversati in lungo e in largo dal torinese Mario Soldati che in questa zona veniva a cercare le eccellenze della tavola piemontese per raccontarle, da entusiasta descrittore, prima sulle pagine di libri e giornali e poi nelle prime pioneristiche trasmissioni televisive in bianco e nero.
Il forte legame con il territorio, a costo di sembrare refrattari al cambiamento e alla modernità, è una caratteristica dei piemontesi e soprattutto di quanti lavorano a contatto con la natura. Gente concreta, poco espansiva ma sensibile, gelosa custode di tradizioni soprattutto quando queste significano attaccamento alla qualità di un prodotto e al procedimento che questo risultato garantisce. Ma senza rifiutare a priori quanto può offrire il progresso, a patto di non stravolgere il dettato della natura. Questa è anche terra di forte spirito imprenditoriale, di grandi produttori e allevatori, di generazioni che hanno saputo coniugare la salvaguardia della qualità con lo sviluppo del commercio: un tempo andando per mercati nei paesi vicini, ora aprendo linee di esportazione negli Stati Uniti o in Estremo Oriente.
Oggi come ieri il moscato bianco è il vitigno che caratterizza il paesaggio collinare delle Langhe e del Monferrato, ma le precise regole del Consorzio di tutela e il disciplinare Docg dell’Asti Spumante definiscono il perimetro esatto entro cui la definizione ha valore a tutti gli effetti. Sono 52 i Comuni nei quali chi opera in vigna può fregiarsi della dizione ufficiale: 9 in Provincia di Alessandria, 27 in Provincia di Asti, 16 in Provincia di Cuneo.
Le caratteristiche geologiche dei terreni e quindi la loro composizione minerale non presentano differenze significative, che si manifestano invece dal punto di vista morfologico, del disegno delle colline. Su questa base si usa quindi suddividere i quasi 10 mila ettari coltivati a moscato bianco in quattro zone: attorno a Santo Stefano Belbo, con colline dai profili arrotondati e un versante molto ripido; nell’area di Canelli, con vallate più ampie e pendii meno scoscesi; il cuore della terza è Nizza Monferrato, con un disegno collinare molto dolce; l’ultima, che si estende a partire da Acqui Terme, presenta vallate strette con profili abbastanza pendenti.
L’Asti: il frutto di un vitigno autoctono
Il vino è il risultato di una felice combinazione di fattori riconducibili alla natura e all’intervento umano, il primo dei quali risiede nelle uve che lo generano. Parlando di Asti Spumante il punto di partenza è il grappolo del moscato bianco, uva generosa, dalla quale nasce anche un altro vino, il Moscato d’Asti. Il grappolo è ricco, con acini sodi di colore giallo vivo, dalla forte carica aromatica e dal contenuto zuccherino notevole. Caratteristiche che troveremo poi con forza quasi inalterata nel vino cui danno vita.
Queste uve sono coltivate nei fitti filari delle colline piemontesi collocate a cavallo tra Langhe, Roero e Monferrato, nel cuore di una regione che nei secoli ha fatto del vino una bandiera: non solo in quanto importante risorsa produttiva, ma anche come valore intrinseco di una civiltà fortemente legata alla terra. La coltivazione delle uve richiede attenzione e passione, la scelta di perseguire l’obiettivo della qualità comporta la riduzione, in un preciso momento della maturazione, della quantità dei grappoli germinati da ogni pianta per permettere ai rimanenti di concentrare al meglio la percentuale zuccherina e le caratteristiche varietali. La quantità complessiva della produzione non subisce comunque contrazioni, vista l’elevata densità per ettaro degli impianti, con filari fitti e vicini. Langhe, Roero e Monferrato sono dunque la culla dell’Asti Spumante, le colline che ne caratterizzano il paesaggio sono simili per composizione geologica e minerale dei terreni ma decisamente diverse per la disposizione dei pendii: si alternano profili impervi, più accessibili e terrazzati, morbidi.
Una volta assicurata la qualità della materia prima, si passa alle operazioni in cantina. Dopo una vendemmia per buona parte effettuata manualmente per la caratteristica disposizione dei filari di vite molto vicini tra loro, le uve sono pressate immediatamente separandole dalle parti legnose e convogliate in grandi vasche di acciaio inox. Qui la fermentazione viene interrotta portando la temperatura a 0°, quindi si lascia riposare il mosto fino al momento della lavorazione chiave, la cosiddetta spumantizzazione. Il procedimento che genera l’Asti Spumante - diverso dal metodo classico o champenois - è noto come metodo Charmat, dal nome dell’enologo francese che lo ha reso famoso ai primi del Novecento, ma era stato precedentemente messo a punto dall’enologo piemontese Federico Martinotti. Consiste nel mettere a contatto le uve pressate con sciroppi zuccherini e lieviti selezionati che ne riavviano la fermentazione, ma soprattutto permettono la trasformazione in vino spumante, fase denominata appunto “presa di spuma”.
Questo fenomeno avviene in grandi recipienti in acciaio o vetroresina, le autoclavi, capaci di sostenere le alte pressioni che la fermentazione produce mantenendo la temperatura prefissata. Nel corso di questo processo si forma l’anidride carbonica che genera le bollicine caratteristiche di ogni spumante e il vino raggiunge la gradazione alcolica prevista dal disciplinare Docg - Denominazione di Origine Controllata e Garantita - di cui l’Asti Spumante si fregia. A questo punto, dopo le opportune operazioni di filtraggio per separare il vino dai lieviti residui e dalle scorie che si sono formate, un’ulteriore fase di refrigerazione blocca il processo di fermentazione impedendo la completa trasformazione degli zuccheri in alcol, di qui il gusto dolce tipico dell’Asti. Il processo si conclude poi con l’imbottigliamento e il serraggio del tappo con la classica gabbietta metallica, il vino può essere così avviato alla commercializzazione.
La richiesta di qualità da parte del consumatore nei confronti dei prodotti enogastronomici è sempre più precisa e consapevole e in questi anni è cresciuta notevolmente di pari passo con l’incremento della competenza, dell’evoluzione del gusto e della voglia di conoscere i processi che coinvolgono i prodotti che portiamo in tavola. In particolare per il vino recentemente si è fatta strada la richiesta di disporre di una sua completa tracciabilità: che significa rendere trasparente ogni passaggio di lavorazione, dal filare al negozio. Una scommessa di trasparenza che il Consorzio per la tutela dell’Asti da tempo ha messo in campo che permette di offrire al consumatore una garanzia totale di qualità. È stato il primo esempio in Italia e tuttora uno dei pochi. Accedere a queste informazioni è molto semplice. Basta collegarsi con il sito del Consorzio www.astidocg.it, cliccare il alto a destra sulla voce Servizi e poi sulla voce Tracciabilità. Si apre una pagina che prevede una serie di campi da riempire. Dopo avere selezionato il prodotto - Asti o Moscato d’Asti - e il formato della bottiglia, occorre inserire in un campo il codice serie, ovvero le prime tre lettere stampate sul contrassegno; quindi nel campo successivo vanno digitate le otto cifre che seguono il codice serie. Con queste coordinate è possibile avviare la ricerca per ottenere il quadro completo delle informazioni di ogni singola bottiglia. L’intero procedimento si svolge quindi in un breve arco di tempo, a differenza degli spumanti realizzati con il metodo champenois, l’Asti Docg non ha bisogno di una più o meno lunga maturazione in bottiglia, perché quando viene imbottigliato tutte le fasi di preparazione del prodotto si sono già concluse. La brevità della lavorazione e le sue caratteristiche specifiche permettono di ottenere un vino che conserva praticamente intatte le peculiarità originali dell’uva moscato. In primo luogo l’aroma, intenso, che si apre in un ampio ventaglio di fiori e frutta - dal glicine all’acacia, dal sambuco agli agrumi - e sfocia in un netto sentore di miele. All’esame visivo il vino si presenta brillante, con colore dal paglierino al dorato tenue. Al gusto è immediata una netta sensazione dolce mitigata da una piacevole freschezza, a sua volta esaltata dalla spuma fine e persistente. Un vino di facile approccio, genuino, che crea convivialità e dall’invidiabile rapporto qualità-prezzo.
La gradazione alcolica contenuta, tra 7 e 9,5 %, facilita l’accostamento anche da parte di chi non è abituale consumatore di vino. La temperatura ideale per godere della freschezza e degli aromi dell’Asti Docg è 8°, degustandolo in un bicchiere a gambo alto ma non nella flûte classica che accoglie gli spumanti.
Le sensazioni dolci sono infatti percepite prevalentemente sulla punta della lingua ed è quindi un calice con un tulipano piuttosto ampio, come la coppa, quello ideale poiché quando introduciamo il vino nella bocca il liquido viene convogliato immediatamente su tutta la lingua. Al contrario una flûte ci farebbe percepire sulla punta della lingua le sensazioni dolci che potrebbero anche risultare stucchevoli.
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