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“LA MIA SICILIA …”: L’ATTORE ED ESPERTO DI WINE & FOOD ITALO AMERICANO VINCENT SCHIAVELLI, TESTIMONIAL DELLE QUATTRO STELLE DELLA VENDEMMIA 2003. I MIGLIORI ASSAGGI SICILIANI DI WINENEWS

Italia
Vincent Schiavelli, testimonial 2003 della Sicilia del vino

“Non è certo nuovo l’intreccio tra la storia siciliana, il territorio e la cultura del vino. Il vino ha un grande ruolo per questa terra e per la sua gente, esattamente come il sole. In ogni strada e in tutti i bicchieri dei siciliani, il vino vive una memoria genetica, insieme alla storia della sua terra e del suo popolo”. Così il famoso attore italo-americano Vincent Schiavelli - con più di 120 film al suo attivo, tra cui Blade Runner (1997), Ghost (1990) e Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975); nel 1997 premiato da “Vanity Fair” come uno dei migliori caratteristi d’America - ha voluto descrivere il millenario rapporto tra la Sicilia ed il vino, facendo da “testimonial” all’evento che, sull’esperienza di Bordeaux e di Montalcino, ha riconosciuto “quattro stelle” (su cinque) alla vendemmia 2003 della Sicilia. Ma Vincent Schiavelli da Brooklyn (la famiglia è originaria di Polizzi Generosa, Palermo) non è soltanto un importante attore, è anche un profondo conoscitore del “wine & food” di Sicilia e d’Italia: così alterna importanti ruoli nei film con la scrittura di libri di enogastronomia e di articoli di vino e di cucina per “Gourmet”, “Saveur” e “The Los Angeles Times” ed è spesso chiamato a dimostrazioni culinarie in numerosi show televisivi, tra cui “Good Morning America”.

La testimonianza dell’attore Vincent Schiavelli
Come dice un mio buon amico, Nino Gianfisco, di Polizzi Generosa, un comune sulle montagne della Sicilia, Si l’aqua fussi na bona cosa, nun si sbatissi viduna viduna, ma stapissi d’intra, ‘nta na vuota, commi u vinu.” [Se l'acqua fosse una buona cosa, non verrebbe sbattuta da una sponda all'altra dei valloni ma starebbe dentro una botte, come il vino]. Il vino è parte di questa terra e della sua gente, tanto quanto il sole che accarezza le sue colline e le sue valli. Ancora prima che venisse introdotta l'agricoltura nell'isola, i Sicani e gli Elimi, due delle tribù indigene della Sicilia, facevano fermentare l'uva che coglievano da viti selvatiche. Omero scrive nella sua Odissea degli abitanti mitologici dell'Etna, i Ciclopi:
“Questi, lasciando ai numi ogni pensiero,
Né ramo o seme por, né soglion gleba
Col vomero spezzar; ma il tutto viene
Non seminato, non piantato o arato:
L'orzo, il frumento e la gioconda vite,
Che si carca di grosse uva, e cui Giove
Con pioggia tempestiva educa e cresce”.
Nella seconda metà del 7° secolo a.C., gli antichi Greci iniziarono a colonizzare Sikelia, nome con cui chiamavano la Sicilia. Il loro scopo era conquistare una superficie in acri sempre maggiore da adibire a piantagioni di olivi, in modo tale da soddisfare il loro grande fabbisogno di olio. Insieme alle tecniche agricole, i Greci portarono con sé anche le loro conoscenze di viticoltura. Piantarono i semi provenienti da viti selvatiche locali e curarono le vigne, annaffiandole e potandole per assistere Giove nel suo lavoro. Con il passare del tempo, la produzione di vino siciliano divenne altrettanto importante per i Greci quanto quella dell'olio. Come testimonianza storica rimane il coperchio di un vaso del 5° secolo a.C., trovato a Centuripe nella provincia di Enna e su cui troviamo scritto, per la prima volta in Italia, la parola viino. Da giovane soldato, di guarnigione in quella che si chiama oggi Agrigento, il famoso architetto Policletus scrive che durante la visita alla casa di un cittadino illustre fu invitato a fare un tour delle cantine private. Lì vide contenitori per il vino scavati nei fianchi del colle, con una capienza sbalorditiva di 26.000 litri. Nell'occupazione romana, si stima che la produzione annuale raggiunse 50 milioni di litri, ottenuti da soli 21.000 ettari circa di vigneto. Ma nemmeno questo scompose questa terra ricca, benedetta dagli dei. Il vino proveniente dal “Granaio di Roma” fu esportato al nord fino alla Gallia e all'est in Oriente. Con l'avvento del Cristianesimo e l'occupazione bizantina, circa i 2/3 dell'isola divennero proprietà della Chiesa. Furono introdotti metodi innovativi che aumentarono notevolmente la produzione del vino siciliano, ma nessuno sa effettivamente a chi fu destinato tutto questo vino. Nell'occupazione araba aumentò la produzione di uva da tavola e di uva passa. Ma il vino "rimase a casa". Maggiore slancio nella produzione si ebbe quindi dopo l' “altra” conquista normanna e durante la successiva occupazione degli Svevi. Ma anche in questo caso il vino fu destinato, in gran parte, al consumo locale. Nel 1234, durante un soggiorno prolungato a Polizzi, Federico II, Stupor Mundi, bevve il vino prodotto dai vigneti coltivati sulla stessa terra in cui si produce il vino che bevo oggi a casa mia, a Polizzi Generosa. Sotto la Casa di Aragona, dal 1288 al 1512, ci fu un vero e proprio boom della produzione e il vino iniziò finalmente ad essere nuovamente esportato. Nell'occupazione spagnola dei Borboni, che terminò con l'Unificazione dell'Italia, il vino siciliano mise le sue radici stabilmente nel mercato. Comuni quali Castellamare, Castelvetrano, Alcamo, Vittoria, e Avola divennero capisaldi della produzione vitivinicola della Sicilia. Alla fine del 18° secolo iniziò la produzione del Marsala, il vino siciliano con accento inglese, che divenne un importante prodotto da esportazione. Le diverse dominazioni della Sicilia hanno lasciato un'impronta non solo sul vino ma sul cibo, sulla cultura, sui siciliani stessi. L'enorme pool genetico da cui noi siciliani deriviamo si riflette nel nostro vino. Anche il ceppo della radice dei nostri vigneti presenta le nostre stesse straordinarie capacità di adattamento e recupero, e viene infartti apprezzato e usato in tutto il mondo per la sua resistenza alle malattie. Come siamo soliti dire, ’a Sicilia ha statu sempri occupatu, ma mai cunquistatu. [La Sicilia è sempre stata occupata ma mai conquistata]
Al di fuori delle logiche di mercato, i siciliani hanno un rapporto del tutto personale con il frutto dei loro vigneti; un rapporto che dura da almeno 2.500 anni. Non conosco un siciliano, che sia legato alla terra in qualche modo, che non abbia prodotto vino per proprio uso e consumo,con tecniche di viticoltura e vinificazione semplici che variano in funzione dell'esperienza e della competenza. Ad esempio, nella vigna della famiglia di Nino, la "chioma" o (canopy) viene tenuta stranamente alta. Pensavo che il motivo fosse da ricercare nella possibilità di gelate di elevate precipitazioni data la collocazione della loro vigna in alta montagna. Quando chiesi al padre di Nino, Mastru Turiddu, delle spiegazioni in merito a questa singolare tecnica, proponendo e suggerendo le ragioni suddette, lui mi rispose, “No, no, Vicenzu. Facìa accusì picchì mi sadìa di basarmi pi pigghiari ‘a frutta.” [No, no, Vincenzo. Ho fatto così perché mi seccava abbassarmi per prendere la frutta]
Quando ero ragazzo a Brooklyn, tutti i vecchi contadini siciliani facevano vino con uve mandate dalla California (Zinfandel era la loro varietà preferita). Perché alcuni di loro strofinassero l'interno delle botti con gusci di carruba, rimase un mistero anche per loro. Ma sono sicuro che se andassimo indietro nel tempo, troveremmo qualche loro antenato che ne sapeva la ragione.
L'estate scorsa chiunque possedesse a Polizzi un piccolo vigneto personale era in fibrillazione alla prospettiva della vendemmia di quest'anno. Le specifiche di quando e quando aveva piovuto, per quanto tempo non aveva piovuto, quando e quanto era stata calda l'estate, dava loro un senso di quanto gli dei avessero in serbo per loro quest'anno. Ricordo di aver visto Mastru Turiddu, verso fine agosto, camminare lungo i filari della sua vigna, allungare il braccio sulle piante (non da sotto) e cogliere delicatamente i grappoli d'uva con le sue dita da vecchio contadino. Ricordo il suo viso illuminarsi di gioia allo scoppio di un acino d'uva fra i denti, mentre saggiava l'intensità e la dolcezza del suo succo. All'inizio di dicembre, dopo aver degustato il proprio vino dell'annata 2003, fu chiaro a tutti che la realtà era ancora migliore di quanto avessero immaginato, e un sorriso di contentezza si diffuse sul volto di tutti al pensiero e alla certezza che le loro cantine sarebbero state piene di estrema lussuria.
Non sto suggerendo di esaltare la vendemmia ineguagliabile del 2003, che siamo qui a celebrare, facendo un confronto con il vinu ‘i casa. Non si tratta di questo. Oggi il vino siciliano è il frutto della sapienza di alcuni dei migliori e raffinati enologi e vinificatori che il mondo può offrire. Il tipo di uve, il terroir, la mano del vinificatore e il clima di una particolare vendemmia vengono attentamente annotati, considerati e analizzati. Così come dev'essere se si vuole che il vino della Sicilia abbia un proprio posto nel mondo. D'altro canto, non si può ignorare la magia di questo “Incomparabile Giardino del Mediterraneo”. La storia e l'esperienza che ci hanno portato a questo momento non devono essere dimenticate.
Mi viene in mente una scena del film The Right Stuff (Uomini veri del 1983), basato su un romanzo di Tom Wolfe. Degli astronauti stanno orbitando attorno alla terra. Mentre passano sopra l'Australia, un piccolo gruppo di aborigeni è raccolto attorno a un fuoco. Gli indigeni colpiscono di tanto in tanto questo fuoco producendo delle scintille che gli astronauti riescono ad intravedere, come barlumi, dalla loro capsula. E' come se gli indigeni stessero dicendo “Abbiamo sempre saputo come raggiungere le stelle. Benvenuti”.
Allo stesso modo, in ciascun bicchiere di vino della Sicilia vive la memoria genetica e la storia della sua terra e delle sue genti che con l'ospitalità che le contraddistingue brindano a noi e ci danno il benvenuto con tutti i loro sapori.

I migliori assaggi di WineNews
I quattro migliori bianchi (sui 13 in degustazione)
1) Benanti - Pietramarina 2000 - Uve: Carricante
2) Planeta - Cometa 2003 - Uve: Fiano
3) Feudo Grottarossa - Haermosa 2003 - Uve: Chardonnay
4) Settesoli - Mandrarossa Furetta 2003 - Grecanico 60%, Chardonnay 40%
I 10 migliori rossi (sui 44 in degustazione)
1) Benanti - Serra della Contessa 2000 - Uve: Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio
2) Benanti - Nero d’Avola Pachino 2003 (nome provvisorio) - Uve : Nero d’Avola
3) Planeta - Syrah 2003 - Uve: Syrah
4) Budonetto/Maurigi - Terre d’Ottavia 2002 - Uve: Pinot Nero
5) Benanti - Top blend Pachino 2003 (nome provvisorio) - Uve: Nero d’Avola ed altre varietà
6) Feudo Principi di Butera - Deliella 2003 - Uve: Nero d’Avola
7) Donnafugata - Tancredi 2003 - Uve: Cabernet Sauvignon 70%, Nero d’Avola 30%
8) Firriato - Ribeca - Uve: Nero d’Avola 60%, Perricone 40%
9) Budonetto/Maurigi - Terre di Maria 2002 - Uve: Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot, Pinot Noir
10) Cantina Sociale di Trapani - Forti Terre di Sicilia 2003 - Uve: Cabernet Sauvignon

Vendemmia 2003: il giudizio
dell’agronomo Vincenzo Melia

“Dopo qualche mese di maturazione in legno, i vini della vendemmia 2003 si presentano con tutte le caratteristiche di ottima qualità, con punte d’eccellenza”. Così recita la relazione sulla vendemmia 2003 dell’agronomo Vincenzo Melia, responsabile del settore tecnico e sperimentale dell’Istituto della Vite e del Vino, effettuata su incarico di Assovini, l’organizzazione delle imprese vitivinicole siciliane.

Il punto - Nel futuro produttivo della Sicilia
la valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani

3.400 ceppi a rappresentanza della variabilità intravarietale dei 20 principali vitigni siciliani e alla segnalazione di oltre 25 “vitigni antichi”: questi i risultati di una prima, ma intensa, ricognizione sul patrimonio ampelografico della regione. Tutto questo materiale è già stato classificato per le principali caratteristiche morfologiche del grappolo e della foglia e si sta provvedendo alla moltiplicazione di ciascun ceppo selezionato per la realizzazione di un campo collezione, che verrà realizzato nel 2005. Nei prossimi anni le indagini sul patrimonio ampelografico siciliano proseguiranno e saranno volte in modo particolare alla ricerca di tutti quei “vitigni antichi” non ancora rintracciati, alle analisi del Dna per effettuare una chiara e sicura identificazione dei diversi vitigni eliminando così casi di sinonimie e/o omonimie e alle indagini agronomiche ed enologiche dei biotipi e/o dei cloni individuati. Per la valorizzazione di questo importante patrimonio, la Regione Siciliana, in collaborazione con le Università di Palermo e di Milano e l'Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetale di Roma, ha avviato nel 2003 un’indagine che ha come scopo il recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni siciliani e che avrà durata quinquennale.
Fonte: Lucio Brancadoro - Università degli Studi di Milano

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