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LA CORTE UE “BOCCIA” IL RICORSO ITALIANO SULLE MENZIONI DEI VINI, MA LE GRANDI DENOMINAZIONI ITALIANE, DAL BRUNELLO, AL NOBILE DI MONTEPULCIANO ALL’AMARONE, SI TUTELANO PRAGMATICAMENTE REGISTRANDO I PROPRI MARCHI

Il Tribunale di primo grado dell'Ue ha ''respinto'' il ricorso presentato dall'Italia contro la Commissione europea in cui chiedeva un annullamento parziale della normativa Ue sulla designazione, presentazione e protezione di prodotti vitivinicoli, per quanto riguardava la protezione delle menzioni tradizionali. Per il Tribunale Ue si tratta della seconda sentenza su questa delicata questione: il 13 luglio 2005 infatti, i giudici europei avevano dichiarato ''irricevibile'' il ricorso presentato dalla Confederazione nazionale dei consorzi volontari per la tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini italiani (Federdoc).
“Francamente è inspiegabile come la Ue possa disegnare una politica del comparto vitivinicolo così autolesionista – spiega Marco Caprai, il produttore più importante del Sagrantino di Montefalco - non solo introducendo pratiche enologiche estranee alla nostra tradizione come l’uso dei “chips”, ma anche minando il cuore del suo impianto legislativo rappresentato dalla tutela delle denominazioni”.
La decisione della Ue non trova impreparati i Consorzi più importanti del panorama enologico italiano, che già da tempo stanno pragmaticamente battendo la strada della registrazione del proprio marchio. “Questa ulteriore decisione della Ue non ci sorprende più di tanto - spiega Stefano Campatelli, direttore del Consorzio del Brunello di Montalcino - abbiamo già registrato il marchio del Brunello nei mercati più importanti del mondo, proprio per evitare i rischi che potevano nascondersi dietro alle incertezze della Ue. Una strada costosa - conclude Campatelli - ma inevitabile”. Gli fa eco Paolo Solini, direttore del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano che afferma: “purtroppo è una ulteriore conferma che l'Ue, negli ultimi tempi, ha intrapreso una politica che non tutela il prodotto di qualità, almeno quello del comparto vitivinicolo. Trovo singolare che i rappresentanti delle istituzioni non riescano a comprendere bene l'enorme danno che questa decisione ha portato e porterà - aggiunge Solini - Il Consorzio del Vino Nobile, da parte sua, è corso ai ripari registrando le menzioni tradizionali "Vino Nobile" e "Vino Nobile di Montepulciano" alla stregua di marchi collettivi”. Stesso parere e stessa contromisura da parte del Consorzio Tutela Vino Valpolicella, il cui direttore Emilio Fasoletti aggiunge che “era già una battaglia persa ed inevitabile il ricorso alla registrazione del marchio, come unica strada per prevenire brutte sorprese intorno alla menzione tradizionale di Amarone, ma stiamo procedendo alla registrazione anche di Ripasso e Recioto”.
La normativa al centro della sentenza pronunciata dal tribunale dell’Ue - alla quale l'Italia potrà presentare appello se lo ritiene opportuno - riguarda il regolamento del 20 febbraio 2004 (Cee 316/2004) in cui la Commissione europea offre ai paesi terzi - a determinate condizioni - la possibilità di utilizzare alcune menzioni tradizionali più protette poste sull'etichetta dei vini europei. Le menzioni - ad esempio Brunello e Amarone - sono termini tradizionalmente utilizzati per designare i vini di qualità, i metodi di produzione, d'invecchiamento e altri. Con le modifiche apportate nel 2004 al regolamento Ue 753 del 2002, venivano unificate in una sola, le due categorie di menzioni tradizionali esistenti: ossia quella dedicata esclusivamente ai vini europei comprensiva delle 17 denominazioni italiane superprotette e l'altra più aperta.
A sostegno del suo ricorso il governo italiano ha sollevato quattro motivi fondati: vizi di procedura e mancanza di un contraddittorio effettivo; violazione del regolamento di base, delle conclusioni del Consiglio sugli accordi bilaterali relativi ai vini; violazione del principio di proporzionalità e sviamento di potere; violazione di norme internazionali inderogabili. Il Tribunale di primo grado non ha però accolto i rilievi dell'Italia e ha respinto il ricorso nel suo complesso. La modifica nel 2004 della normativa europea sulle menzioni tradizionali per il vino, provocò un'alzata di scudi da parte di tutto il comparto in Italia. Bruxelles si difese sostenendo che le condizioni imposte ai paesi terzi per poter usare le menzioni tradizionali rappresentavano una garanzia contro eventuali abusi.

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