Le borse amano i vini, non i vigneti e i castelli. L'Italia è leader mondiale, insieme alla Francia, nel settore vitivinicolo. Questo settore è quindi un potenziale target di estremo interesse per effettuare investimenti finanziari, ad esempio nelle imprese leader e co-leader del mercato.
Se si assume una panoramica internazionale, nel mondo vi sono 45 titoli, appartenenti a 39 emittenti di 12 paesi diversi, che sono riconducibili ad aziende che hanno come core business, o come attività preponderante (almeno il 50% del loro fatturato), la produzione e la commercializzazione di vino (dati aggiornati al febbraio 2006; fonte: Ufficio studi Mediobanca).
Nessun emittente è un'azienda italiana, vi è però il caso di un'impresa italiana (la Illva) che partecipa una delle due aziende cinesi quotate (la Yantai Changyu). Stando a dichiarazioni rilasciate agli organi di stampa vi sarebbero due aziende italiane che stanno valutando l'ipotesi della quotazione in borsa (il Giv - Gruppo Italiano Vini e la Agricola Masi), mentre molte altre avrebbero i numeri per potere accedere al mercato azionario. E' però interessante chiedersi come la borsa accolga le aziende vinicole, che per natura del loro business hanno due caratteristiche che dovrebbero piacere poco ai mercati finanziari.
La prima è che il business vinicolo può portare ritorni economici solo sul medio e lungo periodo, mentre i mercati di norma vogliono vedere risultati rapidi e crescenti nel breve termine. La seconda è che il settore è caratterizzato dalla necessità di compiere rilevanti investimenti in attività fondiarie (terreni per impiantare i vigneti) e immobiliari (cantine per la vinificazione e la maturazione). Anzi, spesso la componente di business vinicolo e quella immobiliare si fondono tra di loro in maniera quasi indissolubile (si pensi alla presenza di dimore storiche negli attivi aziendali, come negli chateau francesi).
La presenza di un elevato capitale investito a bassa intensità di rotazione peggiora gli indicatori di performance reddituale dell'azienda, ai quali gli investitori guardano per fare le loro scelte. Presentandosi ai mercati in questo modo le aziende vinicole rischiano di non essere capite e quindi sottovalutate.
Un'analisi delle aziende mondiali quotate, riferita al periodo 2001-2004, è andata a verificare proprio questo aspetto. Confrontando le performance di borsa dei titoli rispetto all'andamento dell'indice mondiale Msci all country world index e l'intensità di attività fondiarie e immobiliari sul totale del capitale investito rispetto alla media di settore (che è risultata del 35%), si è evidenziato che tutte le aziende che il mercato sottovaluta hanno un'intensità di investimenti superiore rispetto alla media mentre, al contrario, quelle che sono state premiate dal mercato presentano nella stragrande maggioranza una intensità degli attivi fondiari e immobiliari inferiore alla media.
Le conclusioni sono duplici e riguardano sia il lato degli investitori sia quello delle aziende. Per gli investitori sono da preferire, nella scelta dei titoli da acquistare, quelli delle aziende vinicole che presentano un rapporto tra attivi fondiari e immobiliari e capitale investito basso perché sono quelli che il mercato tende a premiare. Per le imprese è opportuno che, prima di andare in quotazione, effettuino uno spin off immobiliare e fondiario di tutte quelle attività non strettamente strumentali al business vinicolo, al fine di "alleggerire" l'azienda da portare in borsa da beni che hanno valore e fascino, ma che all'atto pratico non solo non contribuiscono alla performance reddituale dell'impresa ma addirittura ne peggiorano gli indicatori.
Claudio Zara, ricercatore confermato di economia degli intermediari finanziari alla Bocconi e docente senior della Sda Bocconi
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