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Sondaggio Winenews/Vinitaly - “Il Pranzo di Babette”, “Sideways”, “La Grande Abbuffata”, “Mondovino”, “A Good Year”: è la “top five” dei film “più golosi” scelti dagli “enonauti”
di Franco Pallini

“Il Pranzo di Babette”, “Sideways”, “La Grande Abbuffata”, “Mondovino”, “A Good Year”: è la “top five” dei film, ad argomento enogastronomico, preferiti dal popolo degli “enonauti”, che ha risposto al sondaggio (indirizzato a 18.000 caselle di posta elettronica, con risposte da 1.930), promosso da www.winenews.it, uno dei siti più cliccati del mondo del vino, in collaborazione con Vinitaly (www.vinitaly.com).
I cinque film preferiti disegnano un quadro che spazia dalla delicatezza cinematografica de “Il Pranzo di Babette”, alla prima vera e propria prova del vino come “attore” protagonista nel film “Sideways”, alla grande potenza espressiva de “La Grande Abbuffata”, fino alla precisione documentaristica di “Mondovino” e al mix di vigneti e sentimenti di “A Good Year”.
Tante le segnalazioni anche per film di genere “sentimental-enogastronomico” quali “Chocolat”, “Il profumo del mosto selvatico”, “Come l’acqua per il cioccolato”.

Molti anche gli “enonauti” che hanno dato, invece, la loro preferenza a film dal sapore ironico e divertente come: “L’ala o la coscia?”, bonaria presa in giro delle manie gastronomiche francesi; “Pranzo reale”, satira di costume che unisce il gusto britannico del paradosso ad una tiratura grottesca in parte debitrice dei Monty Python; ”Tampopo”, stravagante presa in giro dei costumi giapponesi, compresi quelli della tavola e “Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi d’Europa”, commedia gialla in cui il raffinato e saporito mondo dei gourmet è messo in subbuglio da un misterioso assassino. Continua a rimanere il più grande spot per gli spaghetti e una pesante, anche se forse involontaria, parodia del rito della tavola degli italiani l’Alberto Sordi e i “maccaroni” di “Un americano a Roma” e, sempre nel filone della “sbracatura”, come non ricordare John Belushi e Dan Aykroyd alle prese con cocktail di gamberi, pane bianco e Dom Perignon nel film cult “The Blues Brothers”?
Tornando più nel dettaglio della “top five”, il film più amato, con il 35% delle preferenze, è senza dubbio “Il Pranzo di Babette”, produzione danese del 1987 del regista Gabriel Axel, interpretato da Bibi Andersson, Stéphane Audran, Jarl Kulle e basato su un racconto di Isak Dinesen, pseudonimo della meglio nota Karen Blixen (autrice, tra i tanti titoli de “La mia Africa”).
Vero e proprio film culto nel suo genere, piccolo gioiello di delicata grazia e di struggente seppur serena malinconia, possiede grande spessore cinematografico, coniugando intensità e semplicità come solo una grande opera sa fare e raccontando con leggerezza e puntualità la stretta connessione tra l’ambiente della cucina e il rito della tavola. Babette, costretta all’esilio dopo le vicende della Comune di Parigi, trova asilo presso Philippa e Martine, due sorelle che vivono nel villaggio norvegese di Berlewaag. Per dodici anni lavora come una schiva servitrice, con un dono particolare per la cucina. Un giorno vince una cospicua somma di denaro alla lotteria e sceglie di impiegarla per realizzare un prelibato banchetto in memoria del padre delle due sorelle, pastore della comunità e guida spirituale per tutto il paese. La sola idea del pranzo scatena stupore ed inquietudine ma nessuna osa chiedere nulla a proposito. Babette, sublime cuoca del Café Anglais, dopo aver servito blinis Demidoff, quaglie in sarcofago e frutta fresca, si ritira semplicemente in cucina. Durante il convivio, innaffiato di Amontillado e Veuve Cliquot, i commensali scopriranno una gioia inedita, che spazzerà via rancori vecchi di trent’anni, rigenerando i rapporti con una nuova carica vitale. Babette non ha sperperato i suoi mille franchi, ha creato un evento privato e irripetibile, che Philippa, Martine e il resto della comunità non scorderanno mai. Il pranzo di Babette sarà al di fuori di ogni abitudine sensoriale ed emozionale per gli abitanti del villaggio, lasciando che emozioni e meraviglia irrompano nelle restrizioni e nella quotidianità anestetizzata dalle gioie della vita. Un’invasione di colori, di bellezza, di armonia e di piaceri raffinati squarciano il velo dell’umile e modesta vita del paese che aveva impedito a Philippa e Martine di cogliere il gusto della vita, di coltivare la loro arte o i loro amori. In un mondo di moralismi e di regole controllate, dove i desideri e gli istinti venivano sistematicamente repressi, Babette introduce la passione, le emozioni e il gusto per il bello attraverso un pranzo che libera finalmente i personaggi da inutili catene esistenziali.
A sottolineare la vocazione enoica del campione sondato, il secondo posto di “Sideways - In viaggio con Jack”, indicato dal 24% degli “enonauti” come il film preferito, e dove il vino diventa vero e proprio protagonista al pari degli attori Paul Giamatti e Thomas Haden Church.

Il film statunitense del 2004, diretto da Alexander Payne e tratto dall’omonimo romanzo di Rex Pickett, è probabilmente il primo vero grande tributo del cinema al vino, studiato sin nei minimi particolari, citando vitigni, annate ed etichette, tanto da superare anche le critiche dei più grandi esperti di vini del mondo. Si tratta di una storia “on the road” di due amici completamente diversi l’uno dall’altro, uniti però da inquietudini e indecisioni esistenziali da quarantenni insoddisfatti, che si riverberano nelle “affinità elettive” tra la psicologia umana e i caratteri organolettici del vino. Solo uno dei due protagonisti in realtà possiede una particolare sensibilità per i vini: è Miles (Paul Giamatti), insegnante e scrittore fallito, piantato dalla moglie di cui è ancora innamorato. Si sente un Pinot, uno inizialmente incompreso ma di grande valore, una di quelle persone che sembrano destinate a percorrere solo quelle strade secondarie che danno il titolo alla pellicola. All’altro amico, Jack (Thomas Haden Church), attore di piccolo calibro e sciupafemmine, dei vini importa ben poco. La storia procede dunque sul confronto-scontro tra i due: Miles prepara come regalo di nozze al vecchio amico Jack un viaggio per i vigneti californiani (non nella blasonata Napa Valley, ma attraverso la Santa Ynez Valley, Buellton, la comunità di artisti di Los Olivos, Lompoc, la Purisma Mission e il ristorante “Hitching Post”) che dovrebbe concludersi con il giorno del matrimonio di Jack. Quest’ultimo, invece, vuole godersi gli ultimi giorni di libertà, prima del matrimonio. Miles ricerca il vino dal sapore perfetto, Jack è disposto a bere anche il mediocre Merlot, che subisce in questo film l’aggressione più diretta e pubblicizzata della storia. Ma la sfida principale del film è tra Cabernet e Pinot, “quest’ultimo è il re dei vini, una vigna dura da coltivare” filosofeggia Miles “molto sensibile, delicata. Non è una vecchia pellaccia come il Cabernet, che può crescere dappertutto e dà ottime uve anche se trascurata. Il Pinot richiede cure e attenzioni costanti”. Descrizione che è la radiografia dei protagonisti, il Miles-Pinot, con le stimmate della sensibilità, il Jack-Cabernet, con le cicatrici da pellaccia, il tipo che consuma vino e donne con la medesima superficialità. E’, dunque, il vino a fare da armonioso collante tra l’amarezza e l’umorismo grottesco, i due registri tra i quali la storia si dipana, trasformandosi in metafora dell’invito a godere fino in fondo di tutti i momenti della vita, quelli positivi e quelli meno piacevoli. Naturalmente nel film, si beve molto. Si comincia con uno spumante a base di Pinot nero californiano (Byron del ‘92) e si finisce con uno Chateau Cheval Blanc del ‘61. Ma c’è spazio anche per un grande italiano: un Sassicaia 1988, definito “bottiglia decisiva” dall’attraente Maja (Virgina Madsen) sommelier di cui il depresso Miles finirà per innamorarsi.
Il capolavoro di Marco Ferreri, scritto con Rafael Azcona, “La Grande Abbuffata” (La Grande bouffe), omaggio degli “enonauti” al cinema d’autore, è al terzo posto (con il 17%).

La pellicola del 1973, è l’apoteosi dei grandi temi ferreriani dell’isolamento, della morte, della dittatura dell’oggetto (erotico o materiale che sia, rudimentale o perfezionato al limite delle possibilità), della cucina, riassunta come luogo delle trasformazioni non più ostilmente aberranti, ma inevitabilmente accolte, dell’erotismo, della fuga interrotta, della degradazione/regressione, come segno positivo di un accostamento della fine. Il film narra l'incontro di quattro amici della buona società, un giudice (Philip Noiret), un pilota di linea (Marcello Mastroianni), un ristoratore (Ugo Tognazzi), un produttore tv (Michel Piccoli) che si riuniscono in una villa fuori Parigi, decisi a compiere un quadruplice harakiri gastronomico-erotico. Li accompagna, pingue angelo della morte, un’insaziabile e materna maestra (Andrea Ferréol). Questo apologo iperrealista, affresco surreale quanto rappresentativo della degenerazione morale e spirituale della borghesia, corrotta dalla cronica incapacità di agire di chi fa del troppo la sua unica ragione di essere, ha gli scatti di una buffoneria salace e irriverente, i toni furibondi di una predica quaresimalista e, insieme, l’empietà provocatrice di un pamphlet satirico.
Al quarto posto (con il 14%) ancora un film, anzi un documentario, in cui il vino è protagonista assoluto: si tratta di “Mondovino” fluviale ma trascinante documento per immagini che narra la storia delle persone che ruotano intorno al vino al mondo d’oggi, cioè nell’era della globalizzazione, in cui l’autore - americano ma cresciuto in Europa ed esperto sommelier - con l’ausilio di una telecamera digitale, capace di stigmatizzare anche i minimi particolari, inchioda i protagonisti con intelligenza ed ironia.

Facendo parlare tutti, Nossiter disegna un affresco irriverente della globalizzazione dell’industria vinicola, delle politiche agricole e commerciali, del livellamento della produzione, vera e propria omologazione, ma anche dell’eccezione culturale e della tutela della tradizione. Dalla California all’Argentina, dalla Borgogna all’Italia, dal Brasile alla Sardegna, si intrecciano le storie, le fatiche, le lotte per preservare pochi acri di terra, le rivalità fra famiglie, i conflitti generazionali, sostenuti da personaggi accomunati dall’amore per la produzione del vino, che in precedenza non aveva mai messo in gioco tanto denaro, tante scommesse, tanta gloria. Il documentario rende anche un bel servizio allo spettatore ignaro degli inquietanti fenomeni, quali il fatto che il prezzo di un vino sul mercato statunitense, e anche mondiale, dipende dalla recensione di un unico uomo, il critico Robert Parker, o che ormai tutte le grandi case di successo si rivolgano alle consulenze enologiche di un unico tecnico, il francese Michel Rolland.
Buon quinto, con il 10% delle segnalazioni, da parte degli “enonauti”, la recente pellicola (2006) statunitense “A Good Year” (“Un’ottima annata”), film diretto da Ridley Scott (regista di “Alien”, “Blade Runner”) e basato sull’omonimo best seller di Peter Mayle.

Max Skinner (Russell Crowe) è un vero e proprio squalo della finanza, ma nonostante sia un finanziere dall’apparenza arrogante, in verità, presto si scoprirà essere anche un uomo gentile, che sa come corteggiare le donne ed apprezzare i buoni vini. La morte dello zio Henry (Albert Finney) lo rende l’unico beneficiario di La Siroque, una splendida casa-tenuta vinicola in Provenza. Dopo anni trascorsi a Londra e ormai completamente assorbito nel proprio lavoro, Max sembra però essersi dimenticato dei bei momenti e dell’affetto che nutriva per il parente scomparso e, una volta convocato in Francia dal notaio Nathalie Auzet (Valeria Bruni Tedeschi) per convalidare le carte sulla sua eredità, decide di vendere tutto senza alcun rimorso d’affetto. Sarà proprio il suo ritorno in Francia che, oltre a stravolgere la sua vita e il suo approccio frenetico e funzionale con essa, riporterà la sua mente al passato risvegliandogli emozioni e sentimenti che pensava fossero ormai scomparsi per sempre. Qui incontrerà anche Francis Duflot (Didier Bourbon), il fedele vigneron dello zio con cui si scontrerà per via della sua decisione di vendere la proprietà e soprattutto Fanny Chenal (Marion Clottilard), l’affascinante proprietaria del ristorante locale “La Renaissance” di cui rimane completamente attratto. Mentre a Londra si addensano scure nubi sul suo lavoro, per via della sua ultima operazione finanziaria apparentemente non del tutto in piena regola, Max s’innamorerà di Fanny, irremovibile nel suo non volersi concedere agli uomini.
Sempre nell’ambito dei sentimenti, questa volta confusi tra fornelli e portate, molte le segnalazioni anche per il film “Ricette d’amore”, riproposto recentemente su Rai Uno.

Il film del 2001 segna l’esordio alla regia di Sandra Nettelbeck. La regista tedesca disegna i tratta di una commedia lineare e gradevole ma rifinita di toni drammatici, fedele ai canoni sobri e minimalisti di un certo cinema tedesco. Stridono forse certi luoghi comuni con i quali il film presenta l’italianità di Mario (Sergio Castellitto), il cuoco che piomba nella vita privata della bella Martha (Martina Gedek) al punto di sconvolgerla e redimerla al tempo stesso. La bravissima cuoca professionista Martha, fulcro centrale intorno al quale ruota l’attività di un famoso ristorante, vive nella assoluta incapacità di comunicare, prigioniera di una realtà asettica ed immune che essa stessa ha contribuito a determinare, ma che inesorabilmente ne provoca la sofferenza; il suo mondo si limita alla perfezione professionale ed è incapace di aprirsi ad altre categorie di pensiero e di sentimenti. Le immagini fredde del film costruiscono bene il dramma muto di Martha, la sua bellezza ascetica è ben dosata e l’attenzione per la fotografia mette ben a fuoco i due personaggi principali. Il cibo gioca il ruolo di terzo e fondamentale protagonista nel film, ma Martha rimane, al pari di Mario, un personaggio molto reale e non un semplice chef a tre stelle di una qualsiasi guida gastronomica.
Ma chi sono gli “enonauti” del sondaggio di WineNews? Sono cultori di Bacco, già educati al buon bere, non sprovveduti ma ben informati sul mondo del vino. Ecco il loro identikit: prevalentemente maschi (75%), il 54% di loro ha un’età compresa fra i 30 e i 45 anni; hanno un elevato titolo di studio (l’85% ha conseguito il diploma di scuola media superiore o laurea), godono di un buono/ottimo livello socio-economico (imprenditore, bancario, avvocato, commercialista, ingegnere, medico, agente di commercio, architetto, commerciante ...). L’“enonauta” è sempre più interessato alla qualità del vino, ad acquistare le etichette in enoteca (dove c’è scelta, professionalità e cortesia), a frequentare i “wine-bar” ed a visitare i “territori” del vino.

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