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Sondaggio WineNews - Una “Cité du Vin” come a Bordeaux anche in Italia? È il sogno di 8 appassionati su 10, che la vorrebbero nella famosa e centrale Toscana (48%). Una strada per migliorare l’offerta di enoturismo in Italia (98%)
di Emma Lucherini

Otto eno-appassionati su dieci hanno un sogno: una “Cité du Vin”, come a Bordeaux, anche in Italia. Dove vorrebbero vederlo diventare realtà? Per la maggioranza dei wine lovers il territorio ideale è la Toscana (48%), la Regione più legata al vino nell’immaginario comune, dal forte appeal enoturistico a livello internazionale se solo si pensa al Chiantishire (con gli appassionati che indicano Firenze e Siena come città), e, aspetto non secondario, per la sua posizione centrale, anche per gli italiani che potrebbero visitarla. A seguire, il Piemonte (37%), Regione simbolo della storia del vino italiano e dell’enoturismo made in Italy con le Langhe e Barolo, vera “mecca” enoica mondiale; quindi, a pari merito, due città: Verona, in Veneto, prima Regione vitivinicola per produzione ed export di vino, e città che, da 50 anni, ospita Vinitaly, la rassegna internazionale di riferimento del settore, e Milano, in Lombardia, sempre più hub culturale (e gourmet), oltre che economico, d’Italia agli occhi del mondo. Parola di un sondaggio www.winenews.it, uno dei siti più cliccati dagli amanti del buon bere, al quale hanno risposto 1.054 “enonauti”, appassionati già fidelizzati al mondo del vino e del web, all’87% dei quali un’opera monumentale come la “Cité du Vin” di Bordeaux piace e molto. Simbolo del modello enoturistico francese - capace di accentrare, senza rivali, per la storicità della sua produzione, e che per il 46% degli “enonauti” funziona meglio del modello italiano - per il 67% è la strada più giusta per un ulteriore sviluppo del settore, anche nel Belpaese: tradizione e storia di certo non mancano all’Italia del vino, ma sono poco sfruttate sinergicamente, preferendo un modello “frammentato” in “wine-experience”, che piace al 28%, ma la cui offerta, praticamente per tutti (98%), è da migliorare.
Il 1 giugno 2016, ha aperto i battenti “La Cité du Vin” di Bordeaux, avveniristico “tempio” della cultura del vino mondiale, emblema dell’eccellenza di Francia, tra sale degustazioni, percorsi multimediali, auditorium e ristoranti: un grande racconto della storia del vino, con l’obbiettivo di intercettare un terzo dei turisti che visita il Paese (in 130.000 da 120 Paesi l’hanno visitata solo nei primi 3 mesi di apertura). Ma anche ennesima dimostrazione di come la Francia guarda al turismo del vino - dove il vino non è l’unico motivo per intraprendere un itinerario enoturistico, spesso legato alle caratteristiche storiche e culturali più intime di una regione - con l’aspettativa di attirare 4 milioni di nuovi enoturisti stranieri entro il 2020, attraverso un piano, presentato dal Ministro degli Esteri Laurent Fabius, con lo stanziamento di un fondo nazionale in favore del comparto. Gli 81 milioni di euro investiti nella “Cité du Vin” sono solto la “ciliegina sulla torta” di una regione, la Gironda, che fattura sotto la voce turismo ben 4 miliardi di euro l’anno e che negli ultimi 15 anni ha triplicato i propri visitatori da 2 a 6 milioni, con 50.000 posti di lavoro diretti (fonte: Movimento Turismo del Vino). In Italia? Siamo ancora a fare i conti con la vecchia legge sulle Strade del Vino del 1999, che non ha mai contemplato, per esempio, la possibilità di fatturare visite, attività e mescita di vini in cantina, nonostante siano ormai diventate pratiche comuni e voci importanti di bilancio. Il modello enoturistico italiano, insomma, non ha ancora preso una forma definitiva, lasciando una situazione variegata che porta con sé, evidentemente, vantaggi e svantaggi.
Gli “enonauti” dimostrano di gradire il modello enoturistico transalpino (67%), più “accentratore”, nel senso che è gestito in tutto o in parte dallo stesso Governo francese e capace di coniugare storia, cultura e produzione dall’alto di una tradizione ormai conclamata in tutto il mondo, rispetto ad un modello “frammentato” come quello italiano, costituito da tante “wine-experience”, spesso animate da iniziative private e/o da entità pubbliche non statali (e quindi orientate su obbiettivi “di campanile” piuttosto che generali) e che testimonionano la gioventù della consapevolezza storico-cultura del nostro patrimonio enoico, che non occupa il posto che meriterebbe. In questo senso, l’invito degli “enonauti” a migliore l’enoturismo in Italia (98%), con maggiori risorse destinate al settore turistico, ma anche agricolo, puntando su una connotazione più efficace della nostra storia e e della nostra tradizione, appare in linea con un’idea di sviluppo moderna e allo stesso tempo adeguata alla struttura del Belpaese, fatto di paesaggi, arte e produzioni, come il vino, unici al mondo.

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