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“BOROLI WINE FORUM” - IL FUTURO DEL VINO VISTO DA PARKER: “DISASTRO” FRANCIA, “DECLINO” NAPA VALLEY, SPAGNA-SUD ITALIA STAR ... HLASTALA (UNIVERSITA’ WASHINGTON) E ETILOMETRO-PROVOCAZIONE. CHARRÈRE: “ALCOL-TEST ESPOSTO MAGISTRATURA”. E DE CASTRO ...

Il futuro del vino? Se parlarne è fondamentale soprattutto in un’ottica di sfida e competitività sui mercati, interni e mondiali, emergenti in testa, è altrettanto vero che, molto spesso, il rischio è quello di perdersi in mille rivoli e parole. Non è così per Robert Parker, uno dei più importanti critici enologici del mondo, al quale bastano 10 punti, racchiusi in un “decalogo” - dal “disastro” Francia al “declino” della Napa Valley, dalle nuove “star” Spagna e Centro-Sud Italia ai vini dai Paesi più inaspettati - per guardare al futuro, per bocca di Antonio Galloni, european editor di “The Wine Advocate” di Robert Parker, e farne lo spunto di riflessione per importanti personalità del panorama enologico internazionale al “Boroli Wine Forum” 2010, incontro di scena oggi a Castiglione Falletto (Cuneo) nella cantina La Brunella, dedicata a “Vino Quale Futuro”: come il punto sul mercato Usa secondo Brian Larky, winemaker e fondatore di “Dalla Terra”, una delle più importanti società statunitensi di importazione diretta di vini italiani selezionati, e le “visioni” del presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Ue Paolo De Castro, Ernesto Abbona di Marchesi di Barolo e del produttore Michele Satta. E dal professor Michael Peter Hlastala della Divisione “Pulmunary and Critical Care Medicine” dell’Università dello Stato di Washington, in tema di attualità - su cui punta il dito anche il presidente della Fivi-Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti Costantino Charrére, “in procinto di elaborare un esposto da consegnare alla magistratura” - arriva l’etilometro-provocazione: “il test alcolimetrico basato sul respiro non ha un fondamento scientifico solido e dovrebbe essere scartato come mezzo di misurazione della concentrazione alcolica ematica”.
Ecco, allora, la visione di Robert Parker: 1) l’utilizzo dei siti specializzati diventerà di uso comune, diffondendo in maniera più democratica ogni genere di informazione; 2) scoppieranno vere e proprie guerre per aggiudicarsi i vini migliori: grazie alla pressione dei nuovi mercati come Asia, Sud America e Europa centrale e dell’Est, una cassa di grande Bordeaux che oggi costa 4.000 dollari toccherà i 10.000; 3) la Francia avrà un ridimensionamento: la globalizzazione del vino avrà conseguenze disastrose per questo Paese, e se il 5% dei produttori continuerà a mettere sul mercato vini top, molti falliranno; 4) i tappi spariranno: entro il 2015 la maggioranza delle bottiglie non avrà più tappi di sughero ma tappi a vite; 5) la Spagna sarà la nuova star dell’industria e, sempre entro il 2015, le regioni più quotate saranno Torno, Jumila e Priorat; 6) esploderà il Malbec: tra 10 anni la grandezza dei vini argentini prodotti con uva Malbec sarà riconosciuta da tutti; 7) la Costa Centrale della California governerà l’America, e la regione di Santa Barbara soppianterà la Napa Valley; 8) il Centro-Sud Italia aumenterà di prestigio: Umbria, Basilicata, Sardegna e Sicilia diventeranno sempre più famose; 9) ci sarà un numero sempre maggiore di buoni vini e buon prezzo, soprattutto di produzione europea e australiana;10) la parola d’ordine sarà diversità: avremo vini di qualità dai Paesi più inaspettati come Bulgaria, Romania, Russia, Messico, Cina, Giappone, Turchia, Libano e, forse, perfino dall’India.
La visione sul futuro del vino di Brian Larky si concentra, invece, su tendenze e sfide sul mercato enologico americano. Da un lato Larky parla di aumento quantitativo: il mercato statunitense dei vini ha visto, negli ultimi tre anni, una forte crescita in termini quantitativi, che si prevede continuerà anche in futuro. Le aspettative dei consumatori sono cambiate, si aspettano di più per meno, e la maggior parte dei vini viene venduta ad un prezzo inferiore a 20 dollari a bottiglia. Secondo il winemaker, anche le case vinicole sono cambiate, sono più efficienti, sia in termini di produzione che di mercato, e lo 0,5% dei produttori di alta gamma è ancora in grado di vendere a qualsiasi prezzo. In definitiva, secondo Larky, è un mercato del compratore, in quanto la domanda è diminuita mentre l’offerta (vigneti) continua a produrre. Dall’altro lato, ciò che funziona è il fatto che gli americani vogliono vini con una storia che esprima il territorio e il senso di una precisa collocazione geografica, informazione ed educazione. Gli stili internazionali generici funzionano bene nella parte più bassa del mercato. L’elemento chiave è il valore, puoi trovarlo a 10 o a 100 dollari a bottiglia. Secondo Larky, per essere un marchio di successo si devono offrire qualità, valore adeguato al prezzo, immagine e una solida distribuzione. E “come produttori - sottolinea il winemaker - non possiamo guardare al mercato americano semplicemente dal punto di vista del consumatore, ma occorre invece rendersi conto che è l’importatore/distributore che controlla il business, scrive gli assegni e decide quali vini promuovere”. Inoltre, aggiunge Larky, se “in origine è stata l’Italia ad insegnare la semplicità all’America - nel design, nella moda, nell’architettura, nella cucina - ora i ruoli si sono invertiti. Adesso sono gli americani a dire agli italiani che il meno è più”. Per questo occorre: applicare questi concetti ai vini; offrire una gamma più piccola (“ciascun vino deve guadagnare il suo posto sotto i riflettori”); diventate esperto in qualcosa (“non essere un tuttofare che non fa bene niente”); focalizzarsi che significa costi più bassi, riduzione delle spese generali, aumento del risparmio e della redditività. Perché, conclude Larky, “noi vogliamo ancora varietà indigene, conosciute solo dai veri intenditori, cru prodotti da un singolo vigneto ma solo legati alla domanda del mercato”.
E, parlando di temi attualissimi del mondo del vino, il professor Michael Peter Hlastala lancia la sua provocazione sull’uso dell’etilometro, partendo dal fatto che “negli ultimi sessanta anni il test alcolimetrico si è basato su un unico presupposto non dimostrato, cioè che l’ultima parte del respiro esalato presenti una concentrazione di alcol uguale alla concentrazione di alcol presente nell’aria alveolare (polmone profondo)”. Secondo Hlastala, “si è presupposto che l’alcol presente nel respiro sia in correlazione diretta con l’alcol presente nel sangue venoso. Il nostro gruppo di ricerca ha dimostrato, attraverso una combinazione di approcci teorici e sperimentali, che di fatto l’alcol proviene dalle vie aeree polmonari e dal sangue arterioso circostante. La concentrazione alcolica nel respiro dipende da quanto respiro viene esalato e dalle dimensioni del polmone del singolo individuo. Il test alcolimetrico basato sul respiro non ha - conclude Hlastala - un fondamento scientifico solido e dovrebbe essere scartato come mezzo di misurazione della concentrazione alcolica ematica”.
Per il presidente Fivi Costantino Charrère, con l’identità culturale dei territori produttivi Italiani ed europei messa a rischio da una Pac orientata soprattutto alla concorrenza e al mercato, ancora, “nulla si è fatto per sburocratizzare il sistema lavoro, nulla si è fatto per semplificare gli scambi Intracomunitari, le misure di estirpazione finanziano gli espianti mentre la nuova legge sulle Doc incentiva i superi di produzione. Come se non bastasse, il nuovo sistema dei controlli fa lievitare i costi a carico dei produttori. I risultati sono noti: al pari degli agrumi, dei pomodori, del latte, i prezzi delle uve hanno raggiunto i minimi storici, non garantendo, in certi casi neanche i costi per la vendemmia. Sul fronte del mercato, i commercianti acquistano e imbottigliano vini sfusi low cost, contribuendo a svilire i prezzi, le Denominazioni di Origine e il lavoro dei Vignaioli. In questa difficile situazione - aggiunge Charrère - rileviamo che i consumi del vino si stanno drammaticamente riducendo, per dare spazio a bevande che nulla hanno a che vedere con la Nostra Storia e Cultura. Bevande industriali di vario genere, eccitanti, alcoliche, non ben definibili che, accompagnate da forti messaggi pubblicitari, hanno una forte presa sui consumatori”. Per Charrère, “questo che noi definiamo un “attacco alla identità culturale del vino”, si somma alla grande campagna di demonizzazione dei consumi dell’alcool, che pur a ragione legittima, va a colpire impropriamente anche tutti coloro che consumano il vino con moderazione. Noi pensiamo che questo clima di neo-proibizionismo induce chi controlla a fare un uso esagerato, smodato e improprio dell’etilometro, e chi è controllato ad eliminare totalmente il vino/alimento dal consumo quotidiano. Le organizzazioni dei produttori sono state su questo tema troppo silenti, e la Fivi - sottolinea il presidente - riprendendo le ricerche sull’etilometro condotte da anni in Italia dal professor Vincenzo Zappalà, ha da tempo aperto su questo argomento, un dibattito serio e circostanziato, con l’obiettivo di coinvolgere tutta la società civile. Ci siamo perciò rivolti al mondo scientifico, appellandoci ad una Autorità di fama mondiale, il professor Hlastala che con i suoi studi, ha dimostrato la fallacità dell’etilometro, attualmente usato per i controlli dalle forze dell’ordine”.
Che cosa fare allora? “L’idea che proponiamo - spiega Charrère - è di partire riconsiderando il reale valore della “dieta mediterranea”, modello di consumo e stile di vita universalmente riconosciuto, dichiarato recentemente ai clamori della cronaca Internazionale “Patrimonio dell’Umanità” dall’Unesco. Riteniamo, a ragione, che il vino sia l’elemento principe di questo patrimonio, e proponiamo la realizzazione di un progetto su scala Europea, che possa riconoscere al vino tutti i valori culturali e nutrizionali che in realtà rappresenta all’interno della catena alimentare. E l’etilometro attualmente in uso frenerà questo progetto? Riteniamo di no, poiché la Fivi farà sì che questo strumento di controllo, possa essere sostituito, da altri strumenti altrettanto validi, e più rispettosi della dignità dell’individuo, della cultura e dell’economia del Paese. A tale scopo la nostra Federazione, è in procinto di elaborare un esposto da consegnare alla magistratura, con l’obiettivo di chiedere giustizia sull’etilometro. La Fivi - conclude il presidente - sostiene e diffonde la cultura del consumo consapevole, e ritiene che chi guida in stato di ebbrezza vada rigorosamente fermato. Non è nei suoi intenti creare un fronte in opposizione ai controlli, alle forze dell’ordine, Oms e Iss compresi. La Fivi è però convinta che qualcosa si deve fare, nel rispetto di tutti, e con una particolare attenzione per i giovani, nei confronti dei quali anche la scuola deve giocare il ruolo che le compete”.

Focus - “Il futuro del vino” secondo il presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Ue Paolo De Castro, Ernesto Abbona (Marchesi di Barolo) e il produttore Michele Satta
“Le sfide che accompagneranno l’evoluzione del sistema agricolo europeo e internazionale per i prossimi anni sono molteplici. Dalla necessità di soddisfare una domanda di cibo in aumento, fino a quella di contribuire alla sostenibilità dei processi di crescita, incrementando il livello delle prestazioni ambientali di competenza dell’agricoltura”. Queste le parole del presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Ue Paolo De Castro, secondo il quale “questa prospettiva, che assegna al settore agroalimentare un nuovo protagonismo e una nuova rilevanza strategica, dovrà innestarsi in uno scenario profondamente diverso rispetto al recente passato. La rapidità e l’intensità delle trasformazioni demografiche, economiche, ambientali e istituzionali, espongono, infatti, il comparto ad una condizione di progressiva incertezza e rischio dovuta ad un fattore parzialmente inedito, come quello della volatilità dei prezzi”.
Per De Castro, si tratta di “uno scenario nuovo, coincidente con la crisi economica e finanziaria che sta mettendo a rischio la continuità di larga parte del nostro tessuto produttivo. In tale contesto, il vitivinicolo, nonostante sia anch’esso un settore colpito dal momento di crisi e incertezza, continua a rappresentare uno dei pilastri del sistema agroalimentare italiano e, da sempre, uno dei principali protagonisti nel panorama produttivo mondiale. Un settore che fa della qualità una delle leve competitive principali e che, nella media degli ultimi 5 anni, è risultato il secondo produttore mondiale, il primo esportatore in volume e il secondo in valore dietro la Francia. Oggi - sottolinea De Castro siamo entrati a tutti gli effetti nel vivo della riforma della Pac dopo il 2013.
La Commissione ha presentato al Parlamento Europeo la Comunicazione sul futuro della Pac. Un documento preliminare e d’indirizzo, che non entra nello specifico delle questioni ma che abbiamo apprezzato perché rappresenta una buona base su cui costruire una riforma ambiziosa e perché i suoi obiettivi generali coincidono con la visione espressa dal Parlamento con la Relazione sul futuro della Pac dell’8 luglio 2010”. Per De Castro, “positive sono anche le indicazioni dell’esecutivo sull’eliminazione dei riferimenti storici, nella consapevolezza, però, che un eccessivo squilibrio del quadro finanziario tra gli stati Membri potrebbe comportare un effetto distorsivo molto ampio con conseguenze drammatiche su territori e settori. Ciò vale anche indirettamente per il settore vitivinicolo che, nonostante continui ad essere regolato dall’ultima riforma del 2008, può essere esposto, al pari di altri comparti, al rischio di un impatto distorsivo del quadro finanziario con drammatiche conseguenze per alcune importanti regioni del nostro Paese a forte vocazione produttiva.
Ecco perché - aggiunge De Castro - durante l’esame in Parlamento della proposta Ue sul futuro della Pac, lavoreremo con impegno e responsabilità affinché agli stati Membri sia garantito un adeguato margine di flessibilità per gestire al meglio le componenti previste dallo schema di pagamento unico e per ripartire le risorse finanziarie tra le stesse componenti. Un principio, tra l’altro, stabilito dalla Relazione dell’8 luglio 2010”.
“Altre importanti questioni lasciate aperte dalla Comunicazione della Commissione, riguardano - aggiunge De Castro - la carenza di strumenti all’interno dell’Ocm unica per gestire e fronteggiare le emergenze di mercato e l’assenza di misure per riequilibrare e stabilizzare le relazioni all’interno della filiera alimentare tra gli anelli più deboli e le fasi a valle. Un aspetto, quest’ultimo, di particolare rilevanza in termini di crescita organizzativa della base produttiva. Del resto, la qualità eccellente di cui tutti noi italiani andiamo giustamente orgogliosi non basta a tenere il passo se non diventa reddito. Occorrono nuove forme organizzative per essere forti sui mercati, né bisogna perdere di vista un dato di prospettiva: oltre la crisi attuale c’è una domanda globale che nel medio lungo periodo potrebbe superare stabilmente le capacità di offerta. Ecco perché - secondo De Castro - la via dei mercati internazionali rappresenta ormai una direzione di sviluppo obbligata. E se non saremo rapidamente in grado di dare risposte efficaci con prodotti - qualità - servizio e prezzo, questa domanda mondiale verrà sfruttata da altri abili player internazionali”. E, aggiunge il presidente della Commissione Agricoltura, in tale contesto, “la vocazione all’export che caratterizza il settore vitivinicolo italiano, circa il 20% delle esportazioni agroalimentari italiane sono rappresentate dal vino, è testimonianza dell’ottimo lavoro portato avanti dai nostri produttori che, sempre di più, stanno accettando la sfida internazionale anche sui mercati emergenti. Ciò che occorre, è proseguire lungo tale strada guardando, magari, con meno diffidenza e preoccupazione all’Europa consapevoli che l’Unione Europea rappresenta uno spazio di opportunità per le nostre imprese. Ecco perché - conclude De Castro - la prossima riforma della politica agricola comune rappresenta un’occasione importante per consolidare il ruolo del settore vitivinicolo all’interno del sistema agroalimentare europeo e per rilanciarne le prospettive di crescita e di competitività”.
Per Ernesto Abbona, alla guida di Marchesi di Barolo, “già oggi il vino non è più considerato una bevanda alimentare, per il venir meno della costante attività fisica che connaturava la vita dei nostri avi, bensì è sempre più visto come una bevanda piacevole da consumarsi rigorosamente a tavola per la sua capacità di esaltare il sapore dei cibi e per intrattenere piacevolmente gli ospiti. Ecco, già oggi il vino è diletto, piacere gioia e lo sarà sempre più domani: il suo apporto calorico ne consiglia, naturalmente, un uso moderato. Proprio su queste - aggiunge Abbona - basi si fonda il mio convincimento che per il vino il futuro sarà roseo: la globalizzazione ha favorito anche gli scambi culturali e intere nazioni, interi popoli hanno scoperto e si appassioneranno al vino, India e Cina sono le nuove frontiere”. Per Abbona, “questo processo sarà tuttavia possibile e troverà un forte impulso tanto più la distribuzione dei redditi, prodotti dall’intensa attività commerciale, sarà perequata evitando l’accumulo di ricchezza in poche mani. Infatti - conclude Abbona - solo con un’equa distribuzione delle risorse la condivisione del piacere del vino potrà essere abitudine quotidiana di molti consentendo il mantenimento e l’ampliamento del patrimonio viticolo che, non dimentichiamolo, oltre a produrre reddito consente l’equilibrio idrogeologico di intere regioni evitando, come abbiamo già potuto constatare, i disastri ambientali causati dall’incuria o dall’abbandono delle aree agricole”.
Nella visione di Parker, Michele Satta riconosce “le affermazioni che in parte leggo nelle stesse esperienze che faccio io oggi: il mercato del vino continuerà ad avere una percentuale dedicata a prodotti di alta gamma, sarà in tutto il mondo e quindi anche in importanti Paesi oggi non consumatori, ci saranno tantissimi vini buoni a basso prezzo, i migliori potranno accedere a prezzi importanti. Ci interessano questi ultimi - spiega Satta - i vini che potranno essere considerati i migliori e ben remunerati. Quale è dunque la caratterizzazione dei vini migliori del futuro? E quale è il modo con cui mi assicuro la proprietà di questa qualità? Voglio cioè provare a dire per me quale sarà la qualità cui dovremo puntare per i nostri vini e quale sarà l’aspetto che la renderà nostro patrimonio, non riproducibile. Per il primo aspetto mi sembra che la risposta sia più facile, perché già largamente presente nei nostri vini. La qualità che li rende presenti con successo sul mercato così come oggi si viene a configurare, è il fatto che sono buoni, percepiti dai sensi come piacevoli, di carattere, ben legati al cibo. Non è scontata - aggiunge Satta - questa mia affermazione perché introduce una correzione a molto dell’atteggiamento corrente. Il mio vino sarà considerato buono perché è buono così come lo fa la vigna e la mano dell’uomo, è essenzialmente una fedeltà al territorio. Lasciamo l’insicurezza per cui cerchiamo di far assomigliare i nostri vini ad una tipologia considerata “internazionale” rendendoli tutti anonimi e atipici. Rimaniamo solidamente determinati a fare i nostri vini. E qui viene la sottolineatura più importante: i nostri vini, il mio vino. Significa che non sto proponendo solo un prodotto tecnico, frutto di una sapienza di manipolazione, dove l’apporto tecnologico determina il risultato finale, ma sto parlando e portando al consumatore il prodotto di una storia. Storia personale, posso dire il mio vino perché c’è un nome di persona che lo determina e storia in senso generale, quindi legato a quanto tutti insieme abbiamo fatto nei nostri luoghi, rendendoli unici nel paesaggio e nelle opere d’arte”.
E per il secondo aspetto, prosegue Satta, “vedo un lavoro più impegnativo, anche se affascinante. Ammesso, perché è vero, che il mondo si allarga a nuove economie e che nuovi consumatori, spesso non nutriti da una cultura profonda del vino, vorranno il meglio e che questo è lo spazio che stiamo cercando di ottenere, se vogliamo affermarci, dovremo imporre il nostro canone e il nostro stile. Dovremo riuscire a comunicare in modo vincente che il meglio nei vini sarà una produzione di un luogo unico e non riproducibile e di un autore, una persona nome e cognome, incontrabile, frutto di una storia capace di arte e cultura. Solo un vino così potrà conquistare i mercati più remunerativi - conclude Satta - e vincere la sfida che ci pone lo scenario del futuro. Non possiamo pensare di fare i vini di qualità che fanno gli altri, imitando un modello internazionale, ma rimanere forti nella nostra tipicità e soprattutto, raccontare e far percepire la nostra cultura. Sarà un misto geniale di individualismo e di collaborazione”.

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