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WINENEWS, ASSAGGI IN ANTEPRIMA: BRUNELLO 2006, A GOOD YEAR. STELLE AD ANNATE? A MONTALCINO LE GARANTISCE LA MATEMATICA. LA FAMIGLIA: I BIONDI SANTI. L’OPINIONE DI CAMBI: “PARADIGMA MONTALCINO. ITALICO VIZIO: NEGARE LEADERSHIP NEI TERRITORI DEL VINO”

“A good year”, un’annata buona, buonissima nelle declinazioni di diversi produttori, ma non eccezionale: è il bilancio dell’assaggio, in anteprima, dei Brunello di Montalcino 2006, da parte dello staff di Winenews (Franco Pallini, Antonio Boco, Alessandro Regoli).
Certo, il millesimo in questione, che ha guadagnato un “rating” di cinque stelle a “Benvenuto Brunello” nel 2007, sarà destinato a far parlare di sé, ma la nostra impressione generale è quella di un’annata già molto godibile e che, pertanto, potrebbe incontrare qualche motivo di riflessione sulla prova del tempo. Il millesimo 2006 è decisamente rubricabile fra quelli “caldi” e, benché il Sangiovese, vitigno notoriamente ostico, non disdegni una certa generosità delle temperature, probabilmente il caldo protrattosi anche in settembre non gli ha giovato completamente, indebolendo, in qualche modo, il suo potenziale aromatico e acidico. Abbiamo suddiviso i nostri giudizi in tre fasce fondamentali: quella dei vini che hanno totalizzato un punteggio fra i 95 e i 90 punti, una seconda con quelli che hanno totalizzato tra i 90 e gli 85 e la terza con i vini tra gli 85 e gli 80 punti.
Appartiene senz’altro ai vini tra i 95 e i 90 punti, totalizzando anche il punteggio più alto in assoluto, il Brunello di Montalcino 2006 di Franco Biondi Santi, prodotto nella storica Tenuta del Greppo, dove il Brunello è nato. Si tratta di un vino dai profumi “rocciosi” e dalla bocca solida, contrastata e dotata di un finale in crescendo, che sembra chiamare un altro sorso. Molto buono, il Brunello di Montalcino 2006 di Poggio di Sotto, dagli aromi fruttati di bella intensità, rifiniti da note di terra e sottobosco, preludio ad un palato ampio, dolce e ben ritmato. Interpretazione, tutta all’insegna dell’eleganza, quella del Brunello 2006 di Fuligni, che trova una qualche assonanza in quella del Brunello del Castello Romitorio, un vino profondo e dal bellissimo finale. Tabacco dolce e ciliegia sono i profumi in primo piano del Brunello 2006 di Siro Pacenti, dalla progressione gustativa serrata e contraddistinto da un finale sapido e deciso. Aromi complessi, che regalano anche qualche nota di macchia mediterranea, per il Brunello Caprili, dal gusto avvolgente e saporito. Fine ed elegante il Brunello 2006 di Poggio Antico quanto caldo e scuro quello di Canalicchio di Sopra.
A guidare i vini tra i 90 e gli 85 punti, troviamo, in testa, il Brunello Poggio alle Mura 2006 Castello Banfi dal timbro aromatico tendenzialmente minerale e dal gusto ampio, caldo ed avvolgente. Dai profumi di radice e foglia appassita il Brunello Vigna Manapetra della Lecciaia, austero e di bella scorrevolezza al palato. Dal buon ritmo gustativo il Brunello Vigna delle Raunate 2006 di Mocali quanto solare e speziato il Brunello di Franco Pacenti - Canalicchio. Ciliegia, lampone e spezie tra i profumi predominanti del Brunello di Collelceto, che esibisce una beva piena e gustosa. Fruttato rigoglioso e maturo per il Brunello Val di Suga dei Tenimenti Angelini, saporito e continuo al palato. Potente e di buona intensità aromatica il Brunello 2006 di Renieri, maturo e deciso quello di Sesti. Profumi di liquirizia e ciliegia per il Brunello 2006 di San Polo, dalla bocca energica e sapida sul finale. Macchia mediterranea e cenni di grafite per il Brunello 2006 de Le Chiuse, dalla bella progressione gustativa. Deciso e solido il Brunello di Fossacolle, quanto ritmato e tendenzialmente elegante quello di Col di Lamo. Intenso e ampio quello di Col d’Orcia e di Ciacci Piccolomini d’Aragona, contrastato e caldo quello di Lisini. Profumi ben a fuoco per il Brunello di Mastrojanni, dalla bella consistenza al palato. Buona coerenza per il Brunello 2006 della Fattoria dei Barbi.
Tra i vini che hanno totalizzato tra gli 85 e gli 80 punti, troviamo il Brunello 2006 di Fattoi e di Baricci, campioni di uno stile classico. Molto fine sia nei profumi che al palato il Brunello 2006 del Marchesato degli Aleramici, più potente quello di Caparzo e de La Poderina (Saiagricola). Dal timbro speziato e dolce il Brunello 2006 di Collemattoni e ben ritmato quello del Pinino e della Fornacina. Toni boisè in evidenza per il Brunello 2006 di Talenti dalla bocca ampia e tendenzialmente calda. Maturo, dinamico e dalla bella nota salina sul finale il Brunello 2006 de La Fuga. Coerente e ben profilato negli aromi, quanto dolce e caldo al palato il Brunello 2006 di Collosorbo.
La degustazione Winenews ha potuto valutare, nei giorni scorsi, quasi l’80% dei produttori di Montalcino: peccato le assenze di Casanova di Neri, Cerbaiona, Cerbaiola, Il Poggione, Costanti, Pieve di Santa Restituta (Gaja), Salvioni, Friggiali.
Info: per commenti più estesi su alcune etichette, vedere la newsletter I Quaderni di Winenews(Febbraio 2011)

Focus - La grande annata? Al Brunello di Montalcino la garantisce la matematica. Le “cinque stelle” 2010
Avere sempre la migliore vendemmia possibile: è quello che, pare, stiano cercando a Montalcino. Come? Con la matematica e un modello previsionale basato su funzioni che colleghino i dati sulle fasi fenologiche della vite (momento e durata di germogliamento, fioritura, invaiatura, maturazione) e sulle condizioni climatiche, per indicare ogni anno e in ogni zona il momento di vendemmia che esprima il massimo potenziale delle uve, evitando annate da 1 stella (il rating assegnato ogni anno al Brunello di Montalcino da un’apposita commissione, come le 5 stelle per l’ultima vendemmia 2010) come nel 1984, o da 2, come nel 2002, ma oscillare sempre su livelli di eccellenza, tra 4 e 5 stelle, come dal 2003 ad oggi.

Il ritratto - Una famiglia davvero storica: Biondi Santi
Soltanto la Tenuta “Greppo” di Franco Biondi Santi è la titolare esclusiva del marchio “Biondi Santi”. E soltanto i Brunello e i Rosso di Montalcino che hanno fatto la storia di questo vino e di questa denominazione (e i vini di Jacopo Biondi Santi prodotti nel Castello di Montepò), sono gli unici che possono riportare in etichetta il nome/marchio “Biondi Santi”. In questo modo una delle storiche dinastie del vino italiano ribadisce la sua esclusività e unicità, storica prima di tutto.
E’ nella tenuta Greppo di Montalcino che Ferruccio Biondi Santi, nel 1866, dopo l’esperienza da garibaldino nella quale combattè a Bezzecca a fianco dello stesso Garibaldi, decise di continuare gli esperimenti sulla vinificazione iniziati dal nonno materno, arrivando, intorno al 1870, dopo aver selezionato un particolare Sangiovese e averlo vinificato in purezza, a produrre il primo Brunello di Montalcino. Una sorta di vera e propria rivoluzione vitienologica per quei tempi, con al centro l’idea semplice, ma al contempo rivoluzionaria, di produrre un vino longevo da sole uve Sangiovese.
Un’impresa che gli venne riconosciuta nel 1932, quando una Commissione Interministeriale che studiò il territorio del Chianti e di Montalcino lo identificò come l’inventore del Brunello. Il figlio di Ferruccio, Tancredi apprese dal padre i segreti delle vigne e della cantina del “Greppo”, prima ancora di andare a studiare enologia a Conegliano Veneto (dove fu allievo del professor Giovanni Dalmasso). Laureatosi poi in Agronomia all’Università di Pisa, a partire dagli anni ‘20, impresse un nuovo slancio alla produzione del Brunello, diventando, di fatto, l’ambasciatore di Montalcino e dei suoi vini. Introdusse la pratica della “ricolmatura” delle vecchie Riserve, con vino della stessa annata (la prima volta nel 1927 per le Riserve 1888 e 1891), diventò un importante consulente e insegnò il mestiere a personaggi come Giulio Gambelli. Fu l’artefice del Brunello di Montalcino Riserva 1955, l’unico italiano inserito da “Wine Spectator” tra i 12 migliori vini del Novecento. Morì nel 1970, non senza aver “ricolmato”, nel marzo di quell’anno, le bottiglie del Brunello Riserva Biondi Santi 1888-1891-1925-1945, alla presenza dello scrittore Mario Soldati e di un giovane Luigi Veronelli.
A succedergli, dopo la laurea in Scienze Agrarie all’Università di Perugia, Franco Biondi Santi, che, dopo aver imparato da suo padre la sottile arte della vinificazione di famiglia, ha continuato e continua a condurre la Tenuta del Greppo. E il futuro? Sarà ancora Biondi Santi: in primis, con Jacopo.

Il punto di vista di “Libero-Gusto” by Carlo Cambi
“Paradigma Montalcino. Italico vizio: negare le leadership nei territori del vino d’eccellenza”

I dati dicono che, per il vino italiano, torna a tirare l’export - non con la medesima velocità su tutti i mercati e non per tutti - ma non il mercato interno. Tuttavia il comparto enoico è ormai l’architrave del fatturato agricolo italiano e i suoi valori aggiunti sono imprescindibili per quello che - con approssimazione - chiamiamo made in Italy. Per paradosso, però, il vino italiano continua a non prendersi sul serio. Si perde dietro baloccamenti, è indietro nel marketing, ancora di più nel sostegno all’export, nella distribuzione, nella dotazione finanziaria delle aziende, nelle dimensioni.
Ma c’è un elemento ancor più preoccupante: in Italia, non c’è il riconoscimento delle leadership nei territori d’eccellenza, anzi si fa di tutto per distruggerle. Sarebbe come se il sistema moda sparasse contro le griffes affermate, sarebbe come zavorrare al ribasso nella meccanica o nell’elettronica alcune nostre imprese che sono note a livello mondiale. Ma nel vino si fa di tutto per fare posto, non emulando ma ignorando i leader, a chi spesso non ha né i connotati economici né le caratteristiche qualitative per emergere. In ciò contraddicendo la nascita stessa delle Doc - tranne quelle proliferate a dismisura per clientela politica e che infatti soffrono tremendamente la crisi - che si sono determinate attorno ai produttori leader dei singoli territori.
E’ un vizio italico che sta distruggendo il valore della nostra agricoltura di qualità quello di considerare le nicchie: l’enogastronomia ha bisogno di economia, di fatturato, di spalle forti. Il caso del Brunello è paradigmatico. In occasione del prossimo “Benvenuto Brunello”, si sono letti articoli che magnificano piccoli produttori e negano la verità economica di Montalcino. Che, infatti, ha mostrato preoccupanti debolezze in una recente non felice stagione e che sta risorgendo per la spinta dei leader del territorio. Il Brunello è nato grazie ai Biondi-Santi, fino agli anni ’80 era un vino di nicchia e pochissime aziende - Poggione, Fattoria dei Barbi (guidata da Francesca Colombini Cinelli), Costanti, Col d’Orcia, Argiano, Camigliano, per dirne alcune - avevano mercato, mente il grosso del vino si vendeva a damigiane. Fino agli anni ’70, la superficie vitata a Brunello era inferiore ai 600 ettari. E’ stato l’avvento della Banfi con la pervicace lungimiranza di Ezio Rivella a creare il fenomeno Brunello. E questo, per tre ragioni fondamentali: la prima che ha aperto i mercati internazionali, la seconda che aveva la massa critica di produzione e di fatturato per stare su quei mercati, la terza che ha introdotto nuove tecnologie di produzione. Dietro alla Banfi poi Montalcino è cresciuto consentendo anche ai piccoli produttori di approdare - con giusto impegno, merito e fatica - ai successi degli ultimi due decenni. Ma negare la leadership storica dei Biondi-Santi, e quella produttiva di Banfi, è esercizio masochistico che sfocia nel comico quando per farsi un po’ di posto sotto i riflettori si inventa un convegno sul Brunello vino dell’Italia unita dimenticandosi che la prima bottiglia del vino di Montalcino è comparsa sul mercato un quarto di secolo dopo.
Ciò che vale per Montalcino, purtroppo, però, accade anche altrove: così è per il Sagrantino di Montefalco, così si è rischiato in Sicilia, così è capitato nei territori dell’Amarone e del Prosecco. Con una perdita di autorevolezza dei Consorzi e con un’incapacità di legare a sistema il vino d’eccellenza con i territori. Davvero dai francesi - che hanno la classificazione dei grand cru, riconoscimento esplicito delle leadership - non abbiamo imparato nulla. Ma la verità storica e fattuale è immodificabile: non ci sarebbe il Brunello senza Montalcino, senza Biondi-Santi e senza Banfi, che hanno incarnato e impinguato il territorio, mentre Montalcino esiste al di là del Brunello. Perciò sottacere il valore dei territori e negare le leadership produttive e qualitative è esercizio forse furbesco, certamente perdente.

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