Le organizzazioni agricole non si rassegnano, e chiedono al governo Monti di “accantonare” le decisioni sui fabbricati rurali. Ma le loro richieste, realisticamente, sono destinate a cadere nel vuoto. E così, cantine, stalle, fienili e così via, con la manovra, dovranno pagare l’Imu da cui fino ad oggi erano esenti (che, peraltro, aumenterà per i terreni già tassati). E se ancora non ci sono stime sull’impatto reale, sarà di certo una “mazzata” per l’agricoltura, specie nei territori in cui si concentrano colture a basso valore aggiunto, con margini di redditività già compressi. L’unica lettura positiva possibile, ad ora, vale per i territori in cui l’agricoltura genera prodotti ad alto valore aggiunto, come il vino di pregio, dove le risorse dell’Imu, che per metà vanno allo Stato e per metà ai Comuni (compensando in parte i tagli che hanno subito con le ultime finanziarie), possono diventare utili per azioni, investimenti, promozione e sviluppo nei territori (infrastrutture, restauro di monumenti e così via) che, a lungo termine, potrebbero avere ricadute positive sulle stesse aziende. Ma serviranno capacità, lungimiranza e, soprattutto, più condivisione che in passato di progetti e intenti tra pubblico e privato.
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