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L’ENOREGISTA DI “MONDOVINO”, JONATHAN NOSSITER, TORNA SULLA RIBALTA. DALLE PAGINE DEL MENSILE “GQ” ATTACCA TUTTI, PRODUTTORI, RISTORATORI E MEDIA. UNA POLEMICA TALMENTE FEROCE E GENERALIZZATA DA COMPATTARE IL MONDO DEL VINO ...

Se l’idea dell’enoregista di “Mondovino”, Jonathan Nossiter, era quella di scatenare una polemica (che sta già assumendo proporzioni importanti) sul rapporto che esiste tra produzione vinicola e ristorazione, indubbiamente c’è riuscito. Anche troppo. Tutto nasce dall’articolo apparso su “Gq” di gennaio (in edicola dal 4 gennaio) intitolato “Attenti al vino”, da lui scritto e firmato: una tirata di tre pagine sulle carte dei vini dei ristoranti romani (quasi tutti) rei, a suo modo di vedere, di gonfiare i prezzi oltre misura, di non dare spazio ai cosiddetti vini naturali e di essere soggiogati dalle grandi aziende. Un articolo evidentemente esplosivo, che presta il fianco a critiche aspre, prese di distanza, tanti distinguo e qualche, sentito, appoggio. Il dibattito on line, su social network e blog, è ancora caldo, per questo bisogna stare attenti a non farsi coinvolgere e provare ad analizzare il punto di vista di tutte le parti in causa. Eppure, leggendo il pezzo, la dialettica del regista americano appare subito molto, troppo aggressiva, l’utilizzo di una terminologia tecnica decisamente distante da Nossiter, che la usa a sproposito, e tutto assume presto i toni di una polemica tanto voluta quanto inopportuna.
Pur rispettando le opinioni ed i punti di vista di chiunque, l’articolo di Nossiter mette troppa carne al fuoco, troppi spunti senza svilupparne realmente nessuno, per non parlare della ferocia con cui vengono attaccati indiscriminatamente i grandi del mondo vitivinicolo italiano, quelli, per essere chiari, a cui l’Italia enoica deve praticamente tutta la loro fortuna. Nel pensare di promuovere (seppur in buona fede) la presenza dei vini biologici e/o naturali nelle carte dei vini dei ristoranti, attaccando a capo basso tutto ciò che biologico non è (ossia il 95% del vino tricolore), non c’è nulla di costruttivo, così come nell’abusare di termini tecnici senza cognizione di causa: partire dalle carte dei vini dei ristoranti romani (argomento certamente interessante e su cui è giusto e legittimo aprire una riflessione), mettendo insieme l’osteria ed il ristorante di lusso, passando quindi al coinvolgimento di enotecari e produttori di spicco, non rende un buon servizio né al giornalismo, né al mondo del vino. Il dibattito è sempre il benvenuto, ed in Italia c’è spazio per ogni linea di pensiero: ci sono blog che sposano posizioni molto distanti tra loro, guide che seguono direzioni distanti, eventi dedicati a nicchie e peculiarità. Il mondo del vino, proprio per la sua natura estremamente frammentaria, mal si presta ad una rappresentazione univoca, proprio per questo certi toni e certi “j’accuse”, come l’attacco sferrato nei confronti della più grande e prestigiosa azienda del Lazio, Casale del Giglio, definita da Nossiter “un’azienda nella quale si usano sostanze chimiche tossiche per qualsiasi cosa vivente ma che dice di essere ecocompatibile per confondere chi non è informato”, appaiono del tutto fuori luogo e fuori contesto.
Infine, quando si tira in ballo un’intera categoria, come quella dei ristoratori, bisognerebbe perlomeno provare a mettersi nei loro panni: non è il momento, economicamente parlando, di voli pindarici ed offerte stravaganti specie se è vero, come ricorda un ristoratore romano di vecchia data come Fabrizio Pagliardi (La Barrique) che “gli appassionati di vino rappresentano il 10% degli italiani adulti, e gli appassionati di vini naturali non si rendono conto che rappresentano forse il 20% del 10%: fate le vostre considerazioni, costruite la vostra lista dei vini, e programmate gli investimenti di conseguenza”.
Non è facile come sembra, specie perché, è bene ricordarlo, il mercato ha le sue regole: non esiste un ricarico prestabilito, il prezzo finale lo fa - semplificando - l’incontro tra la domanda e l’offerta: ad un vino che in azienda costa 5 euro un ristoratore decide di venderlo a 25 sarà perché in quel momento, quel vino, piace particolarmente, non si ha difficoltà a venderlo a quel prezzo ed il consumatore, dal canto suo, non lo trova poi fuori mercato ...
Piemichele Capulli

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