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AUMENTO DI TASSE E COSTI DI PRODUZIONE, VENDEMMIA PIÙ SCARSA, MARGINI GIÀ COMPRESSI AL MASSIMO: IL VINO ITALIANO CHIEDE UN RITOCCO DEI LISTINI ALLA GRANDE DISTRIBUZIONE. CHE PERÒ DEVE FARE I CONTI CON LA REAZIONE DEL CONSUMATORE FINALE ...

Italia
Vino e gdo, rapporto importante ma difficile

Quello tra vino e grande distribuzione, in Italia, è un amore contrastato. La gdo vende ormai più del 60% delle bottiglie commercializzate nel Belpaese, ma i produttori, da anni, lamentano uno strapotere delle catene sul prezzo. Ma ora, tra nuove tasse, costi che aumentano, e una vendemmia più scarsa in quantità con prezzi della materia prima cresciuti, è arrivato il momento di ritoccare in alto i listini con cui la gdo compra il vino. Cosa quanto mai delicata soprattutto per i vini sotto ai 2-3 euro allo scaffale, in un momento economico come questo.
“Serve un dialogo sereno - spiega a WineNews il direttore di Federvini, Ottavio Cagiano, www.federvini.it - senza pregiudizi, ma con la consapevolezza che i prezzi ai produttori devono crescere. Nessuno ama variare i listini, soprattutto in momenti di minor consumo o di tensioni economiche come oggi, ma nello stesso tempo un’attività economica sta in piedi se applica criteri economici sani, e se c’è da fare l’aumento lo fa. Veniamo da diversi anni in cui c’è stata anche una forte attività di assorbimento dei costi e di compressione dei margini, però quest’anno ci troviamo in un anno strano, impennata consistente dei prezzi delle uve durante la vendemmia, abbiamo come tutti rincari dai costi energetici a quelli di trasporto (elevati), e non è che uno vuole incoscientemente trasferirli tali e quali alla distribuzione o al consumo, ma nello stesso momento avremmo delle difficoltà se non li trasferissimo, perché ricordiamoci il settore del vino viene anche da importanti attività di investimento in questi anni che ha portato a rivedere il vigneto e le cantine, sono investimenti di lungo periodo con oneri finanziari e sappiamo quale è lo scenario finanziaro. E tutto questo ci fa pensare che mai come adesso sia indispensabile non la banale contrapposizione produzione-distribuzione, ma un dialogo sereno senza pregiudizi e pregiudiziali, e dove è necessario il riconoscimento che qualche variazione va fatta. Non possiamo farne a meno”.
“Dal 2008 il vino ha perso il 40% del valore al produttore - aggiunge Adriano Orsi di Fedagri-Confcooperative (www.fedagri.confcooperative.it) - ed è andato sotto la soglia sopravvivenza, soprattutto in certe Regioni. E aumenti dei prezzi tra il 5 e il 12% sono indispensabili. Altrimenti c’è il rischio di abbandono di vigneti per via della scarsa rimuneratività. E poi c’è un altro punto: i listini di solito si aggiornano a maggio, e questo non è più possibile, stiamo chiedendo che l’aggiornamento dei listini sia fatto all’inizio dell’anno, altrimenti c’è una distonia tra produzione e distribuzione. Se i listini si adeguano in maggio, il prodotto della vendemmia scorsa, soprattutto per i bianchi, è già prenotato e va in commercio coi vecchi prezzi, e non siamo d’accordo, anche perché così i nuovi prezzi si applicano alla nuova vendemmia che non sappiano come sarà”.
“I problemi sono tanti - aggiunge Lucio Mastroberardino, alla guida di Unione Italiana Vini (www.uiv.it) - a partire dalle inefficienze della infrastrutture: costa molto di più mandare una bottiglia da Avellino a Verona che da Verona a Berlino, per esempio. Ma il prezzo è un vero flagello. Le materie prime (uva e vini) sono salite fuori controllo perché oggi siamo andati a equiparare i prezzi per queste materie prime che venivano pagati 3 o 4 anni fa. Per cui dobbiamo riequilibrare i prezzi per permetterci un adeguato trasferimento di valore aggiunto lungo tutta la filiera del vino, l’unica filiera produttiva italiana che non è delocalizzabile per le scelte produttive fatte legate alle denominazioni e alle indicazioni di origine. Il vino più di ogni altro prodotto dell’agroalimentare italiano subisce le debolezze strutturali e competitive del “sistema Paese”. Nel nostro Paese, poi, si è sempre visto il vino come fattore ludico, di piacere, ma il vino è economia reale. Dietro c’è la gestione del vigneto, la gestione della cantina, ci sono le zone di origine, tanti pezzettini che rendono migliore il nostro Paese, bisogna pensare alla comunicazione col consumatore per far capire che il vino è anche consapevolezza al momento dell’acquisto. Il consumatore deve sapere che al di sotto di un certo prezzo, o non è quello che gli stanno dando, o qualcuno sta rubando valore a qualcun altro. Essere un consumatore esperto ed educato non significa solo comprare il miglior vino al miglior prezzo possibile, ma essere consapevole che il prodotto che acquisto ha, e deve avere, un valore che io debbo corrispondere”.
A tutto questo, però, come risponde, però la gdo? “Aumentare di 10-15 centesimi al litro il prezzo a cui compriamo il vino che poi rivendiamo tra i 4 e i 6 euro non è un problema - spiega Flavio Bellotti, del gruppo Selex, più di 3.000 punti vendita in Italia, www.selexgc.it - perché si possono assorbire dei margini. Quindi è la fascia ad essere il problema, e che comunque è un volume importante. E uno dei problemi è anche che i produttori a volte svendono il prodotto del 30%, poi lo vorrebbero riapprezzare allo stesso modo, e in questo senso nel lungo termine servirebbe una politica più stabile da parte loro. Noi della distribuzione abbiamo per obiettivo quello di non spaventare il consumatore, e oscillazioni di prezzo del 30%, sia in più che in meno, lo spaventano, perché non si fidano. Se vogliamo fare una previsione, posso dire che alla fine del 2012 la quota dei vini sotto i 2 euro in commercio diminuirà, a vantaggio di quella tra i 4 e i 6. Ma non è un gioco a somma zero, qualcuno perderà qualcosa”.
“Diciamo che c’è da dividere il mondo del vino in due situazioni - commenta Marco Peduzzi, responsabile acquisti prodotti a marchio per “Iper - La Grande I”, gruppo da 7.000 dipendenti e 2,5 miliardi di euro di fatturato, www.iper.it - quella degli imbottigliatori e assemblatori di vino, e quello dei produttori diretti, e dove si notano due tendenze un po’ diverse al momento. Da un lato il mondo legato alla fascia bassa, che è quello più tassato dal nostro punto di vista, ci sono delle richieste di aumento stratosferiche, il 30 o 40% di prezzo del prodotto. Ma c’è anche un altro aspetto: per chi come noi produce una linea di vini a marchio proprio e vuol mantenere un certo livello di qualità, queste richieste di aumento in qualche modo vanno accettate, o il rischio è di rimanere senza prodotto”. 
Winenews ha cercato anche i pareri di Coop, leader della gdo in Italia, e di Conad, senza ottenere risposte ufficiali. Ma si intuisce che il problema è percepito ad ogni livello della filiera, e che la volontà sia quella di agire a più livelli per mantenere più alti i prezzi del vino, che non può essere trattato come una commodity qualunque, e di creare nel consumatore la consapevolezza che il vino ha bisogno di essere pagato di più.

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